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A Ribera

La festa della Dc, il racconto a casa Cuffaro. Acclamato dai suoi: «Ma non mi candido più»

A Ribera si è celebrata la Festa dell'Amicizia, tradizionale appuntamento della Democrazia cristiana. Invitati anche gli ex presidenti Roberto Formigoni e Rosario Crocetta. Sul palco un totale di 17 anni di pene scontate. «Nessuna paura»

Accursio Sabella

06 Ottobre 2025, 15:13

17:22

La festa della Dc, il racconto a casa Cuffaro. Acclamato dagli ex voto: «Ma non mi candido più»

Sarà che è la Festa dell’amicizia. O sarà che per Ribera gira una pozione magica. Capace di unire tutto, di far scivolare ogni cosa verso il centro. La gravità permanente che riesce a fare stare sullo stesso palco esponenti di destra e sinistra, l'ex governatore «della legalità» con ex colleghi che sommano circa 17 anni di pene variamente assortite e già scontate. Al centro del centro, ovviamente, Totò Cuffaro. Più volte acclamato in sala, invitato a scendere in campo in prima persona, prima possibile, alla prima occasione. E lui che si schermisce, che dice: «Se mi volete bene, non chiedetemi di farlo, perché non lo farò: ho una passione più forte della politica: mio nipote».

Arrivando sul viale Garibaldi, ti rendi conto che la Festa dell’amicizia è anche una festa di paese. Le bandiere e i gonfaloni con lo scudo crociato sui lampioni, sotto il cielo grigio di una Ribera sonnacchiosa che riempirà il cineteatro Lupo soltanto a metà mattinata. Dentro, affisse alle pareti le locandine di vecchi successi e altrettanto vecchi flop. C'è un'opera teatrale, dimenticata forse perché dimenticabile, con Gianfranco D'Angelo: "I peggiori anni della nostra vita", il titolo. Che lo stesso Cuffaro avrebbe potuto scegliere, probabilmente, nell'introdurre fin dall'inizio il tema più spinoso: al suo fianco, oltre a Francesco Storace e Rosario Crocetta, ecco anche Giuseppe Scopelliti e Roberto Formigoni. Sono gli ex voto. Gli ultimi due, come Cuffaro, hanno visto infrangersi la loro avventura da governatore contro le indagini giudiziarie e poi il carcere: «Abbiamo scontato la nostra pena – dice Cuffaro – con dignità, da uomini delle istituzioni. Abbiamo pagato, e tanto. Ora vorremmo però dire la nostra». Di lì a poco, riceverà l'inaspettato sostegno di Crocetta, da uomo della rivoluzione (antimafia, legalitaria, contro la manciugghia) a neo-garantista: «Anche io sono finito in un'indagine e non sono mai stato interrogato in otto anni. Ora, pur senza che io lo volessi, il procedimento potrebbe andare in prescrizione». E poi, ecco l'evangelico richiamo «a non giudicare. I peggiori di noi sono giudici», dice Crocetta, per poi specificare, ovviamente, «giudici in generale, non mi riferisco ai magistrati». Sarebbe stato troppo.

Di sicuro, c'è che la vecchia Balena bianca è la password per riunire tutti i convenuti. Era un «aldisiano di ferro» (il riferimento è a Salvatore Aldisio, ministro di De Gasperi,ndr) il papà di Crocetta che ricorda le sue esperienza con l'Azione cattolica, e democristiani erano anche i genitori del leghista Claudio Durigon, giunto a sancire il patto elettorale per le politiche, accompagnato dal più volte chiamato in causa (da Cuffaro) Luca Sammartino. A proposito di giunta Schifani, fa capolino per un saluto l'assessore all'Economia Alessandro Dagnino, mentre arrivano insieme i colleghi dc Andrea Messina e Nuccia Albano, a pochi metri dal fratello Giovanni, alla guida del “Giglio” di Cefalù. Siede in prima fila una democristiana che fu assessore di Crocetta, cioè Ester Bonafede, poi raggiunta dal segretario dell'Udc Decio Terrana e dalla moglie, deputata regionale, Serafina Marchetta. C'è anche il gruppo parlamentare: il presidente della commissione Affari istituzionali Ignazio Abbate, Salvatore Giuffrida e il più fresco del gruppo, Carlo Auteri a cui arriverà il «benvenuto» dal palco dal segretario Dc. E soprattutto Carmelo Pace, gran cerimoniere nella sua Ribera. Avvistati anche l'ex sindaco di Agrigento Marzo Zambuto, compagno della figlia di Cuffaro,l'ex deputato regionale Nino Dina seduti in platea; sul palco intervengono in tanti, dalla presidente Laura Abbadessa, moglie del magistrato Massimo Russo, a Francesca Donato, da Pippo Enea a Gianpiero Samorì, fondatore del Mir, quella contraddizione in termini che erano i “Moderati in rivoluzione”.

Ma da queste parti, è presto chiaro, le contraddizioni si stemperano, sbiadiscono, si appianano. Sarà che è la festa dell'amicizia. Sarà che per Ribera gira quella pozione. È proprio Samorì a invitare i partecipanti a passare dalla “ola” per Cuffaro a un atto più tangibile. «Ma io in parlamento non intendo entrare e lo decido io!», ribadisce l'ex presidente di Raffadali che giura di volersi limitare a guidare il progetto e auspica «l'umanizzazione della politica, oggi ridotta a puro scontro». E da Cuffaro arrivano buone parole per tutti, anche per l'ex “nemico”, Crocetta che al suo arrivo a Palazzo d'Orleans aveva più volte indicato il “cuffarismo” come il male assoluto: «Ma quando io ero governatore e lui sindaco di Gela - rivela - abbiamo lavorato bene insieme». Invita poi Formigoni a entrare formalmente nel suo partito, «l'unica vera Democrazia cristiana», ribadisce. Invito che è solo un assist: l’ex governatore della Lombardia fa intendere di avere già deciso, sarà uno dei democristiani di Totò. E poi il più volte rilanciato riferimento ai giovani, «davvero tanti in Sicilia», commenta sbalordito lo stesso Formigoni»; e anche il commissario piemontese della Dc, Domenico Rossi, che ci riprova: «Devi scendere in campo in prima persona, non devi avere né paura, né vergogna», gli dice, infiammando la platea che si alza per una standing ovation e per un coro indirizzato a Cuffaro, insieme a qualche voce di orgogliosa rivendicazione: «Noi non abbiamo vergogna!», parte da qualche seggiolino del cinema. I peggiori anni della nostra vita è già un film dimenticato, da queste parti. «Ma non chiedetemi di candidarmi, non lo farò”» dice Cuffaro, un'ultima volta. E forse qualcuno ci ha pure creduto.