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La fiamma che brucia ancora: il video di La Russa sul Msi riapre la memoria scomoda della destra

Nel giorno dell’anniversario della nascita del Movimento Sociale, il presidente del Senato esalta il simbolo di “continuità” e “resilienza”. La reazione del centrosinistra è durissima: “Parole inaccettabili”. Ma dietro al messaggio si muove una storia fatta di rimozioni, revisioni e nodi irrisolti

Redazione La Sicilia

27 Dicembre 2025, 18:41

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La fiamma che brucia ancora: il video di La Russa sul Msi riapre la memoria scomoda della destra

La videocamera indugia su un salotto addobbato a festa, un Babbo Natale fa capolino e un albero scintilla. Davanti, in maglione blu, la seconda carica dello Stato. La voce è quella di Ignazio La Russa: “Quegli uomini non si arresero… scelsero come simbolo la fiamma”. È la sera del 26 dicembre e il presidente del Senato affida ai social un video per commemorare la nascita del Movimento Sociale Italiano. Un omaggio che diventa subito un caso politico: la “fiamma tricolore”, per La Russa, è “continuità” e “resilienza”; per il Partito democratico, è la prova di un’irrisolta relazione con il passato neofascista italiano.

Un anniversario che pesa

Il Msi nasce il 26 dicembre 1946 a Roma, dall’iniziativa di reduci della Repubblica sociale italiana e di ex esponenti del regime fascista. Tra i protagonisti: Giorgio Almirante, Pino Romualdi, Arturo Michelini, Biagio Pace. È un partito che si colloca fin dall’inizio nella tradizione del “non rinnegare, non restaurare”, rivendicando la continuità con la Rsi e posizionandosi fuori dall’arco costituzionale per un lungo tratto della storia repubblicana. La ricostruzione è consolidata nelle principali fonti storiche e di riferimento enciclopedico.

Dal 1947 il Msi sceglie come emblema la fiamma tricolore. Sull’origine del simbolo esistono letture diverse: per alcuni sarebbe un richiamo alla fiaccola degli Arditi; per altri la fiamma che arde sulla tomba di Benito Mussolini a Predappio, con il trapezio a evocare il basamento. Gli studi e le testimonianze ricordano che la fiamma fu adottata prima del trasferimento della salma del Duce nella cripta di famiglia a Predappio (avvenuto nel 1957), argomento usato da storici della destra per negare il legame con la tomba; rimane però una forte ambiguità simbolica, riconosciuta anche da sintesi enciclopediche.

Il video di La Russa: “Non si arresero”

Nel messaggio pubblicato sui social la sera del 26 dicembre 2025, La Russa ricorda il gruppo di “uomini sconfitti dalla storia” che “non tentarono di sovvertire con la forza”, ma fondarono un partito. La conclusione è un elogio della “fiamma” come “simbolo di continuità, e anche di amore, di resilienza… che guarda all’Italia del domani”. Le parole coincidono con passaggi già utilizzati dal presidente del Senato in altre occasioni pubbliche, in cui rivendicava l’orgoglio per la permanenza della fiamma come elemento identitario della destra italiana.

L’ambientazione domestica, la scelta del 26 dicembre e il lessico selezionato non sono casuali: La Russa è uno storico militante della destra post-missina e, da ottobre 2022, presidente del Senato. In più di un passaggio, anche recente, ha difeso la presenza della fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia, sottolineandone il valore di “segno grafico rimasto” dal dopoguerra a oggi.

Le reazioni: “Parole inaccettabili”

La risposta del Pd è immediata. Il deputato Andrea De Maria parla di parole “inaccettabili”, ricordando che chi combatté nella Rsi lo fece “a fianco dei nazisti”. Il collega Stefano Vaccari definisce “vergognoso” l’elogio della continuità con il Msi: “un’offesa a quanti, militari, partigiani, civili, hanno sacrificato la loro vita”. Federico Fornaro sottolinea l’assenza di un “ricordo storicamente corretto” delle ragioni della fondazione del Msi, contestando la narrazione di un movimento tutto proiettato al futuro. Le dichiarazioni, riportate da testate nazionali, ricalcano un copione consolidato nel confronto politico odierno: la memoria del passato fascista come punto di frizione sul piano identitario.

Non è la prima volta che La Russa viene accusato di indulgere verso simboli e memorie del ventennio. Nel 2023 rivendicò di conservare in casa un busto di Mussolini, “regalo” del padre, affermando di non avere intenzione di disfarsene; un episodio tornato spesso al centro del dibattito, fino alle schermaglie del 2025 con Carlo Calenda.

Il nodo dei simboli: perché la fiamma divide ancora

La valutazione della fiamma tricolore è, più che un dettaglio grafico, un terreno politico-culturale. Per la destra di governo, la fiamma rappresenta una “linea di continuità” con la tradizione della destra italiana, passata attraverso il Msi, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia, ma “adeguata ai tempi”. Lo ha ribadito La Russa più volte nel 2025, respingendo l’idea di rimuovere la fiamma dal simbolo di FdI. Altri esponenti del centrodestra, come il ministro Luca Ciriani, in passato avevano aperto a un possibile superamento, salvo poi frenare; segno di un dibattito mai chiuso.

Sul versante opposto, per Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, la fiamma resta “cordone ombelicale” con il fascismo e la Rsi, e il suo permanere nel simbolo di FdI è considerato il punto più evidente di un mancato scioglimento dei nodi storici. Nel commentare il video del 26 dicembre, alcuni esponenti di opposizione hanno rievocato il significato dell’emblema e le responsabilità del fascismo nelle persecuzioni e nelle stragi.

La zona grigia dell’“eversione nera”

Nel video, La Russa insiste sull’idea che i fondatori del Msi “non tentarono di sovvertire con la forza” e “accettarono il sistema democratico”. La storia del dopoguerra italiano, però, racconta anche altro: l’area dell’estrema destra fu attraversata da correnti e organizzazioni eversive, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, talora in dialogo, talora in conflitto con l’area missina, con episodi di violenza politica e stragismo nero. La giustizia italiana ha accertato responsabilità individuali, mentre la storiografia continua a discutere dei rapporti tra queste formazioni e pezzi degli apparati. In questo contesto rientra la vicenda di Carlo Cicuttini, indicato come “telefonista” della strage di Peteano del 31 maggio 1972 e già segretario della sezione Msi di Manzano in Friuli. Arrestato a Madrid nel 1982, nel 1983 la Audiencia Nacional spagnola negò l’estradizione; il suo legame con ambienti di Ordine Nuovo e il passato missino emergono nelle cronache giudiziarie dell’epoca. È un esempio che mostra quanto la linea di confine tra politica e eversione, negli anni della strategia della tensione, sia stata spesso opaca.

È bene ricordare che imputazioni e responsabilità vanno storicizzate e attribuite ai singoli: il Msi, come partito, ebbe posizioni ufficiali che si muovevano nel quadro legale, ma il suo retroterra e una parte della sua militanza furono permeabili a culture e reti che guardavano con simpatia o complicità a opzioni eversive. Un terreno che spiega la perdurante diffidenza di larga parte della cultura repubblicana verso la “continuità” simbolica con quella storia.

Il peso delle parole istituzionali

Che a firmare l’elogio della fiamma sia la “seconda carica dello Stato” non è un dettaglio. Il presidente del Senato è, per rango, una figura di garanzia. E tuttavia La Russa ha più volte messo in chiaro di voler coltivare una memoria “di parte”, valorizzando il canone della destra italiana e rivendicando l’orgoglio di una tradizione che dal Msi arriva a FdI. In passato ha respinto critiche e richieste di “spegnere” la fiamma; a giugno 2025 ne ha ribadito la funzione identitaria, sostenendo che “si può restare adeguati ai tempi senza perdere la propria identità”. È precisamente su questo crinale – identità vs. neutralità – che si consuma lo scontro odierno.

La memoria pubblica italiana non è un capitolo chiuso. La presenza, nel simbolo del partito di maggioranza relativa, di un emblema storicamente legato al Msi mantiene aperta la questione della distanza – culturale, prima ancora che politica – dal fascismo. Non aiuta, da questo punto di vista, il susseguirsi di polemiche legate a cimeli e dichiarazioni su episodi sensibili della storia nazionale: dal “busto” di Mussolini alla controversia sulle parole su via Rasella, per le quali La Russa ha poi corretto e chiesto scusa.

Un anniversario nella stagione della polarizzazione

Che il video sia arrivato proprio il 26 dicembre – data simbolica per la nascita del Msi – non è un dettaglio di calendario: alla vigilia dell’anniversario dell’eccidio dei fratelli Cervi, il messaggio ha assunto un valore politico che travalica la memoria di partito. Nel lessico scelto da La Russa (“resilienza”, “amore”, “continuità”) c’è il tentativo di ri-semantizzare la tradizione missina come filone patriottico e repubblicano. Nella reazione dell’opposizione c’è la difesa di un antifascismo inteso come fondamento della Costituzione e, quindi, della Repubblica. Due narrazioni incompatibili, che riemergono ciclicamente.

Il dato politico

Il video di La Russa è, al tempo stesso, un messaggio alla base di FdI e una sfida culturale al resto del sistema politico. Conferma che la destra di governo non intende rinunciare al proprio immaginario fondativo, pur rivendicando l’adesione alle regole repubblicane e democratiche. Ma ripropone anche la necessità – per l’intero arco politico – di misurarsi con la storia, senza reticenze né sfrangiature polemiche. Perché soltanto una memoria condivisa e “alta” può sottrarre simboli e anniversari alla contesa quotidiana.

Nel frattempo, la discussione continua. E continuerà finché la fiamma resterà, nel bene e nel male, un segno che “brucia” più della carta dei manifesti.