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L’ombra di Salvini sul centrodestra  che scopre (in ritardo) don Sturzo

Di Mario Barresi |

Caltagirone (Catania) – Si può essere (più o meno) autentici struziani, in piena era salviniana? Sembra un divertissement da Settimana Enigmistica della politica, ma almeno per due persone – ieri, a Caltagirone, nel centenario dell’Appello ai Liberi e Forti – è una decisiva questione politico-esistenziale, prima ancora che un quiz retorico peraltro superato con facilità.

Antonio Tajani e Nello Musumeci. Il primo berlusconiano eletto presidente del Parlamento europeo e il primo post-missino diventato presidente della Regione Siciliana. Prima che il fattore M (come Matteo) scompaginasse tutto.

Tajani è reduce dal vertice di giovedì in cui Silvio Berlusconi, sfidato con impertinenza da Giovanni Toti (che «non so a cosa s’è candidato, forse non lo sa neanche lui», sibila il coordinatore forzista), ha di fatto aperto la procedura di liquidazione del partito personale. Quasi come fosse il Milan, solo che qui non ci sono i cinesi. Ma Matteo Salvini e Giorgia Meloni, pronti ad accogliere (non tutti) i fuggiaschi azzurri da ciò che resta dopo i sondaggi post Europee. Non in Sicilia, dove c’è una robusta resistenza. Anche grazie a Gianfranco Miccichè, talentuoso fantasista ora però ingabbiato dal nuovo schema catenacciaro del Cav (altro che la zona di Sacchi…), con marcatura a uomo sul leader del Carroccio. Berlusconi ha già in testa pure il nome: Centrodestra italiano, una federazione in stile Casa delle libertà. E allora quale sarà la sorte della tanto decantata – non soltanto da Tajani, qui a Caltagirone – «modernità del pensiero di don Luigi Sturzo»? Il presidente dell’Europarlamento, ai cronisti che lo aspettano, ammette che «c’è un grande spazio al centro, un spazio politico enorme tra la Lega e il Pd». E il nuovo schema del Cav? «Il presidente ha indicato alcune soluzioni possibili. Ma essere alleati, così come in Sicilia, non significa non poter restare diversi». E così, dal palco del seminario vescovile dove arriva scortato da Gaetano Armao e Marco Falcone, può permettersi una tripla citazione del prete di Caltagirone: contro lo «statalismo», la «partitocrazia» (con frecciatina sul caos nel Csm) e lo «sperpero di denaro pubblico». Un potenziale anatema anti-sovranista e anti-populista che si annacqua senza citare la Lega, ma neanche il M5S; solo «quella politica urlata» che oggi «scambia il medico con la malattia» e se la prende con l’Europa, ma «non è che se ci fosse qualcuno più simpatico di Junker o Moscovici il debito pubblico italiano scomparirebbe».

E allora ha gioco molto più facile – soprattutto a livello di onestà intellettuale – Musumeci, alla vigilia del comizio che ieri pomeriggio, nel comizio di Palermo, ha lanciato la fase 2 del suo movimento. Che, rivelano i suoi, lancerà un percorso «a medio termine» (ma condizionato dalle eventuali elezioni anticipate) di federazione con la Lega. Con Toti, o più probabilmente sul modello del Partito sardo d’Azione. Il governatore ai giornalisti ricorda una delle lezioni di Sturzo: «Il Nord, e l’Italia in genere, non vanno da nessuna parte senza il Sud», rivendicando di aver detto la stessa cosa a Pontida. Per il leader che guarda all’elettorato moderato, il centro di gravità permanente stuziano è un modell? «Non solo quello. Perché non tutto il centro guardava con simpatia a Sturzo e non tutto il centro era guardato con simpatia da Sturzo. Per questo penso che quest’area debba avere dei riferimenti politici nazionali. Io sono un uomo di destra, guardo al centro con grande rispetto. Ma le identità vanno custodite, l’appartenenza è una casa da costruire». Ma fra Struzo e Salvini non c’è una distanza siderale? «Lui, infatti, non è il centro. Salvini è il leader di una forza politica territoriale che ha fondato il centrodestra, ma ha una visione diversa. Se parlassimo tutti la stessa lingua ci sarebbe un partito unico». In sala Musumeci fa coming out: «Da qualche anno, spenti i fuochi delle ideologie, mi sono accostato alla liturgia della lettura di Sturzo». E ai giovani, «nel grande orfanotrofio delle idee», consiglia di fare lo stesso. «Mi piace Sturzo, da uomo di destra prima ancora che da presidente della Regione», confessa. Anche perché il prete di Caltagirone era «un implacabile accusatore» del suo partito e del Vaticano, prima che del regime fascista. E, nella tormenta che scuote appena il centrodestra alla Regione, c’è un altro insegnamento da mettere in pratica: «Perseguire ciò che è giusto e non ciò che sembra utile».

E poi il gran finale, chiedendo scusa «al mio vescovo» (monsignor Calogero Peri, a capo della diocesi di Caltagirone, che comprende anche Militello), «ma anche al cardinale Bagnasco» che lo ascolta in prima fila. E cioè che questa «Europa solidale» va fondata «nel rispetto delle norme e dell’umanità», ma c’è un ma. «Chi viene a casa nostra deve avere un grande rispetto per la civiltà cristiana dell’Occidente, che affonda le sue radici nelle cultura ellenica, latina ed ebraica». Per essere chiari: «Ognuno si preghi il proprio Dio, ma avere rispetto per le religioni altrui non può significare dover avere paura di professare il nostro credo religioso». Musica – con scroscianti applausi in sala – per le orecchie leghiste. E un gustoso antipasto della “svolta razzista” (nel senso di Ruggero Razza) di DiventeràBellissima, che ieri a Palermo si è tinto un po’ più di verde. Tajani e Musumeci. Diversi e uguali. Quasi folgorati, seppur tardivamente, da Sturzo. Ma costretti – chi per costrizione, chi per strategia – a stare con Salvini. Entrambi meno «liberi», ma un po’ più «forti». Quanto basta per resistere. Ed esistere.

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