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Da Musumeci che non si “slega”, alla beata “isolitudine” del Pd: gli effetti delle elezioni in Sicilia

Di Mario Barresi |

CATANIA – Ognuno, come sempre accade in giornate come questa, tira acqua al suo mulino. Magari analizzando soltanto una parte (talvolta minima) dei dati, quella che gli fa più comodo. Ma quali sono gli effetti delle Regionali di domenica sulle già tormentate dinamiche della Sicilia?

M5S giallo di paura

Più che all’Emilia Romagna, i cinquestelle guardano – con terrore – all’altra sponda dello Stretto. In Calabria il miserrimo 6% è un monito pesante. Un tonfo vero e proprio (dopo il 43% alle Politiche e il 26% alle Europee, comunque primo partito), in una regione molto assimilabile alla nostra.

«Se non stiamo attenti ci finirà così», è il tetro presagio-monito che circola anche nei corridoi dell’Ars. Dove c’è da pelare un’altra gatta: la pesante spaccatura nel gruppo, fra “apocalittici” e “integrati”, rispetto alla linea di opposizione da tenere. Dopo le prime picconate di Angela Foti su La Sicilia («Clima pessimo, siamo separati di fatto», anche altri deputati sono usciti allo scoperto. L’ultimo, su LiveSicilia, è Matteo Mangiacavallo: «Dissidente è chi dice no a tutto». Molto più esplicito Sergio Tancredi, che ammette il «rischio di scissione all’Ars» e confessa di essere «pronto a lasciare», un addio in cui «non sarei solo». Tancredi, avvistato sempre meno di rado nelle stanze di Palazzo d’Orleans, conferma «un rapporto di amicizia e stima personale col presidente Musumeci, nato fra i banchi dell’opposizione nella scorsa legislatura», ma rivendica di essere rimasto «grillino al cento per cento». E riflette a voce alta: «Quando Cancelleri offriva al governatore “un foglio e due penne per scrivere le riforme” o Corrao parlava di “sana collaborazione sui temi”, perché nessuno li attaccava? Io mi limito a dire che dovremmo votare le cose utili per i siciliani. E mi massacrano».

Oltre a Foti, Mangiacavallo e Tancredi, le più perplesse sulla linea dura contro il centrodestra restano Elena Pagana e Valentina Palmeri. «Ma da qui a immaginare, almeno da subito, la scissione di un gruppo di responsabili ce ne passa», ragiona un vecchio saggio pentastellato. Da Roma è arrivata qualche telefonata all’insegna del «ma che state combinando?» e pure Giancarlo Cancelleri segue la vicenda dalla giusta distanza. Il sottosegretario ha sentito anche i facilitatori regionali, investendoli del caso Ars: «Ragazzi, adesso tocca anche a voi». Il finale più probabile, al netto del sempre possibile strappo di uno-due “collaborazionisti”, sarà un chiarimento da spogliatoio, forse oggi stesso, in cui i 20 grillini di Sala d’Ercole se le canteranno senza musica, magari arrivando al compromesso che qualcuno già anticipa: «Parliamoci di più, perché è questo che è mancato, e studiamo nel merito ogni singola norma».

Musumeci non si (s)lega

L’altro effetto collaterale delle Regionali alle due diverse latitudini, nel centrodestra siciliano, si materializza soltanto attraverso bisbigli. «Salvini voleva far saltare il banco in Emilia e non c’è riuscito. E in Calabria vinciamo perché sono forti tutti gli altri alleati», scandisce un esperto “guru” della coalizione. Non a caso Nello Musumeci e Gianfranco Miccichè si precipitano a festeggiare la neo-governatrice Jole Santelli; il primo auspicando «una strategia comune per interloquire con il governo centrale sui temi del Sud», il secondo per enfatizzare «un’icona di Forza Italia» protagonista della vittoria in Calabria, da cui il partito «deve ripartire».

Nessun cenno, fra i big siciliani, all’Emilia. Come se lì non si fosse votato. E allora si deve tornare ai ragionamenti su cui è introvabile qualcuno che ci metta la faccia. «La Lega, anche in Sicilia, dovrà calarci un po’ il prezzo», è il mood più inconfessabile. Con la speranza, ancorché non suffragata da numeri, che anche nell’Isola «il blocco dei moderati, ma anche la crescita della Meloni» possa far sì che «i salviniani padani vogliono fare i padroni a casa nostra». E ciò, in controluce, significa che la raffinata strategia di Miccichè, soltanto in apparenza una resa, di seppellire l’ascia di guerra ai leghisti e di assistere alla fuga (qualcuno dice «un prestito ben studiato») di forzisti al Carroccio, può essere quella vincente.

Ma Musumeci non si (s)lega. Al ritorno dagli Usa incontrerà i luogotenenti di Salvini in Sicilia. «Così come farà con tutti gli altri alleati», si affrettano a precisare dal suo entourage. I risultati di domenica notte cambiano i rapporti di forza nella doppia trattativa aperta da governatore (sull’ingresso della Lega in giunta) e da leader di DiventeràBellissima (sulla federazione con la Lega)? Non in modo sconvolgente. Ma è chiaro che adesso il leader leghista potrà essere più interessato ad avere un «suo governatore», nella logica delle bandierine sulle regioni, acuita dalla rivalità sempre più accentuata con Giorgia Meloni. E anche disposto a ripensare la sua nomination di Salvo Pogliese candidato governatore, magari per un Musumeci-bis.

Il Pd e la beata isolitudine

E allora il Pd? Mentre i vertici del Nazareno, da Zingaretti a Orlando, si affrettano a ringraziare le Sardine per il contributo (misurabile anche in termini di mobilitazione degli astensionisti) dato alla causa di Bonaccini, in Sicilia sembra vivere in uno stato di beata isolitudine.

Vedremo se la lezione emiliana sortirà qualche effetto anche nell’Isola. Ma il quadro di partenza non promette bene. I dem si preparano al congresso regionale dopo aver registrato un pesante calo di iscritti: da 40mila a 10mila, con l’attesa di altri 3-4mila dai Giovani democratici. Sarà pure che vero che in molti casi si trattava di “dem virtuali”, spesso legati alle competizioni dei signori delle tessere, eppure i dati non sprizzano ottimismo. Così come sembra anacronistica, seppur nel rispetto delle regole del partito, la scelta di celebrare un congresso regionale “blindato” (Anthony Barbagallo il favorito) ai soli iscritti in un momento in cui il modello del “Pd aperto” (non solo alle Sardine, movimento peraltro ancora poco radicato nell’Isola) si dimostra fonte di vitalità, oltre che di riscontri elettorali.

Magari ci sarà un ripensamento. E ci sarà modo di testare le unioni civiche alle Amministrative di primavera. Anche per non farsi scavalcare a sinistra dai renziani che, con Nicola D’Agostino (non è dato sapere quanto Luca Sammartino concordi), lanciano già i nomi – Claudio Fava, Pietro Bartolo, Leoluca Orlando – di potenziali leader aggregatori di un vasto fronte di centrosinistra. Certo, da qui al 2022 c’è tempo. Ma perché restare immobili e non cavalcare un trend vincente?

Twitter: @MarioBarresi

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