FI, Gasparri su Mulè al posto di Schifani: «E' come se io mi candidassi in Groenlandia»
Il governatore gelido: «Raccolga le firme, auguri». E trapela il “like” telefonico di Confalonieri
da sinistra Schifani, Gasparri, Mulè
«Mulè al posto di Schifani?». Maurizio Gasparri ha un’«opinione telegrafica». Questa: «È come se io dicessi: “Ora mi candido in Groenlandia”. Certo, tutto è possibile. In teoria. Poi c’è anche la realtà…». Il capogruppo di Forza Italia al Senato, sentito da La Sicilia, liquida l’ultimo caso che infiamma il partito in Sicilia come «una boutade d’agosto», su cui «non c’è molto da commentare», poiché trattasi di una questione «irrilevante». Poi, certo «se i siciliani lo volessero come prossimo presidente della Regione, il popolo è sovrano. Ma mi sembra uno scenario improbabile».
I nervi scoperti
La gelida folata da Marettimo, dove Gasparri sta trascorrendo gli ultimi scampoli di vacanza, arriva al culmine di ore di fuoco per i forzisti siciliani. E non solo. L’uscita in cui, sabato sera alla TgR Sicilia, Giorgio Mulè s’è limitato a non smentire l’ipotesi di una sua corsa per Palazzo d’Orléans nel 2027 («Escludo soltanto di diventare tifoso della Roma», ha ironizzato il vicepresidente della Camera), ha toccato i nervi scoperti di un partito sotto stress. E anche il convitato di pietra dello scenario che ha stuzzicato la fantasia di tutta la stampa siciliana, alla fine, ha deciso di uscire allo scoperto. «Qualunque cittadino residente in Sicilia che abbia superato i 21 anni può candidarsi alla Presidenza della Regione Siciliana. L’importante - detta Renato Schifani all’Ansa - è che raccolga a suo sostegno 1.800 firme per la lista regionale e 2.100 per ciascuna lista provinciale che è tenuto a presentare. Auguri».
Il ghiaccio rotto da Schifani
Una risposta sottile e beffarda, maturata dopo una serata di «no comment» e una lunga notte di riflessione. Schifani, rimasto in silenzio dopo aver aperto il fronte dello scontro con Matteo Salvini sulla nomina “portuale” (indigesta) della leghista Annalisa Tardino, rompe il ghiaccio. E lo fa innanzitutto per dare un segnale interno. «Non si può far passare - ragionano i suoi fedelissimi - nemmeno per un secondo il messaggio, del tutto fuorviante, che la leadership di Renato sia in discussione». Anche perché, come ricostruito ieri dal nostro giornale, non sarebbero stati pochi i riscontri, fra telefonate e messaggi, ricevuti da Mulè, che ha lanciato anche l’Opa ostile sul ruolo di coordinatore regionale occupato da Marcello Caruso, a cui sembra aspirare l’eurodeputato Marco Falcone. I giochi non sono ancora fatti, ma è già partito il conto alla rovescia per la prossima primavera, quando ci sarà la prima (storica) elezione “vera” in un partito in cui Silvio Berlusconi ha sempre deciso tutto dall’alto.
Il messaggio in codice
L’altro messaggio in codice di Schifani è diretto proprio al potenziale rivale: se vuoi la guerra, che guerra sia. Il governatore ormai da tempo non nasconde l’ambizione di succedere a se stesso «per completare un ciclo decennale di progetti e riforme». E il fatto che a mettere in discussione il bis sia proprio un esponente di spicco del suo partito è una circostanza che mette l’ex presidnete del Senato sotto stress. «Se Giorgio volesse davvero candidarsi - commenta un deputato regionale tutt’altro che ostile all’idea - non deve bruciare i tempi: per adesso deve volare basso, aspettando il momento giusto». E fra gli alleati c’è chi sostiene che «la scelta del prossimo candidato del centrodestra in Sicilia non è solo una questione interna a Forza Italia: se lo pensano davvero, si sbagliano di grosso». Magari sarà pure così, ma Schifani continua a tessere la sua tela anche al di sopra dello Stretto. Incassando, come fa trapelare il suo entourage, un “like” di alto livello. Quello arrivato in una «cordialissima telefonata» ferragostana con Fedele Confalonieri. «Apprezziamo molto il lavoro che si sta facendo in Sicilia», avrebbe detto a Schifani il presidente di Mediaset ed eterno guru della famiglia Berlusconi. Va da sé che il valore della frase, ancor più che sull’apprezzamento, sta nell’uso del plurale.