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Tajani tra Mar-a-Lago e Palazzo Chigi: l’Italia spinge sul cessate il fuoco in Ucraina e blinda il decreto aiuti

Il vicepremier rivendica il sostegno al tentativo americano per fermare le armi, conferma nuovi aiuti a Kiev e rilancia l’identità liberale di Forza Italia con tre piazze a metà gennaio. Dentro la maggioranza, il braccio di ferro con la Lega si chiude su un compromesso: più sostegno civile, ma le forniture militari restano

Redazione La Sicilia

29 Dicembre 2025, 07:45

Tajani tra Mar-a-Lago e Palazzo Chigi: l’Italia spinge sul cessate il fuoco in Ucraina e blinda il decreto aiuti

L’Italia si mette in spalla la sua parte del negoziato sull'Ucraina e prepara un nuovo decreto di sostegno a Kiev. Nella stessa giornata in cui Donald Trump definisce “molto produttiva” la sua telefonata con Vladimir Putin e incontra Volodymyr Zelenskyj, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani fa due mosse: benedice il tentativo americano verso un cessate il fuoco e annuncia che Roma voterà un provvedimento con cui gli aiuti — anche militari — all’Ucraina continueranno. Con un dettaglio non secondario: le resistenze della Lega sono state assorbite in una formula che affianca alle forniture d’arma un pacchetto più robusto di sostegni civili.

Il quadro internazionale: “Progresso” americano, cautela europea

Nelle ultime ore, Washington ha moltiplicato contatti e simboli. Il 28 dicembre 2025, Trump parla con Putin e poco dopo riceve Zelenskyj in Florida, parlando di “progressi” e di un’intesa “nelle fasi finali”, pur ammettendo “nodi spinosi”, soprattutto sull’Est ucraino. A corredo, letture divergenti: ottimismo presidenziale negli Stati Uniti, scetticismo in diverse capitali europee sui tempi e sulla sostanza di una tregua che rischia di cristallizzare le linee del fronte.

È su questo crinale che Tajani colloca la posizione italiana: “Sosteniamo il tentativo americano per un cessate il fuoco” e “mi pare che si sia registrato qualche progresso”, dice il leader di Forza Italia, legando l’impegno diplomatico alla continuità del supporto a Kiev “militare, economico, finanziario e politico”, oltre che alla futura “ricostruzione”. Parole che allineano il governo di Giorgia Meloni alla strategia euro‑atlantica, con la classica clausola di prudenza: “Speriamo che Putin voglia davvero la fine del conflitto”.

Il decreto aiuti: proroga, armi e un pacchetto civile rafforzato

Sul tavolo del Consiglio dei ministri arriva un decreto che rinnova l’autorizzazione italiana alla cessione di “mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari” a Kiev, sul modello delle proroghe annuali approvate sin dall’inizio dell’invasione russa. La novità politica, frutto di giorni di trattativa nella maggioranza, è l’espansione del perimetro civile: più fondi e strumenti per sanità, energia, logistica e protezione delle infrastrutture. Non un dettaglio cosmetico, ma un compromesso sostanziale utile a sigillare l’intesa con la Lega, che nelle ultime settimane aveva chiesto “priorità agli aiuti civili”. Resta però ferma l’architrave: l’Italia continuerà a fornire supporto militare, in linea con i dodici pacchetti già inviati e con il contributo alle difese aeree ucraine.

Dietro le quinte, la dinamica è nota: il Carroccio ha rallentato fin dall’inizio di dicembre, invocando un provvedimento “diverso per forma e contenuti” e segnalando scetticismo sulla mera proroga delle forniture. Palazzo Chigi, memore delle tensioni della notte della manovra in Senato, ha scelto l’innesto di una clausola “civile” più visibile per blindare il dossier Ucraina ed evitare un secondo incidente politico in pochi giorni. Ora la rotta è tracciata: un voto in Cdm e poi il passaggio parlamentare nei 60 giorni fissati dalla legge per convertire i decreti.

Cosa c’è nel pacchetto civile

Il compromesso raggiunto indica alcuni filoni di intervento “non solo semantici”: sanità d’emergenza, ripristino della rete elettrica, ricostruzione di infrastrutture critiche e logistica umanitaria. Un terreno che parla alle opinioni pubbliche europee stanche della guerra, ma soprattutto risponde a esigenze reali dell’Ucraina, alle prese con attacchi alle infrastrutture energetiche e in vista di un inverno difficile. In questa cornice, Tajani rivendica il progetto italiano di “guidare” il capitolo ricostruzione e le iniziative diplomatiche per un cessate il fuoco “giusto e duraturo”, con eventuale presenza internazionale di controllo decisa dal Consiglio di Sicurezza.

La linea italiana a confronto con quella europea e atlantica

Il perimetro resta quello fissato dalla NATO e dall’Unione europea: sostegno all’Ucraina finché necessario per riequilibrare i rapporti di forza e aprire una trattativa non dettata dalle conquiste sul terreno. Qui si innesta il nodo americano: la spinta di Trump alla trattativa — con un ruolo diretto della sua squadra — potrebbe accelerare una tregua, ma la partita su confini e garanzie di sicurezza resta aperta. Dall’inizio del 2022, l’Italia ha affiancato Kiev con forniture militari e con la partecipazione a pacchetti di sanzioni contro Mosca, evitando però avventure solitarie e ancorando ogni passo alle decisioni comuni.

La frizione con la Lega e la gestione Meloni

Si vis pacem, para bellum”, ha ripetuto Meloni nel collegamento con i contingenti italiani all’estero, smarcandosi dall’idea che rafforzare la difesa significhi “cercare la guerra”. Un messaggio destinato anzitutto agli alleati: dopo le scintille sulla legge di bilancio, la premier non vuole repliche sul decreto Ucraina e ha concesso alla Lega la visibilità dell’innesto civile, preservando però la continuità strategica. È la fisiologia di una coalizione che include anime diverse, ma che sugli interessi di sicurezza mantiene un baricentro stabile.

Le parole di Tajani: libertà e atlantismo come bussola

Nel colloquio con il Corriere, Tajani scandisce la grammatica azzurra: “Siamo nel Ppe, europeisti, atlantisti, cristiani, liberali”, e sul fronte esteri rivendica una postura netta: “Aiutiamo l’Ucraina perché è una battaglia di libertà” che riguarda “la sicurezza dell’Europa”. Non è un dettaglio identitario: il leader di Forza Italia ribadisce che non c’è “guerra con il popolo russo”, ricordando il voto di Silvio Berlusconi contro l’invasione al Parlamento europeo e tracciando un confine tra responsabilità del Cremlino e relazioni tra i popoli. In controluce, anche un messaggio agli alleati di governo e agli elettori moderati: l’asse euro‑atlantico non è negoziabile.

Cosa cambia per Kiev (e per Roma) se la tregua arriva davvero

L’orizzonte evocato da Tajani — cessate il fuoco, negoziati diretti tra Zelenskyj e Putin, garanzie di sicurezza e ricostruzione — richiede alcuni tasselli: un meccanismo di verifica internazionale credibile; un perimetro di salvaguardia per l’Ucraina che non congeli la superiorità militare russa; risorse certe per la ricostruzione, dove l’Italia punta a un ruolo da capofila in alcuni settori (energia, infrastrutture, sanità). Un equilibrio complesso, che dipende anche dalla reale disponibilità del Cremlino. Non a caso, negli scorsi mesi lo stesso Tajani ha alternato segnali di apertura a moniti sulla cautela: “bene il dialogo, ma il cessate il fuoco non è immediato”.

Se la tregua maturasse, il decreto italiano — con l’innesto civile — funzionerebbe da ponte: continuità militare finché serve, più strumenti per stabilizzare le aree critiche (ospedali, energia, infrastrutture di base), velocizzando il passaggio dal tempo della resilienza a quello della ricostruzione. In caso contrario, il messaggio è che l’Italia non allenta: “finché c’è guerra, Kiev non sarà lasciata sola”. Una linea che Meloni ha ribadito a più riprese e che Tajani innerva di lessico europeista: “pace giusta e duratura” non è un’etichetta, ma la condizione perché il conflitto non si trasformi in un armistizio perpetuo.