il dibattito
“Svuota carceri? No, grazie”. Nel mezzo dell’emergenza penitenziaria italiana, la linea dura di Delmastro e il grido dei Garanti
Tra record di suicidi, sovraffollamento oltre soglia e organici al collasso, i Garanti territoriali chiedono interventi immediati mentre il Governo respinge ogni ipotesi di clemenza generale
In Italia è emergenza nelle carceri: sovraffollamento, disagio psichico, mancanza di personale, carenza di servizi sanitari. E c’è, soprattutto, una politica che si muove a strappi: da un lato la richiesta di interventi urgenti; dall’altro, il rifiuto netto di misure “tappabuchi”. È qui che si incrocia la posizione del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, contrario a ogni ipotesi di “svuota carceri”, e la voce dei Garanti territoriali, che parlano di una fase di “criticità estrema” e invocano risposte immediate e strutturali.
La linea Delmastro: “No a indulti mascherati”
Per Andrea Delmastro, l’idea di un provvedimento clemenziale diffuso non è nemmeno sul tavolo. Lo ha ribadito con chiarezza, cassando l’ipotesi di un “mini indulto” auspicato dal presidente del Senato Ignazio La Russa: «Non siamo d’accordo, né come Governo né personalmente, su una proposta “svuota carceri”». Una posizione che si inserisce nella cornice politica dell’esecutivo, orientata alla certezza della pena e scettica verso indulti e amnistie, considerate “ricette del passato” incapaci di incidere sui nodi strutturali. Nella ricostruzione del sottosegretario, persino l’indulto del 2006, pur avendo abbassato nell’immediato gli indici di affollamento, avrebbe prodotto un effetto temporaneo, seguito da un nuovo picco a distanza di pochi anni. In sintesi: la porta della clemenza resta chiusa.
Il controcanto dei Garanti: “Siamo oltre il limite di guardia”
Mentre la politica si divide, i Garanti territoriali portano in Senato un quadro senza attenuanti: il sistema penitenziario è in “fase di criticità estrema”. I numeri sono schiaccianti. Al 30 aprile 2025 i detenuti erano oltre 62.400, a fronte di circa 51.280 posti “regolamentari”. Ma la capienza effettiva è più bassa perché almeno 4.500 posti risultano non disponibili per inagibilità o lavori, spingendo il tasso reale di affollamento oltre il 133%. In 58 istituti si supera la soglia del 150%, con punte del 220% a Milano San Vittore. In molte sezioni lo spazio calpestabile pro capite scende sotto i 3 m², misura-chiave della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Non è solo questione di cifre: la sofferenza si misura anche nel numero dei suicidi. Il 2024 ha segnato l’“anno nero”: 91 persone si sono tolte la vita in carcere, il dato più alto di sempre secondo i monitoraggi indipendenti. E il 2025 non ha invertito il trend: al 10 dicembre risultano oltre 70 suicidi dall’inizio dell’anno, un bilancio che conferma la gravità del fenomeno. Gli stessi Garanti sottolineano che a togliersi la vita sono spesso detenuti alla prima esperienza, con reati di bassa o media gravità, fragili e senza reti sociali o familiari. A ciò si sommano i tentativi di suicidio, gli atti di autolesionismo e le proteste che attraversano gli istituti.
Non mancano solo le celle: l’assenza dei profili chiave
Il punto che i Garanti insistono a scolpire è un altro: non basta costruire mura se dentro mancano le figure professionali essenziali. In troppi istituti gli educatori sono la metà di quelli previsti in organico; gli psicologi, i mediatori culturali, gli psichiatri e il personale sanitario sono insufficienti o intermittenti. Qui entra in gioco una variabile decisiva ma spesso dimenticata: dal 2008 la sanità penitenziaria è passata al Servizio sanitario nazionale, dunque alla responsabilità delle Regioni. Tradotto: se manca il medico, o se i tempi per una visita psichiatrica si allungano, è perché la macchina sanitaria territoriale non riesce a garantire standard continui in carcere. Il risultato è una spirale rischiosa: più sofferenza, più tensione, più eventi critici, che ricadono anche sulla Polizia penitenziaria.
La Polizia penitenziaria allo stremo
Gli agenti sono l’altra faccia dell’emergenza. I sindacati denunciano turni estenuanti, organici carenti, aggressioni in aumento. Secondo elaborazioni aggiornate nel 2025, mancherebbe oltre il 15% del personale previsto in pianta organica. Il rapporto detenuti/agente oscilla in media intorno a 2 a 1 (contro l’obiettivo di 1,5), con picchi nelle regioni più congestionate, come Lombardia e Lazio. Senza educatori e sanitari a presidiare la parte “trattamentale”, finisce sulla divisa blu la gestione del disagio quotidiano, con un logoramento che alimenta il malessere e, in casi non isolati, drammi anche tra gli operatori.
Gli interventi del Governo: edilizia, liberazioni anticipate, percorsi alternativi
Sul piano delle soluzioni, l’esecutivo ha messo in campo un piano triennale di edilizia penitenziaria 2025–2027 da oltre 900 milioni di euro che promette 10.600–10.700 nuovi posti detentivi tra recuperi e nuove realizzazioni. Nel dettaglio: 864 posti nel 2025, 5.754 nel 2026, 4.074 nel 2027. Il Ministero delle Infrastrutture ha stanziato 335 milioni, con progetti simbolo come il nuovo istituto di San Vito al Tagliamento (il primo dopo 14 anni) e numerosi interventi di ampliamento e manutenzione straordinaria. Accanto ai mattoni, il Governo ha preannunciato accelerazioni su liberazione anticipata e percorsi alternativi per tossicodipendenti (collocamento in comunità), nel tentativo di sgonfiare i numeri senza passare da indulti o amnistie.
La domanda, però, è se questi tempi e queste misure possano inseguire l’emergenza di oggi. Anche il Garante nazionale rileva che i posti “sulla carta” devono fare i conti con la capienza effettiva, che cala per inagibilità e lavori e, quindi, fatica a tradursi in spazi realmente disponibili. E comunque, se non si interviene su flussi in entrata e uscite, il rischio è di rincorrere l’onda con il secchiello.
Cosa propongono i Garanti e le associazioni
Dal fronte della società civile e delle istituzioni di garanzia arrivano alcune proposte immediate:
Un pacchetto di misure “a valvola” per chi ha un residuo pena breve: in Italia sono oltre 17.000 le persone con meno di due anni da scontare. Con un atto di clemenza mirata (o con una revisione straordinaria dei benefici penitenziari) il sistema potrebbe “tornare a respirare”, liberando posti e riducendo la pressione sugli istituti.Una stretta sull’uso della custodia cautelare in carcere, in particolare per i reati di minore gravità e per le prime detenzioni, privilegiando misure non custodiali quando possibile.
Il principio del “numero chiuso”: se non c’è posto regolamentare, niente ingresso in cella, salvo casi eccezionali, come deterrente a sovraccaricare oltre soglia.
Un piano straordinario di assunzioni nelle aree del trattamento: educatori, psicologi, mediatori culturali, psichiatri, assistenti sociali.
Un accordo operativo con le Regioni per garantire in carcere livelli essenziali di assistenza continuativi, con psichiatria e dipendenze come priorità.
Sono idee che spostano l’asse dal “costruire posti” al “ridurre flussi e fragilità”, puntando a un riequilibrio tra sicurezza e rieducazione, caposaldo dell’art. 27 della Costituzione.
Il nodo della giustizia minorile
La sezione più dolente è quella degli istituti penali per minorenni. Nel giro di pochi anni, complice anche il Decreto Caivano, le presenze sono cresciute in modo marcato. Qui il combinato di sovraffollamento e carenza di educatori e sanitari produce effetti ancora più corrosivi: interruzioni scolastiche, uso massiccio di psicofarmaci, attività ricreative ridotte. I Garanti chiedono di agire sui fattori di ingresso (custodia cautelare davvero residuale) e rafforzare l’area educativa con progetti personalizzati che ricostruiscano legami e competenze, evitando il “contagio” deviante.
Oltre lo slogan: cosa significa davvero “svuota carceri”
La frase “svuota carceri” è diventata un totem polemico. Da un lato evoca l’idea di un colpo di spugna indiscriminato, dall’altro nasconde un dato: ogni sistema penitenziario europeo usa meccanismi di deflazione in fase di picco o in presenza di standard violati (spazio, igiene, salute). Il punto è la chirurgia delle misure: non clemenza a pioggia, ma criteri mirati legati a tipologia di reato, residuo pena, comportamento carcerario, fragilità cliniche e garanzie di reinserimento. È su questo terreno che potrebbe aprirsi una convergenza tra esigenze del Governo (evitare scorciatoie) e richieste dei Garanti (abbassare subito la pressione).