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Crisi di governo, cosa succede ora: voto subito, ribaltone o esecutivo tecnico

Di Redazione |

ROMA – La crisi di governo non è ancora ufficiale ma è nei fatti. Il premier Giuseppe Conte ieri da Palazzo Chigi ha parlato del suo governo al passato, il vicepremier Matteo Salvini nel comizio di ieri sera a Pescara si è presentata già da candidato a presidente del Consiglio chiedendo la forza (i voti) per fare le riforme, l’altro vicepremier Luigi Di Maio si è detto pronto al voto chiedendo però di votare prima il taglio dei parlamentari (che vorrebbe dire dilazionare di mesi le urne).

Archiviata la possibilità – accarezzata da Salvini – di dimissioni extraparlamentari del premier (la volontà di Conte è quella di andare in Parlamento ed eventualmente voler essere sfiduciato in Aula per lasciare alla Lega la piena responsabilità della rottura), è ora il timing della parlamentarizzazione della crisi ad essere oggetto di un vero e proprio duello politico. Con un arbitro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che si prenderà il suo ruolo super partes quando la crisi sarà ufficializzata.

In molti, in ambienti politici, temono o auspicano una convocazione a rallentatore delle Camere. La convocazione delle capigruppo per calendarizzare le sedute sono ancora una incognita. E qualche dubbio sulla volontà dei presidenti di Camera e Senato di tenere ritmi bassi sta attraversando molti partiti. Una strategia che vedrebbe il silenzioso consenso del M5S. Ma deviamo nel dettaglio quali sono i possibili scenari.

Il voto a ottobre

Ma Salvini vuole tutto, il più presto possibile. Ha in mente di andare al voto entro il 20 ottobre; occorrono almeno 60 giorni dallo scioglimento delle Camere; prima, di fatto, non si può. Ora la palla è nelle mani del premier Giuseppe Conte, che si potrebbe presentare in Parlamento già la prossima settimana per contare i numeri. Il primo segnale di questo percorso dovrebbe arrivare con la convocazione di una conferenza dei capigruppo, che non è escluso si tenga già oggi ma che potrebbe anche essere rinviata di qualche giorno. E che avrà comunque il compito di convocare l’Assemblea. Il dibattito e il voto sul governo Conte potrebbero dunque tenersi già prima di Ferragosto a Montecitorio: incassata a quel punto quella che appare come una certa sfiducia, il premier potrebbe salire al Quirinale e rimettere il mandato. E partirà un giro di consultazioni che si prevede rapidissimo, di 24-36 ore, anche se c’è chi non esclude l’ipotesi che Sergio Mattarella affidi mandati esplorativi ai vertici del Parlamento per sondare gli umori delle forze politiche. Una volta preso atto della mancanza di una maggioranza alternativa, Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere e saranno indette nuove elezioni. La Lega come confessato ieri sera da Salvini a Pescara spera di poter correre da sola (nonostante Fi e Fdi già spingano per un’alleanza) con il vento in poppa e con l’arma in tasca di promesse come la flat tax o, per il Nord, l’autonomia.

Il ribaltone

Una delle possibili ipotesi potrebbe essere un tentativo di ribaltone. Ci si proverà, scommettono da più parti: si sono intensificati, nelle ultime ore, i contatti tra M5s e la parte del Pd più sensibile alle sirene di un’alleanza giallorossa. Nicola Zingaretti dice no e i renziani ufficialmente restano per la linea del «senza di me». Ma le Camere sono piene di deputati e senatori che corrono il grande rischio della non rielezione.  Una parte del Movimento 5 stelle e una parte del Pd si parlano: non è un mistero né una novità. Tra i Dem sarebbero già in azione pontieri come Dario Franceschini o Graziano Delrio. E tra gli stessi renziani, timorosi di essere esclusi dalle liste gentiloniane, ci sarebbe più di una tentazione. Le prossime ore si annunciano di grande attivismo dentro i partiti. Per dire, i renziani avevano in cantiere la scissione, magari già a settembre ma impossibile essere pronti per il voto a ottobre. Quanto al centrodestra, sono i forzisti, lacerati da una scissione in atto, i più restii al voto. Un dirigente leghista avverte che anche loro potrebbero «tradire», sposare un governo alternativo per non andare alle urne.

Il governo tecnico 

Nessuno invece i sbilancia al momento sulla possibilità da parte del Colle di ragionare anche su un governo tecnico o di transizione per potrebbe avere il grande vantaggio di evitare l’esercizio provvisorio e porterebbe il Paese alle urne a marzo o aprile. Ma potrebbe essere un suicidio politico per qualsiasi partito. E’ comunque un’opzione per Mattarella quella di affidare l’incarico a un tecnico, consapevole che non sarebbe in grado di coagulare una maggioranza attorno a sé, ma che guiderebbe un Esecutivo ponte in grado di mettere al riparo i conti pubblici dalle turbolenze della politica. Di certo un cambio di governo in piena sessione di bilancio non aiuterà la già difficile messa a punto della legge che fissa entrate e uscite per il prossimo anno. Resta in piedi anche lo scenario che vede proprio l’attuale premier traghettare la Legislatura. Potrebbe essere lui, neanche candidato alle elezioni del 2018, uno dei protagonisti della nuova stagione politica. I «peones» della diciottesima legislatura potrebbero inoltre vedere in lui l’ultimo baluardo per non andare subito a casa.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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