25 dicembre 2025 - Aggiornato alle 13:25
×

SUI SOCIAL

«Il primo Natale da assolto»: il videomessaggio di Salvini, tra sollievo personale e calcolo politico dopo la fine del caso Open Arms

Un augurio che diventa notizia: il vicepremier rivendica su X la chiusura giudiziaria della vicenda e apre interrogativi su sicurezza, diritto del mare e consenso

Alfredo Zermo

25 Dicembre 2025, 11:50

“Il primo Natale da assolto”: il videomessaggio di Salvini, tra sollievo personale e calcolo politico dopo la fine del caso Open Arms

Nel salotto di casa, il vicepremier Matteo Salvini registra un breve video, lo carica su X e lo accompagna con un messaggio di auguri natalizi. Ma l’augurio è solo il telaio: dentro, il filo che cuce le parole è la frase che accende il dibattito in un giorno di festa. “È il primo Natale che posso festeggiare in famiglia da assolto”. A Roma, il 25 dicembre 2025, la politica si infila così nelle pieghe della ritualità: un videomessaggio che è anche bilancio, rivendicazione e — inevitabilmente — campagna permanente. Perché quell’“assolto” rimanda a una delle storie giudiziarie più divisive degli ultimi anni: il caso Open Arms.

Dal salotto ai trend: un messaggio di auguri che è anche una cornice narrativa

Nel video, diffuso sui profili social del leader della Lega, risuonano tre passaggi chiave. Il primo è personale: “dopo cinque anni di processi, viaggi e testimonianze”. Il secondo è identitario: “da italiano assolto, libero, perché ho difeso la sicurezza, i confini e la dignità del mio Paese”. Il terzo è proiettivo: l’auspicio che il 2026 “porti quello che il 2025 ha faticato a portare”. In poche righe, Salvini ricompone il racconto della sua parabola giudiziaria e politica: la contestazione per la gestione degli sbarchi nel 2019, l’iter processuale a Palermo, l’assoluzione, l’impugnazione in Cassazione, infine la conferma dell’assoluzione. Un percorso concluso, sul piano penale, pochi giorni fa, con la decisione della Corte di Cassazione del 17 dicembre 2025 che ha reso definitivo il verdetto.

Quell’esito è la cornice che consente al leader leghista di trasformare un “Buon Natale” in un messaggio politico: rilegge la sua linea sui migranti come tutela dell’interesse nazionale e chiude — sul terreno giudiziario — un capitolo che aveva attraversato tre stagioni politiche e due legislature.

Open Arms: che cosa è successo e perché ha contato così tanto

Per capire il senso delle parole odierne, occorre riavvolgere il nastro all’agosto 2019. Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, nega per giorni lo sbarco in Italia alla nave della ong Open Arms, battente bandiera spagnola, con a bordo oltre 100 migranti (le stime più citate sono 147 persone) soccorsi nel Mediterraneo. La nave resta a lungo in attesa di un porto sicuro: la situazione a bordo si deteriora, alcuni naufraghi si gettano in mare nel tentativo disperato di raggiungere Lampedusa a nuoto; l’approdo avverrà dopo interventi della magistratura e decisioni delle autorità competenti.

La procura di Palermo contesta al leader leghista il reato di sequestro di persona e, in concorso, il rifiuto di atti d’ufficio. Al processo di primo grado (celebrato a Palermo), l’accusa chiede una condanna severa; il tribunale però, nel dicembre 2024, assolve Salvini “perché il fatto non sussiste”. La Procura decide di non passare per l’appello e tenta il “salto” in Cassazione — il cosiddetto ricorso “per saltum” — sostenendo che la sentenza di assoluzione poggi su un’errata interpretazione del quadro normativo internazionale e nazionale che disciplina l’assegnazione di un porto sicuro. Il 19 luglio 2025 il ricorso viene depositato; il 17 dicembre 2025 la Cassazione lo rigetta e conferma l’assoluzione. Fine del procedimento.

Questa traiettoria processuale spiega il perché, oggi, il vicepremier possa rivendicare un “primo Natale da assolto”: la parola “assolto” non è più solo l’esito di un primo grado, ma una definizione cristallizzata dall’ultima istanza, quella che in Italia chiude il percorso giudiziario.

Che cosa ha detto la Cassazione: diritto, politica e il nodo dell’“obbligo di sbarco”

La decisione della Corte di Cassazione ha avuto due effetti. Il primo, formale e decisivo: ha reso definitiva l’assoluzione, escludendo un ulteriore giudizio di merito. Il secondo, sostanziale: ha respinto la lettura dell’obbligo di sbarco sostenuta dall’accusa, che aveva impostato il ricorso come questione di diritto più che di fatti. In sostanza, la tesi della Procura di Palermo — secondo cui quelle condotte integravano un illecito penale alla luce di norme interne e convenzioni internazionali — non è stata accolta.

Per la maggioranza di governo, questo epilogo rafforza l’idea che “difendere i confini non sia un reato”: un refrain politico che Salvini, nelle sue dichiarazioni, ha ripetuto fin dal primo minuto dopo l’assoluzione di dicembre 2024, e che torna anche nel videomessaggio natalizio. Dall’altra parte, i critici sottolineano che il verdetto non ridiscute — né potrebbe — la dimensione etico-politica della gestione degli sbarchi: per loro resta aperta la domanda su come coniugare sicurezza, diritti fondamentali e obblighi internazionali nella gestione di crisi che, in mare, raramente sono solo giuridiche.

Il valore politico di un “io sono felice”

Nel lessico saviniano, la frase “Io sono felice” non è un vezzo personale. È un segnale a tre pubblici. Al suo elettorato, per cui la vicenda Open Arms è stata a lungo il simbolo dell’identità securitaria della Lega: il leader ribadisce coerenza e — oggi — legittimazione piena. Agli alleati, soprattutto a Fratelli d’Italia e alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che hanno sempre difeso la linea dura sui migranti: il messaggio suggella un fronte comune e chiude una possibile vulnerabilità della coalizione. Agli avversari politici e agli osservatori esterni, il vicepremier mostra la capacità di trasformare una ferita (un processo lungo, con oltre trenta udienze) in vittoria comunicativa, inserendola in un frame narrativo positivo, persino augurale.

Non è un dettaglio che la piattaforma scelta sia X: il terreno dove Salvini ha costruito, negli anni, una parte importante della sua presenza pubblica, e dove il tempo dell’attenzione è breve. In meno di un minuto, l’“io” diventa “noi”: il privato (la famiglia, il Natale) si intreccia al pubblico (lo Stato, i confini), l’assoluzione personale alla promessa collettiva di sicurezza.

Le reazioni, tra governo, opposizioni e società civile

Nel corso dei mesi, all’assoluzione hanno fatto eco le voci più nette del governo: Giorgia Meloni ha più volte definito “surreali” le accuse, leggendo nella sentenza una conferma della legittimità di una linea di rigore sui flussi. Il mondo delle ong resta invece critico: per Open Arms e per il suo fondatore Oscar Camps, il verdetto è il segnale di un vuoto di tutela per i naufraghi e di un’eccessiva politicizzazione del tema migratorio. Il confronto, dunque, non si chiude con i sigilli giudiziari: prosegue nelle aule parlamentari, nelle aule di tribunale su altri fascicoli, e soprattutto in mare, dove le urgenze non conoscono soste festive.

Il linguaggio della legittimazione: “non più imputato, ma italiano assolto”

C’è una formula, nel videomessaggio, che merita di essere isolata: “non più da indagato o da imputato, ma da italiano assolto”. In quattro parole, Salvini sposta l’accento dal soggetto “privato” (l’imputato) al soggetto “civile” (l’italiano). È un’operazione retorica chiara: l’assoluzione diventa non soltanto la fine di un processo, ma la riabilitazione — agli occhi dei suoi — di una scelta politica presentata come tutela della sovranità nazionale. In controluce, si legge anche la volontà di archiviare una narrativa che lo voleva inchiodato alla difensiva; oggi è lui a dettare il frame e a scegliere il tempo del racconto: la mattina di Natale, quando il tono è più disarmato e la famiglia è il riferimento comune.

Natale, politica e il rito degli auguri: una scelta di calendario

Non è insolito che i leader usino gli auguri per lanciare un messaggio. Ma il timing qui è parte del messaggio. La Cassazione ha chiuso il caso da otto giorni e Salvini innesta l’esito giudiziario in un racconto familiare, ripetendo tre volte la parola “auguri”. La ripetizione, in retorica, è enfasi; in politica, è anche ancoraggio: serve a far sedimentare nell’immaginario pubblico l’associazione tra il leader, la famiglia, la serenità e la liberazione da un “peso” giudiziario. È la stessa logica che regge gli spot che non vendono più soltanto un prodotto, ma uno stile di vita.