Fiducia al buio sulla Manovra alla Camera: il Parlamento guarda ma non tocca. E torna il fantasma del “Dov’è la democrazia?” di Meloni
Blindata la legge di Bilancio: maxi‐fiducia, 790 emendamenti destinati a restare lettera morta e un video del 2019 che riapre la questione della coerenza. Calendario serrato: fiducia lunedì sera, via libera finale martedì 30 dicembre
Un’aula grande come un teatro, una voce che rimbalza da un cellulare al banco della Commissione Bilancio: è il video del 2019 in cui Giorgia Meloni scandisce “Dov’è la democrazia parlamentare se il Parlamento non può discutere la legge di Bilancio?”. Sei anni dopo, sullo stesso palcoscenico istituzionale, la scena si rovescia: la maggioranza decide di porre la fiducia sulla Manovra anche alla Camera, impedendo modifiche e compressando il confronto. Il copione è ripetuto, ma gli attori si scambiano le parti: allora opposizione, oggi governo. Nel frattempo, in coda alla seduta, restano accatastati 949 emendamenti depositati in commissione, di cui 790 formalmente destinati all’Aula, e praticamente senza chance.
Il perno politico: fiducia anche a Montecitorio, testo blindato
La decisione dell’esecutivo di porre la questione di fiducia alla Camera dei deputati completa l’architettura di un iter già “chiuso” al Senato, dove il governo aveva incassato il via libera con 110 voti favorevoli, 66 contrari e 2 astenuti il 23 dicembre 2025. Il testo approda a Montecitorio non per essere cambiato, ma per essere confermato: ogni ritocco riaprirebbe il ping pong tra i rami e farebbe scattare lo spettro dell’esercizio provvisorio oltre la scadenza del 31 dicembre. Da qui la scelta – politica prima ancora che tecnica – di blindare la Manovra sul voto di fiducia, con la calendarizzazione in tre mosse: oggi l’approdo, lunedì dichiarazioni e voto sulla fiducia in serata, martedì 30 dicembre approvazione definitiva entro le 13. È la “corsa contro il calendario” che negli ultimi anni si ripete con puntualità quasi rituale.
La cifra del confronto: 949 emendamenti, 790 verso l’Aula (ma senza ossigeno)
La Commissione Bilancio ha giudicato ammissibili 949 proposte di modifica, tutte di opposizione. Di queste, 790 approderanno in Aula, dove però la vita di ciascun emendamento sarà brevissima: con la fiducia posta dal governo, l’esame si trasforma in una passerella di dichiarazioni politiche, non in una vera dialettica emendativa. È un metodo criticato – ieri da chi oggi governa, oggi da chi ieri governava – che mortifica il lavoro puntuale su commi e coperture, e che riduce la legge di Bilancio a un voto di sopravvivenza. Non è un’anomalia tecnica: è una scelta politica, reiterata negli anni, che comprime la funzione legislativa del Parlamento sull’atto più importante dell’anno.
Il paradosso in 30 secondi: il video del 2019 e la “doppia morale” in Aula
Il Partito Democratico ha portato in commissione il video di Giorgia Meloni del 2019, quando – dai banchi dell’opposizione – contestava la fiducia e il “monocameralismo di fatto” sulla legge di Bilancio, chiedendo “dov’è la democrazia se il Parlamento non può discutere?”. Oggi, con Meloni a Palazzo Chigi, l’iter è il medesimo: maxiemendamento al Senato, fiducia, testo “chiuso” alla Camera. È il cuore della polemica sull’incoerenza, che l’opposizione brandisce non per nostalgia, ma per denunciare una prassi diventata norma: si governa la Manovra a colpi di fiducia, e il Parlamento assiste.
Dietro le quinte del Senato: norme stralciate e cabina di regia in affanno
La sequenza di queste settimane racconta un navigare a vista. Al Senato, tra riunioni notturne e ri-scritture dell’ultimo miglio, alcune disposizioni sono state espunte dal maxiemendamento per evitare rilievi di incostituzionalità o attriti con il Quirinale. La fotografia ufficiale è nei numeri: fiducia sul maxi, voto finale, passaggio immediato alla Camera. La percezione politica, invece, è quella di una manovra cresciuta in corsa fino a circa 22 miliardi, con capitoli riscritti sotto pressione e con il governo che ha dovuto rimuovere pezzi diventati indifendibili. La maggioranza rivendica la “tenuta”; le opposizioni parlano di “pasticcio”. Entrambe le narrazioni trovano appigli reali: i voti ci sono, ma la rotta è stata tortuosa.
Cosa c’è (e non c’è) nella Manovra: le macro-aree e la dimensione finanziaria
La Manovra che si avvia al traguardo ha una dimensione finanziaria intorno ai 22 miliardi. Le linee di intervento dichiarate toccano lavoro, fisco, previdenza, famiglia e imprese. La maggioranza insiste su credibilità e stabilità dei conti, rivendicando misure “concrete” per enti locali, giustizia e sicurezza; le opposizioni contestano un impianto che, a loro giudizio, aumenta la pressione fiscale e non sostiene la crescita, chiedendo tra l’altro il ripristino del Reddito di cittadinanza – richiesta respinta in commissione. Sullo sfondo, le correzioni dell’ultimo minuto al Senato mostrano una consapevolezza: evitare contenziosi costituzionali e tenere insieme equilibri politici delicati vale quanto il saldo di finanza pubblica.