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“Il 2026 sarà molto peggio”: la sfida totale di Giorgia Meloni tra PNRR, referendum e una maggioranza inquieta

Un brindisi amaro alla Sala Tatarella anticipa un anno carico di incognite. Nei sondaggi la premier resta avanti, ma l’agenda 2026 la costringerà a camminare sul filo: PNRR alla volata finale, decreto Ucraina, riforme costituzionali al voto e una crescita debole

Redazione La Sicilia

26 Dicembre 2025, 17:14

“Il 2026 sarà molto peggio”: la sfida totale di Giorgia Meloni tra PNRR, referendum e una maggioranza inquieta

Alla Sala Tatarella di Montecitorio, durante lo scambio di auguri con i parlamentari di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni solleva il bicchiere e gela l’aria: «Quest’anno è stato duro, ma il prossimo sarà molto peggio». Una battuta amara che diventa titolo politico, perché arriva al termine di un 2025 logorante e alla vigilia di un 2026 in cui i nodi – economici, europei e di coalizione – arriveranno al pettine. La scena è confermata dai resoconti delle agenzie presenti al brindisi e dagli incontri di fine anno a Palazzo Chigi, dove la premier ha ripetuto il concetto: riposare ora, perché l’inverno politico sarà lungo.

2026, stress test per Palazzo Chigi

Slogan a parte, la domanda è semplice: il 2026 sarà davvero l’anno “molto peggio” o l’ennesima prova di resistenza della leader che, fin qui, ha tenuto saldamente in mano la rotta? L’orizzonte è ingombro.

La legge di bilancio per il 2026 ha incassato il primo via libera del Senato e “lievita” fino a circa 22 miliardi con un maxi-emendamento: il testo è atteso alla Camera per l’ok definitivo. Tra le misure, tagli fiscali mirati e interventi su sanità, produttività e incentivi, in un quadro di finanza pubblica che punta a rientrare sotto il tetto europeo del 3% di deficit.

La corsa finale al PNRR entra nella sua fase più delicata, con la scadenza legale fissata al 31 agosto 2026 per chiudere obiettivi e milestone, e pagamenti finali della Commissione europea entro il 31 dicembre 2026. L’Italia ha incassato la VII rata da 18,3 miliardi e punta alle successive, ma il grosso degli obiettivi si concentra proprio nel 2026.

Sul fronte delle riforme, nel 2026 si voterà il referendum confermativo sulla riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere in magistratura: quarto e ultimo passaggio parlamentare completato, ora la parola agli elettori. Nel frattempo il governo tenta l’accelerazione sul premierato, con un passaggio alla Camera a inizio anno.

Sulla politica estera, il decreto di proroga per l’invio di aiuti militari all’Ucraina – praticato ormai da quattro anni – è terreno di frizione con la Lega: ipotesi di limature e preamboli “negoziali”, ma la sostanza – sostiene Palazzo Chigi – non cambia.

Nel mezzo, i numeri dell’economia: un Pil atteso tra lo 0,6% e lo 0,8% nel 2026, debito intorno al 137% del Pil, inflazione in ulteriore raffreddamento. Dati non drammatici, ma lontani dall’offrire un cuscinetto confortevole a un esecutivo che deve spendere, riformare, negoziare e tenere unita la coalizione.

Meloni resta forte nei sondaggi, ma la curva si è fatta più piatta

A sostegno della premier c’è un fatto: nonostante due autunni consecutivi di manovre difficili, Fratelli d’Italia resta primo partito e la fiducia nel governo si muove in una forchetta stabile sopra il 43% secondo le rilevazioni Dire/Tecnè di metà dicembre. Nella Supermedia Agi/YouTrend FdI oscilla appena sotto la soglia psicologica del 30%; il Pd insegue oltre il 22%; M5S tra il 12% e il 13%. Non siamo ai picchi del 2023, ma la distanza resta netta.

Guardando indietro, la dinamica del 2025 racconta di una leadership che “tiene” più di quanto cresca: a inizio anno diversi istituti rilevavano FdI sopra il 31%, poi una lunga stabilizzazione sotto quella soglia, con piccoli denti di sega. Sul gradimento personale, Meloni resta la leader più apprezzata con valutazioni positive intorno al 46% nelle serie Dire/Tecnè. Non sono numeri di un governo in apnea. Sono, semmai, i numeri di una navigazione a vista ma con timoniere saldo.

Una maggioranza in fermento: il fronte ucraino e l’ansia da riforme

Il fronte più sensibile è quello che passa per via Bellerio. Sul decreto che proroga l’autorizzazione a inviare mezzi e materiali a Kiev, la Lega chiede “discontinuità” rispetto a una semplice proroga: più enfasi sulla cornice negoziale, più aiuti civili. Da Palazzo Chigi filtrano disponibilità alle precisazioni, senza toccare l’impianto. Le cronache di dicembre parlano di rinvii “tecnici”, di bozze apparse e scomparse, di un braccio di ferro in cui Meloni vuole evitare “nuovi incidenti” dopo le tensioni sulla manovra.

Più in generale, il 2026 porterà a compimento un ciclo di riforme identitarie per la destra di governo: dalla separazione delle carriere – su cui il referendum appare un passaggio ad alto tasso di politicizzazione – al premierato. Non è solo tecnica istituzionale: è il terreno su cui Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega misureranno gerarchie, consensi e margini di compromesso, con lo sguardo già rivolto al dopo-Europee e al ciclo amministrativo che, tra 2025 e 2026, potrebbe rimescolare gli equilibri locali e parlamentari.

Economia: poca crescita, molto debito, regole Ue più stringenti

La cornice macro è nota: crescita lieve, inflazione in calo, export “raffreddato” da dazi e venti di rallentamento globale. Le previsioni di Istat mettono sul tavolo un +0,8% per il 2026; Bankitalia colloca il Pil tra 0,6% e 0,7%; il rapporto debito/Pil tocca il picco in area 137% prima di ripiegare lentamente. A fronte di una domanda interna che regge, la domanda estera netta resta un freno. Il governo mira a consolidare un deficit intorno o sotto il 3%, condizione chiave anche per evitare contenziosi con Bruxelles alla riaccensione del Patto di stabilità.

Qui si misura la difficoltà di ogni manovra: conciliare promesse (taglio del cuneo, sostegni a famiglie e imprese, sanità) con una traiettoria di rientro. Nel pacchetto di fine anno, l’esecutivo ha rifinanziato capitoli sensibili – dalla sanità ai meccanismi per la produttività – e ha rafforzato misure come la tassazione agevolata sugli aumenti contrattuali. Ma è un equilibrio instabile per definizione: la stessa manovra è “cresciuta” di 3,5 miliardi in corsa per coprire nuove priorità come Transizione 5.0 e ZES.

PNRR, il cronometro corre

Il PNRR è il più gigantesco e misurabile dei dossier. La VII rata è arrivata in estate, portando gli incassi cumulati a quota ben oltre 140 miliardi e certificando – con molte sfide ancora aperte – uno stato di avanzamento giudicato “positivo” da Bruxelles. Ma il calendario è tiranno: tutte le tappe vanno chiuse entro il 31 agosto 2026, con rendicontazioni entro il 30 settembre e pagamenti finali entro il 31 dicembre 2026. Molti target – infrastrutture energetiche, trasporti a emissioni zero, digitale, sanità territoriale – sono concentrati proprio nell’ultimo semestre utile. Tradotto: il 2026 sarà l’anno della verità sui cantieri e sulla capacità amministrativa dello Stato.

Referendum e consenso: perché la primavera può pesare sull’autunno

Il referendum sulla giustizia – confermativo, quindi senza quorum di partecipazione – si terrà nella prima parte del 2026. Se passasse, consegnerebbe alla maggioranza un sigillo simbolico su uno dei temi identitari della destra. Se non passasse, aprirebbe un fronte politico e narrativo non banale, specie se abbinato a tensioni economiche o di coalizione. Intanto il cantiere del premierato avanza: la scelta di accelerare alla Camera a inizio 2026 è un segnale. Due binari che si incrociano con la comunicazione politica e che, inevitabilmente, impatteranno sui sondaggi.

La variabile alleati (e l’Europa che vigila)

Sul dossier Ucraina la Lega chiede “discontinuità”; su beni russi e strumenti finanziari europei le sfumature tra Salvini e Tajani sono state evidenti. La tenuta della coalizione non appare in discussione, ma la gestione quotidiana dei dossier internazionali promette frizioni. E nel 2026, con il PNRR in volata e il Patto di stabilità riattivato, la Commissione europea tornerà a pesare – politicamente e tecnicamente – su ogni scostamento, rimodulazione o slittamento. La differenza, spesso, la faranno i dettagli di decreti e atti attuativi.

La lezione del 2025: governare l’imprevisto

Il 2025 ha mostrato un governo capace di incassare, a fatica ma con metodo, il via libera alla manovra; di reggere urti mediatici e istituzionali; di evitare rotture irreparabili nella maggioranza. La “caduta” sotto il 30% nelle medie sondaggi non ha scalfito la centralità di Meloni, che resta il punto di riferimento del centrodestra. Ma la salita che porta al 2026 è più ripida: perché mette in fila tappe non comprimibili (PNRR), prove di piazza e di urna (referendum), scelte che non si possono rinviare (Ucraina), con un’economia che non offre rendite di posizione.

Se la premier avesse voluto edulcorare il brindisi, avrebbe potuto farlo. Ha preferito il “molto peggio”. È uno stile, forse anche una strategia: abbassare le aspettative per trasformare la gestione dell’ordinario in risultato. Funziona? Nel 2026 lo scopriremo. I numeri dicono che parte ancora in vantaggio. Il calendario, però, stavolta non farà sconti.