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Le mosse

Alla Regione impazza il toto-rimpasto: tutti i nodi al pettine di Schifani

La priorità di sostituire i due ex assessori dc: uno sarà riciclato con l’Udc. In Fi il rebus tecnici. FdI fra effetto-domino e “premi fedeltà”

Mario Barresi

29 Dicembre 2025, 07:27

Alla Regione impazza il toto-rimpasto: tutti i nodi al pettine di Schifani

Renato Schifani è sereno. E non per una doverosa predisposizione natalizia dell’animo. Nemmeno la prospettiva del rimpasto - che è un po’ come il cenone di San Silvestro: quando arriva, arriva - turba il mood presidenziale. Da Palazzo d’Orléans, dove oggi è in programma il tradizionale scambio d’auguri con i giornalisti, trapela la consapevolezza che nel 2025 i guai non sono mancati, ma sono stati maggiori i «risultati concreti» e «il prossimo anno sarà quello della svolta definitiva». Con un numero a tanti zeri (2.150.000.000 euro) scritto in rosso nel nuovo calendario sul foglio del mese di luglio. L’eventuale parifica dei rendiconti, sul tavolo della Corte di conti regionale, darà al governo Schifani un bazooka finanziario, potendo sfruttare gli avanzi di bilancio accumulati. Tanto più dopo il decisivo passaggio, sfuggito ai più distratti, della mancata impugnativa della manovra quater dell’Ars da parte del governo nazionale: superate le perplessità iniziali sull’«impostazione» dei conti siciliani, il Mef, grazie anche a un lavoro diplomatico su Giancarlo Giorgetti, ha concesso una sorta di silenzio-assenso che di fatto scongela la «bollinatura» della magistratura contabile. Magari non tutti i 2,1 miliardi saranno subito spendibili, ma il governatore sogna già una super-finanziaria estiva, per «aumentare le risorse di misure già varate per imprese e famiglie» e per «mettere in campo due-tre interventi di alto profilo» che «cambieranno la storia di questa legislatura». Spalancando le porte al gran finale della ricandidatura, «a quel punto una prospettiva naturale».

In questo scenario persino il rimpasto, pur restando un tormentone, non è più incubo. «Non c’è alcun pregiudizio: tutti i cambi di assessori, concordati con gli alleati, sono possibili», va ripetendo Schifani ai suoi interlocutori. Nessun tabù, ma solo il rispetto di una condizione: «Dare distensione e fiducia alla maggioranza». La priorità operativa, in teoria, sarebbe coprire innanzitutto i due posti lasciati liberi dalla Democrazia cristiana. Sul destino degli “orfani” di Totò Cuffaro ci sono più ipotesi. Quella più improbabile, al momento, è l’asse con Sud chiama Nord: l’intergruppo all’Ars annunciato da Cateno De Luca potrebbe pure farsi, ma la Dc «non farà il cavallo di Troia di “Scateno” dentro il governo regionale», assicurano fonti della giunta, rilevando come l’ingresso del sindaco di Taormina (che non avrebbe disdegnato l’idea di Danilo Lo Giudice nel «governo di Liberazione») «sfascerebbe molte più cose di quante ne risolverebbe». Capitolo chiuso, o quasi. Mentre cresce ogni giorno di più la prospettiva, alimentata dai contatti del governatore con Lorenzo Cesa, di un ritorno al passato grazie allo scudo (anch’esso crociato) dell’Udc. I cuffariani si riuniranno il 10 gennaio a Roma nel consiglio nazionale con all’ordine del giorno la «presa d’atto delle irrevocabili dimissioni» del segretario, ma soprattutto i «provvedimenti conseguenti». Senza il leader, rimasto ai domiciliari nell’inchiesta per corruzione a Palermo, la linea del partito rischia di non essere univoca. E dunque si fa strada l’idea, non ostacolata dal governatore, di un travaso di tutti (o quasi) i deputati nell’Udc, con Ignazio Abbate pronto a guidare le pecorelle smarrite. E a entrare in giunta, come ha sempre provato a fare anche con Cuffaro in auge. Eppure c’è chi è convinto che l’ex sindaco di Modica sia pronto ad annunciare, già all’inizio dell’anno nuovo, il suo ingresso in Forza Italia. «In quella provincia non abbiamo deputati regionali, sarebbe una cosa positiva», la risposta di Marcello Caruso agli azzurri iblei più riluttanti al nuovo acquisto. In questo schema Abbate avrebbe un posto da assessore «garantito» per la prossima legislatura e in giunta, da subito, potrebbe rientrare il democristiano Andrea Messina.

L’altra casella libera viene rivendicata dagli autonomisti in base a «un preciso accordo siglato, in presenza di Antonio Tajani, dopo le Europee». Raffaele Lombardo (ostinato sognatore del ritorno di Massimo Russo alla Salute) ostenta sornione di non essere più un frequentatore dei vertici di maggioranza né di Palazzo d’Orléans; ma i patti, sostengono i suoi, «vanno rispettati». Nonostante un alleato di peso giuri che «dopo le parole nel dibattito sulla sfiducia e il giallo nel voto della manovra, i rapporti fra Renato e Raffaele sono ai minimi storici: gelo siderale». Eppure in casa Mpa-Grande Sicilia prevale l’ottimismo. Tant’è che si discute già di nomi. In base anche al genere del nuovo ingresso in giunta. «Se dovrà essere un uomo c’è l’imbarazzo, se fosse una donna sarà tutto più semplice», si lascia scappare un big lombardiano. Tradotto: nel primo caso potrebbe esserci il deputato regionale Peppe Carta (che però dovrebbe dimettersi da sindaco di Melilli) o l’ex senatore ed ex assessore Antonio Scavone, garanzia di affidabilità; nella prospettiva in rosa, invece, si guarderebbe «alle province da rafforzare»: Trapani, ma anche Caltanissetta, partendo dalla stima del leader autonomista per l’assessora ai Servizi sociali di Gela, Valeria Caci, oltre che per la consigliera ex 5s Lucia Lupo.

Ma non è detto che Schifani non sfrutti uno dei due assessorati ex dc per rasserenare l’inquietudine dentro Forza Italia. Tajani, che a gennaio sarà in Sicilia per «fare spogliatoio», dà per scontato che il governatore rispetti la promessa, stimolata «per il bene del partito siciliano», di proseguire il mandato con «nostri assessori politici». I due tecnici d’area, Alessandro Dagnino e Daniela Faraoni, devono preparare gli scatoloni? Magari sì, ma forse non a breve e non in contemporanea. C’è chi, ad esempio, fa notare che il titolare dell’Economia sta svolgendo il delicato ruolo di ambasciatore presso la sezione di controllo della Corte dei conti regionale, che ha di recente rinnovato il vertice. Avrebbe un senso cambiare l’assessore nei mesi che precedono l’attesa parifica? Analogo interrogativo si pone per l’assessora alla Salute, che sta gestendo in prima persona l’interlocuzione con Roma sulla nuova rete ospedaliera. «Tutti siamo utili, ma nessuno è indispensabile», controbatte un integralista anti-tecnici. Che però non fa la stessa riflessione di un suo collega di gruppo: «Se il presidente deve cambiare gli assessori per mettere pace nel partito, rischia di ottenere l’effetto opposto». Anche perché il turnover forzista s’aggroviglia al congresso regionale del partito, previsto nella prossima primavera. I nomi in ballo sono tanti. Il più gettonato è quello del capogruppo Michele Mancuso, con l’alternativa (altrettanto gradita dal sempre influente Totò Cardinale) del collega Gaspare Vitrano. Più sullo sfondo la nomination di Nicola D’Agostino, localizzato come vicino alla linea di Giorgio Mulè (potenziale competitor presidenziale che Schifani vede come il fumo negli occhi), intenzionato a stare ben distante dalle dinamiche del rimpasto. Per la stessa ragione anche Marco Falcone potrebbe rinunciare a dire la sua, magari per giocarsi le fiches da “uomo della pace” per la segreteria regionale. Ma contro il tandem Falcone-D’Agostino è schierato il deputato Salvo Tomarchio, pronto a far pesare (non solo al congresso) i numeri pesanti del tesseramento sotto il Vulcano. Poi ci sono due potenziali assessore, Bernardette Grasso e Margherita La Rocca Ruvolo, che condividono il medesimo dilemma: per entrare in giunta dovrebbero lasciare la fascia tricolore rispettivamente nei comuni di Capri Leone e Montevago. La deputata del Messinese, già in un precedente “tagliando”, prese «un po’ di tempo per rifletterci» e poi la nomina sfumò. Sarà questa la volta buona?

Infine, dato per «assodato» che «almeno per il momento» la Lega «non intende modificare la sua delegazione in giunta» (lo farebbe, forse, solo se ci fosse un rimescolamento di deleghe) e dunque restano il vicepresidente Luca Sammartino e l’assessore Mimmo Turano, gli ultimi nodi da sciogliere restano dentro Fratelli d’Italia. «Ne riparliamo dopo le feste», avrebbe preso tempo il commissario regionale Luca Sbardella nella telefonata d’auguri natalizi con Schifani. Che, sulla questione morale che investe l’alleato più potente, si mostra laico. «La responsabilità penale è personale», continua a ripetere. Anche perché consapevole che se uscisse dalla giunta Elvira Amata (ancora difesa a spada tratta dai vertici del partito, a partire dal ministro Francesco Lollobrigida), coindagata e potenziale coimputata di Gaetano Galvagno, si aprirebbe «una questione politica» sulla presidenza dell’Ars. Mettendo in imbarazzo Ignazio La Russa. Ma FdI, comunque, s’è già portata avanti col lavoro: in caso di addio dell’assessora al Turismo, che resterebbe deputata all’Ars, entrerebbe in giunta la senatrice Ella Bucalo. Un effetto-domino, già sviscerato da La Sicilia diversi mesi fa, che aprirebbe le porte di Palazzo Madama a un altro assessore, Francesco Scarpinato, primo dei non eletti dopo Bucalo. E a quel punto anche la casella dei Beni culturali sarebbe libera. Magari per l’assessora palermitana Brigida Alaimo, molto vicina alla sempre più emergente (a Roma) Carolina Varchi. Anche se non tutti, nel partito, sono così certi di questa impostazione. C’è chi vorrebbe dare un riconoscimento a «chi ha dato tanto e ha sempre ricevuto poco o nulla», individuando nel ragusano Giorgio Assenza, capogruppo all’Ars, «la scelta ideale». E c’è chi, come il senatore Salvo Pogliese, spinge per dare lo stesso “premio” incassato dai primi dei non eletti alle Europee in Lombardia e Veneto: un posto da assessore regionale. In questo caso il destinatario sarebbe Massimiliano Giammusso, sindaco di Gravina, già piazzato al vertice del Parco dell’Etna. Ma vuoi mettere una poltrona a Palermo nell’anno in cui Schifani pensa che la sua giunta diventerà bellissima? E stavolta Nello Musumeci non c’entra.