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Sammartino e la catena di montaggio del consenso: «Non parole, ma i voti»

Di Mario Barresi |

Catania. Poco prima delle ultime Regionali, un suo fedelissimo, fra gli indagati per corruzione elettorale, conia uno slogan benaugurale: «A Novembre Sammartino! Il 5 i voti. L’11 castagni e vinu». Un altro supporter, baciato dalla grazia di un lavoro per il fratello, gli giura fedeltà eterna: «Per te sempre a disposizione con tutta la mia famiglia a vita». Ma lui, animale politico, non si lascia prendere dai sentimentalismi: «Voglio l’elenco dei tuoi amici che vanno a votare», perché «nessuno si può intestare il risultato di altri», scrive a un sostenitore alla vigilia delle urne. Perché, scandisce a un altro che batte la fiacca, «a me le chiacchiere non piacciono, i numeri contano». E a chi lo implora («C’è la possibilità che tu possa darmi qualcosa di lavoro?», «Posso avere una risposta siamo disperati») risponde dopo tempo con un criptico «tt aposto». E poi viene al punto: «Li hai presi i volantini?». «Quali scusa?», la risposta istintiva. «I miei, passa a prenderli in sede».

Benvenuti nel meraviglioso mondo di Luca Sammartino. Un genio della lampada. Pronto a esaudire i desideri dei suoi elettori, sfregando il suo smartphone per trovare il contatto giusto. E fra le 4.102 chat Whatsapp aperte dal 2014 al 26 febbraio 2018 (data del sequestro del cellulare, da cui parte l’indagine della Digos), con 390mila messaggi censiti dalla polizia postale, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Ma anche un moltiplicatore naturale di pani (i sostenitori in una rete concentrica molto radicata sul territorio) e di pesci (i voti chiesti, cercati e infine ottenuti), senza lasciare nulla al caso.

Nelle 112 pagine di informativa della Digos ai pm di Catania, l’universo infinito di contatti (un file pdf di 74.500 pagine solo per unificare tutti i messaggi di vario tipo contenuti nel cellulare sequestrato al deputato regionale) viene scremato in un campione di 11 ipotesi di reato. Con annesse storie. Piccole e grandi. Umane e politiche, prima ancora che criminogene. Uno dei pesci più grossi dell’acquario elettorale di Sammartino è il sindaco di Aci Castello, Carmelo Scadurra, indagato per fatti precedenti alla sua elezione come candidato patchwork moderato. Scandura, secondo l’accusa, chiede e ottiene l’assunzione del figlio Filippo (non indagato) all’Higea, azienda di servizi biomedici, «come contropartita per il proprio sostegno», scrive la Digos. Al referente castellese Sammartino chiede riscontro del tesseramento nel Pd. «Quante?», gli domanda. «Quante ne hai chieste tu: scientifico 14 Aci Castello 14 Acicatena 1 Acireale». Gli incontri all’hotel Nettuno con nuovi elettori, la campagna per Matteo Renzi alle primarie del 30 aprile 2017, la vittoria del leader. In mezzo la “vertenza” del figlio di Scandurra. «Non dimenticare di chiamare quella persona», scrive il futuro sindaco. «Ho riferito aspetto risp», lo rassicura Sammartino. Che contatta Enrico Labella, ex consigliere delegato di Althea, antenata di Higea, poi arrestato nel febbraio 2018 in una maxi-inchiesta su appalti truccati in Alto Adige, estraneo a quest’indagine. Poi arriva la conferma: assunto dal 1° agosto. E così sarà. In piena estate parte la campagna elettorale: Scandurra, «al fine di saldare il proprio debito di riconoscenza», è già in trincea. «Carmelo iniziamo a stringere al massimo», lo incalza il candidato. Cinquemila “santini” presi in segreteria e un sms da inviare per il “vota e fai votare” Sammartino e Valeria Sudano. «Se non ti piace lo modifico», dice dopo aver inviato una bozza. «Fallo più secco, prima parte levala», la correzione in tempo reale. Dalle Regionali alle Politiche. Ma stavolta con più convinzione sul messaggino elettorale: «Non mi dire che non ti piace… ormai è partito».

All’Higea trova posto anche Giuseppe Musumeci, ex capogruppo di Articolo 4 a Palazzo degli Elefanti. Il quale «rivendica il titolo di ingegnere». E dunque vuole fare carriera. Stage, trasferimento da Trapani a Messina e poi a Catania. Sammartino sollecita il manager Giuseppe Bonanno (non indagato). Nel frattempo Musumeci batte la fiacca dal punto di vista elettorale. «Poi nessuno che si occupa di politica cazzo Pippo datemi una mano», è il sollecito del renziano. Che nota l’assenza del consigliere a un affollato incontro per Renzi. «Mi è dispiaciuto non vederti». Ma intanto viene proposto un contratto a tempo determinato. E il consigliere si lamenta. «Pensiamo alle primarie… Prima… Poi si pensa», taglia corto il leader. L’assunzione arriva il 2 maggio 2017. E, nella prospettiva di una carriera da «ingegnere», la vis elettorale ha un picco: «Prontissimo per la tua campagna elettorale, e ti prometto che darò il massimo», scrive il 16 giugno. Il candidato all’Ars lo prende in parola: «Che stai facendo – lo rimprovera con un sms a luglio – ti programmi le ferie mentre gli altri mi levano i voti?». Ed è già autunno: «Stiamo facendo la valle per te», assicura Musumeci. Ma l’interlocutore non va per il sottile: «Ho bisogno di capire quanto produci su Barriera e altri». Giusto il tempo di festeggiare l’elezione di Sammartino e Sudano all’Ars e si ricomincia. «Accendi i motori per le politiche, sto tornando da Roma» scrive il deputato l’11 gennaio.

Aziende private, in cui un imprenditore può assumere chi vuole. Ma anche pubbliche. O meglio: partecipate. Come nel caso della Pubbliservizi della Città metropolitana di Catania. Nella primavera 2017 l’amministratore unico è Silvio Ontario, ex golden boy nella Confindustria Sicilia di montantiana memoria, oggi affermato imprenditore fra Sicilia e Malta. «Risolviamo il problema di Capuano», gli intima Sammartino. Riferendosi a Damiano Capuano, poi consigliere di circoscrizione con DiventeràBellissima. Alias “Damiano Tortellino” nella rubrica del cellulare del deputato renziano, che registra invece il padre Salvatore Capuano come “Tortellino 3 Municipalità” per distinguerli pur evocando il locale che gestiscono. Entrambi indagati assieme a Sammartino. «O viabilità o manutenzione, importante che non va nella custodia», incalza il politico. Il manager pubblico risponde con una rassicurazione iconografica: un selfie assieme dipendente, inviato in tempo reale. «Pensaci tu a Capuano non ci sono alibi», l’ultimatum di Sammartino il 6 luglio 2017. Due giorni dopo – «definita positivamente la faccenda del figlio», annota la Digos – Capuano si mette «a disposizione del suo benefattore». L’sms non lascia dubbi: «Aspetto ordini e grazie sempre di tutto (…) Non finirò mai di ringraziarti, voglio dimostrarti con i fatti e sul campo la mia fedeltà ma dammi terreno su cui seminare». Seguiranno, verso le Regionali, foto con un ventaglio di volantini, screenshot di messaggi ricevuti con scritto «votato per Luca!» e persino una scheda elettorale fotografata nell’urna. La vittoria finale è una gioia condivisa. «Non sono mai stato così felice dopo una tornata elettorale! Manco quando è salito mio padre», scrive Damiano al neo-rieletto.

Una macchina elettorale perfetta, paragonabile – per non scomodare le vecchie segreterie democristiane – soltanto alla forza avvolgente di Totò Cuffaro e alla maniacale organizzazione di Raffaele Lombardo. Non a caso nei palazzi palermitani si vociferava, prima che emergesse l’inchiesta, che “Mr. 32mila preferenze” stesse studiando da governatore. All’Ars il deputato renziano, oltre a essere invidiato per il suo consenso record, è comunque apprezzato per la sobrietà, ma soprattutto per lo studio dei problemi e la capacità di mediazione. E non è un caso che, dopo la discovery dell’indagine, non ci sia stata una sola presa di posizione contro di lui.

Ma la capillare rete di Sammartino, al netto della spregiudicatezza, è davvero strumento di corruzione elettorale? Certamente sì per i pm che, mentre approfondiscono altre piste fornite dalla “scatola nera” dell’indagato, si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio per i casi in cui ritengono sia tracciata la “filiera”: dai favori ai voti, tutto provato con un nesso di causalità. Non sarà così, invece, per il difensore del deputato regionale, Carmelo Peluso, che sta per presentare una memoria in Procura. Magari partendo da una tesi: non c’è reato se corrotto e corruttore non formalizzano un pactum sceleris. E i rapporti fra Sammartino e i suoi portatori di consensi, fidelizzati da tempo, prescinderebbero – in quest’ipotesi di linea difensiva – da qualsiasi patto. Come dire: a ogni elezione il “vota Luca, vota Luca” scatta col pilota automatico, senza chiedere né avere nulla in cambio. Scenario suggestivo. Ma fino a che punto dimostrabile, chat (e non solo) alla mano?

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