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il caso

“Concorsi con il vincitore già scritto”: la denuncia di Andrea Crisanti che riapre il dossier-Università

In Senato il microbiologo accusa: “In quarant’anni non ho visto un solo concorso senza un vincitore noto prima”. La replica politica, i numeri sull’endogamia accademica e i nodi irrisolti del reclutamento

Redazione La Sicilia

22 Dicembre 2025, 11:29

“Concorsi con il vincitore già scritto”: la denuncia di Andrea Crisanti che riapre il dossier-Università

«In quarant’anni non sono a conoscenza di un singolo concorso di cui non si sapesse il vincitore prima. E non c’è un singolo docente che mi abbia mai smentito». È così che Andrea Crisanti ha gelato il Senato, guardando verso i banchi del governo e rivolgendosi direttamente alla ministra dell’Università, Anna Maria Bernini. L’accusa è netta: concorsi “predeterminati”, una “piaga” che incide sulla qualità della ricerca e dell’insegnamento. Parole pesanti, pronunciate a Palazzo Madama e rilanciate in video e interviste, che hanno rimesso al centro un tema che l’accademia italiana non riesce a chiudere: il reclutamento fondato sul merito, davvero.

Un attacco frontale in Aula

Il cuore della denuncia di Crisanti è tutto in quelle frasi: «In 40 anni non sono a conoscenza di un singolo concorso di cui non si sapesse il vincitore prima»; «Non c’è un singolo docente che mi abbia smentito». Parole pronunciate in Palazzo Madama durante la discussione con la titolare del MUR, Anna Maria Bernini, e diffuse in un video divenuto virale. A sostegno della sua tesi, il microbiologo ha richiamato un dato che considera rivelatore: «In Italia circa l’80% del personale docente ha svolto tutta la carriera nella stessa università; in Europa la media scende al 55%, nel Regno Unito al 35%». Il messaggio, sottinteso ma chiaro, è quello dell’endogamia accademica, cioè la tendenza a reclutare “in casa”, con poca mobilità tra atenei.

Il discorso di Crisanti è arrivato in una fase in cui l’Università italiana è già al centro del dibattito pubblico: tra riforme in corso, proteste studentesche e verifiche sui primi esiti del nuovo accesso a Medicina. Non stupisce che le sue parole siano state rilanciate da testate e telegiornali, trasformandosi in un caso politico-mediatico in poche ore.

La cornice politica: la “riforma Bernini” e il semestre-filtro

Nel frattempo, la ministra Bernini è impegnata su più fronti. Da un lato, il governo ha varato una riforma organica sul reclutamento universitario — la cosiddetta “riforma Bernini” — che riscrive pezzi della legge 240/2010 e, tra le altre cose, prevede il superamento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale sostituendola con requisiti di produttività scientifica definiti per settore e aggiornati ogni 5 anni. Il disegno di legge n. 1518 è stato approvato dal Senato il 9 dicembre 2025 ed è ora all’esame della Camera. Una riforma che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe aggredire anche le distorsioni del sistema di reclutamento. Ma l’efficacia concreta — ammoniscono i critici — dipenderà dai decreti attuativi e dai meccanismi di valutazione.

Dall’altro, la ministra ha difeso la rivoluzione dell’accesso a Medicina con il semestre “aperto” e tre prove d’esame: dopo le contestazioni e i primi risultati (in alcune sedi, sufficienze intorno al 22-23% nelle prove di Chimica e Biologia e tra il 10-15% in Fisica), Bernini ha assicurato correzioni “di rotta” ma nessun ritorno al vecchio test a crocette. E ha garantito che tutti i 24.026 posti in graduatoria saranno coperti entro il 28 febbraio 2026, evitando “anni persi”. Uno scontro che l’ha vista anche fronteggiare proteste pubbliche, come quelle ad Atreju, quando a studenti in mobilitazione ha replicato con toni che hanno fatto discutere.

L’onda lunga dei casi mediatici: Verona come emblema

A rendere più esplosivo il contesto è arrivata, quasi in sincronia, la vicenda di Verona: il 33enne Riccardo Nocini, figlio dell’ex rettore Pier Francesco Nocini, ha vinto una cattedra da ordinario in Otorinolaringoiatria in un concorso con un solo candidato. La procedura, formalmente corretta secondo l’ateneo, è finita nel mirino con un esposto all’ANAC e la richiesta — da parte di associazioni di ricercatori e specializzandi — di sospendere l’incarico per sospetti favoritismi. Un caso che ha acceso un dibattito tra accademici e opinione pubblica, al netto delle difese sul merito scientifico del candidato e della regolarità formale dell’iter. È anche su questa scia che il monito di Crisanti ha trovato risonanza.

Endogamia e mobilità: i numeri che mancano (e quelli che ci sono)

Il dato più citato da Crisanti — l’80% di docenti cresciuti nello stesso ateneo — è una cifra spesso evocata quando si parla di “inbreeding accademico”. Va detto con chiarezza: si tratta di una stima frequentemente riportata nel dibattito, ma non esistono, allo stato, statistiche ufficiali recentissime e consolidate che quantifichino con precisione l’endogamia in ogni settore e ateneo. È però vero che diversi osservatori e rielaborazioni su dati MIUR/CINECA fotografano un sistema poco permeabile alla mobilità, specie rispetto ai benchmark europei, e che la quota di docenti “autoctoni” resta storicamente elevata. In generale, la dinamica di lungo periodo mostra un corpo docente che si è ridotto nella componente strutturata e che, anche per ragioni di finanza pubblica e riforme, ha rallentato i ricambi e le carriere, favorendo percorsi interni.

Sulla qualità dell’Università italiana, poi, la fotografia varia a seconda degli indicatori. Crisanti ha sottolineato l’assenza di atenei tricolori tra le “prime 100” del mondo. Questo è stato vero per alcune classifiche negli anni scorsi (ad esempio le THE 2025, dove l’Alma Mater di Bologna è intorno alla fascia 146 e altri atenei italiani sono posizionati tra 150 e 250), ma nel QS 2026 il Politecnico di Milano è entrato per la prima volta nella top 100, segnando un’inversione simbolica che indica miglioramenti in “employer reputation”, “academic reputation” e “employment outcomes”. Differenze che confermano come il tema non sia univoco: le classifiche non misurano le stesse cose e premiano dimensioni diverse (reputazione, reti internazionali, citazioni, rapporto studenti/docenti, fondi, internazionalizzazione).

Il nodo delle commissioni e della trasparenza

Le parole di Crisanti colpiscono il cuore delle prassi concorsuali: la composizione delle commissioni, la pubblicità dei criteri, i tempi, la gestione dei conflitti di interesse. Negli anni, i correttivi introdotti — dalla tracciabilità degli atti ai criteri ex ante con pesi e punteggi — hanno ridotto aree grigie, ma non le hanno eliminate. Il caso Verona ripropone la questione della distinzione tra “regolarità formale” e “terzietà sostanziale” quando ci sono relazioni pregresse forti. Una trasparenza effettiva richiede: commissioni con membri esterni e, quando possibile, internazionali, selezionati con sorteggio e regole più stringenti sui conflitti; criteri pubblici prima del bando e motivazioni analitiche, non stereotipate, nelle valutazioni finali; obbligo di pubblicare gli atti in formato aperto e di rendere verificabile ogni passaggio, compresi i verbali degli organismi interni.

La rettrice di Verona, Chiara Leardini, ha detto di percepire «disagio» e di voler rafforzare l’etica del reclutamento: un segnale che mostra sensibilità istituzionale e insieme il bisogno di regole più chiare per evitare di finire nel cono d’ombra del sospetto anche quando le procedure risultano “formalmente corrette”.