i costi della politica
Camera, il conto che non torna: perché i costi complessivi crescono nonostante il taglio dei deputati
Numeri, scelte e conseguenze inattese: viaggio nel bilancio di Montecitorio tra risparmi promessi, inflazione, pensioni e nuove priorità
Per anni è stata raccontata la riforma che avrebbe ridotto i costi della politica: meno parlamentari, meno spesa. E invece i numeri dell’ultimo triennio dicono altro. Nel quinquennio precedente al taglio dei parlamentari, la spesa annua complessiva della Camera dei deputati si fermava poco sopra il miliardo. Oggi, a riforma a regime, il totale supera — e non di poco — quella soglia. È l’effetto incrociato di scelte politiche, inflazione, partite previdenziali e nuovi investimenti. Ed è una storia che vale la pena rileggere con freddezza, perché tra i numeri si nasconde una domanda cruciale: cosa intendiamo davvero per «costi della politica»?
I numeri chiave: quanto spende davvero la Camera
Nel quinquennio 2017-2021 la spesa annua complessiva di Montecitorio è stata in media di circa 1,034 miliardi di euro. Nel triennio 2022-2024 la media rielaborata sale a circa 1,293 miliardi di euro. Nel 2024 la spesa complessiva si attesta attorno a 1,263,8 miliardi di euro di impegni, a fronte di entrate accertate per 1,309,1 miliardi: un avanzo di 45,3 milioni. Sono numeri ufficiali.
Se si guarda alle sole spese effettive di funzionamento — cioè la macchina della Camera al netto delle partite previdenziali — nel 2024 gli impegni si fermano a circa 967,3 milioni (su stanziamenti per 982,3 milioni): la spesa dell’istituzione in sé è più bassa del totale, ma non capovolge la tendenza storica dell’ultimo triennio.
Il dettaglio che fa la differenza: la dotazione trasferita dallo Stato alla Camera — ferma a 943,1 milioni di euro l’anno — non è aumentata dal 2013. Il saldo favorevole del 2024 nasce anche da entrate integrative straordinarie (soprattutto interessi attivi per l’aumento dei tassi) e da economie di spesa. Ma rispetto alla promessa «meno eletti, meno costi complessivi», il quadro resta in chiaroscuro.
Perché la spesa non scende? Quattro fattori che hanno pesato
Inflazione e bollette. Il biennio dei prezzi impennati ha spinto in alto molte voci: energia, servizi, forniture. Anche con contratti rinegoziati, il caro energia ha inciso sul 2024 e ha indotto previsioni prudenti sul 2025. Non a caso, sul consuntivo 2024 e sui documenti 2025 il collegio dei Questori segnala aumenti in bolletta per luce e gas.
Partite previdenziali. Con l’avvicendamento della XVIII e XIX legislatura, cresce la platea dei trattamenti a carico dei fondi previdenziali e di solidarietà. È un effetto “fisiologico” che aumenta il totale della spesa complessiva, pur non riguardando strettamente il funzionamento quotidiano dell’Istituzione.
Spese fisse poco comprimibili. La riduzione dei deputati (da 630 a 400) ha tagliato le indennità e rimborsi su quella componente, ma molte altre voci — manutenzioni, infrastrutture IT, sicurezza, servizi d’Aula, traduzione, archivio, patrimonio, comunicazione istituzionale — non si riducono meccanicamente con il numero degli eletti.
La contabilità delle “spese effettive” vs “spesa complessiva”. Qui nasce spesso l’equivoco. Guardare soltanto alle spese di funzionamento può far pensare a un contenimento strutturale; guardare al totale (includendo previdenza e altre partite) restituisce l’andamento complessivo più vicino alla percezione dell’opinione pubblica. Nel 2024 entrambe le letture sono vere, ma raccontano cose diverse.
Cosa dicono Montecitorio e i partiti che la governano
La difesa più netta è arrivata dai Questori: l’assetto finanziario della Camera è «solido e stabile», con un avanzo consistente e una dotazione ferma dal 2013. Tradotto: in termini reali, per via dell’inflazione, la dotazione si è ridotta; i conti tornano grazie a risparmi interni e a un’attenta gestione. È l’argomento che ricorre anche nelle risposte ufficiali dell’Ufficio stampa della Camera, che elenca riduzioni su personale, beni e servizi, e un avanzo cumulato di triennio che supera i 315 milioni.
Dal fronte politico, due linee. Da un lato, i promotori storici del taglio dei parlamentari — in primis esponenti del Movimento 5 Stelle — rivendicano il calo della spesa “per deputato” e i risparmi sulle indennità, sostenendo che, senza la riforma, oggi le uscite sarebbero superiori. Dall’altro, i questori di maggioranza, come l’esponente di Fratelli d’Italia Paolo Trancassini, insistono sulla «gestione virtuosa» e sulla sostanziale stabilità della spesa complessiva nonostante l’inflazione. Un’impostazione confermata dai voti d’Aula sui documenti di bilancio.
Il confronto che scotta: la Camera e il caso Senato
Per capire se il fenomeno sia di sistema, conviene guardare l’altro ramo del Parlamento. A Palazzo Madama la dotazione per il 2025 resta fissata a 505 milioni di euro, la stessa del 2011: decisione presentata come prova di sobrietà (in termini reali, la dotazione si è svalutata per l’effetto inflazione). Ma anche qui il taglio dei senatori da 315 a 200 non ha prodotto una riduzione della dotazione nominale. Il risultato: un dibattito acceso sul rapporto tra meno parlamentari e spesa invariata.
Se il messaggio della riforma era «il Parlamento costerà di meno», la lettura odierna è più complessa: i risparmi si concentrano su alcune voci (indennità, rimborsi, taluni servizi), mentre i grandi aggregati di funzionamento e le partite previdenziali mantengono il totale su livelli simili o superiori ai periodi precedenti, anche per via dell’inflazione. Questo non assolve né condanna: impone di distinguere tra risparmio “per deputato/senatore” e risparmio “sul bilancio totale”.
Dentro il Rendiconto 2024: cosa è cresciuto, cosa è sceso
Entrate. Oltre alla dotazione statale di 943,1 milioni, hanno inciso in positivo gli interessi attivi generati dai depositi (circa 36,6 milioni), ben oltre i 5 milioni previsti, per effetto dei tassi più alti. Un extra gettito che ha gonfiato gli accertamenti a 1,309,1 miliardi.
Spese di funzionamento. Gli impegni per 967,3 milioni si distribuiscono tra: personale dipendente (impegnati 205 milioni, pagati 200,7), personale non dipendente, acquisto di beni e servizi (impegnati 85,4 milioni), trasferimenti, attività degli organi parlamentari. Rispetto alle previsioni, si registrano economie per 14,9 milioni.
Spesa complessiva. Inclusa la parte previdenziale e altre partite, gli impegni arrivano a 1,263,8 miliardi. Il dato conferma che la riduzione numerica dei parlamentari non si traduce automaticamente in discesa del totale. Ma la dinamica del 2024 — sostenuta anche da entrate finanziarie elevate — ha prodotto un avanzo di 45,3 milioni e un avanzo di amministrazione a fine anno di 428,5 milioni.
Trend 2025–2026. Il progetto di bilancio 2025 conferma la dotazione statale invariata (943,16 milioni), prevede spesa di funzionamento sostanzialmente stabile e misure di contenimento per deputati prorogate dall’Ufficio di Presidenza anche oltre il 2025, fino al 2028, con un risparmio annuo quantificato in 30,7 milioni.
Taglio dei parlamentari: risparmi sì, ma dove e quanto?
Gli studi indipendenti più seri ricordano che il grosso della spesa politica si concentra su tre voci: indennità parlamentari, rimborsi e contributi ai gruppi. È qui che il taglio del numero degli eletti incide direttamente. Stime di lungo periodo valutavano in oltre 200 milioni l’anno il totale di indennità e rimborsi per Camera e Senato, a cui si aggiungono oltre 50 milioni per i gruppi. Ridurre i parlamentari riduce automaticamente (e immediatamente) il costo di queste voci. Ma se non si interviene sul resto dell’architettura di spesa, l’impatto sul totale può diluirsi.
D’altra parte, alcune scelte “non immediatamente visibili” hanno contenuto la dinamica: dal prolungamento delle misure di contenimento su indennità e rimborsi dei deputati, alle riorganizzazioni interne e alle rinegoziazioni dei contratti di fornitura. È grazie a questa miscela che la Camera ha potuto vantare nel 2024 un profilo di spesa di funzionamento sotto controllo e una chiusura d’esercizio in avanzo. Ma questo non basta a certificare una riduzione del “costo del Parlamento” nel suo complesso, perché quella è una grandezza diversa dalla spesa di funzionamento e comprende, appunto, le partite previdenziali.