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Il manager anti-tangenti, i dossieraggi e “il bambino”

Di Alfredo Pecoraro |

 PALERMO – Un altro tassello del domino di quel cerchio dell’antimafia e della legalità che per tanto tempo ha spadroneggiato in Sicilia finisce travolto in un’inchiesta giudiziaria che svela interessi e trame di faccendieri, imprenditori e burocrati su maxi appalti nella sanità pubblica con un vertiginoso giro di mazzette.

La bomba giudiziaria arriva durante l’emergenza Covid-19. Questa volta a cadere dall’Olimpo degli «intoccabili» è il manager anti-tangenti Antonio Candela, messo pure sotto scorta per le sue denunce di qualche anno fa: è accusato di avere intascato tangenti in una indagine della Guardia di finanza che ha portato all’arresto di dieci persone, altre due indagate. Dall’inchiesta, che si riferisce ad appalti assegnati quattro anni fa, affiorano personaggi ambigui che usavano o millantavano relazioni utilizzando il sistema sanitario come un bancomat.

Gli indagati, rivela l’indagine, minacciavano dossieraggi per accaparrarsi poltrone di potere ed erano disposti a tutto. Proprio Candela, tre mesi fa, era stato nominato dal governatore Nello Musumeci a capo della task force sanitaria anti-Covid per coordinare le strutture sanitarie: dall’ordinanza del gip, Claudia Rosini, ora si scopre che proprio Candela avrebbe ordito trame nel tentativo di entrare a far parte del governo.

L’inchiesta «Sorella Sanità» ruota attorno a quattro gare d’appalto indette dalla Centrale unica di committenza della Regione siciliana (una sorta di Consip regionale) e dall’Asp 6 di Palermo per un valore di quasi 600 milioni di euro. Le dodici persone coinvolte (10 arrestati) sono accusate, a vario titolo, di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti; tra gli indagati anche il deputato regionale Carmelo Pullara, vice presidente della commissione Sanità all’Ars, mentre il manager dell’Asp di Trapani Fabio Damiani è finito ai domiciliari. Sequestrate in via preventiva 7 società, con sede in Sicilia e Lombardia, e disponibilità finanziarie per 160 mila euro, pari all’ammontare allo stato accertato delle tangenti già versate. Il giro di mazzette, secondo gli inquirenti, però sarebbe di almeno 1,8 milioni di euro.

Dalle conversazioni intercettate emergono intrighi per fare in modo che Musumeci togliesse la delega di assessore alla Sanità al suo “delfino”, Ruggero Razza, definito «il bambino», che il governatore «avrebbe dovuto levare «dai coglioni» per fare assessore proprio Antonio Candela.

«È stata disvelata l’esistenza di un quello che può essere definito un vero e proprio centro di potere», dice il comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria, Gianluca Angelini. Intercettazioni telefoniche e ambientali rivelano che gli indagati «applicavano un vero e proprio tariffario sulle commesse alle quali bisognava applicare il 5% che corrispondeva alla mazzetta che avrebbero introitato nel tempo». I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante, spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanome, ma riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l’individuazione del «sistema», gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate.

«La Regione sarà parte civile e ho dato disposizioni di passare al setaccio tutte le gare, perché anche procedure iniziate nel 2016, come quelle oggetto dell’indagine odierna, possono avere prodotto i loro effetti in epoca successiva», avverte Musumeci. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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