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La ricandidatura “scontata” di Musumeci, ma la fronda non molla

Di Mario Barresi |

Catania. La lente d’ingrandimento, a Palazzo d’Orléans, si sofferma su quel 49,8% del sondaggio di metà maggio. Sono i giorni, tormentati, dell’ingresso della Lega nel governo regionale. Dalla protesta allo sdegno, con quel «poveretti, alcuni anche con problemi personali e familiari» usato da Nello Musumeci parlando dei contestatori. La rilevazione è precedente: fra il 15 e il 18 maggio. «Ma se il dato resta quello – gongolano i suoi – allora la tempesta davvero è passata». E se la fiducia in Musumeci (40% a livello nazionale, più di Giorgia Meloni e Matteo Salvini) si mantenesse così distante dal desolante ultimo posto nella “Governance Poll 2019”, «allora Nello la ricandidatura non dovrà nemmeno chiederla: sarà scontata», riflettono nel “Pizzo Magico” fra ottimismo e realpolitik.

Ma il 2022 è molto vicino o lontano a seconda della prospettiva da cui lo si guarda. Il ColonNello cavalca l’onda lunga del consenso sulla gestione dell’emergenza, ma «fra un po’ ce ne andremo a mare – confida una voce critica del centrodestra – e il virus ce lo saremo scordati. In autunno si ricomincia…». Dagli ultimi nodi extra-Covid. A partire dal clamoroso strappo del governatore con l’Ars. Il Pd evoca la mozione di sfiducia. Che magari sarà sterilizzata in una seduta in cui Musumeci «relazionerà sullo stato di attuazione del programma». Un modo per obbligarlo a tornare a Sala d’Ercole, dove non mette piede dal 29 aprile. Data della sfuriata contro il renziano Luca Sammartino sul voto segreto, con l’infelice gaffe sui «ben altri palazzi» e la plateale uscita dall’aula.

Ma i testimoni di quella sera raccontano un inedito retroscena: il duro scontro con Gianfranco Miccichè. Tutto parte da una consuetudine: dopo l’approvazione della finanziaria, da sempre, la giunta si riunisce nella “sala del governo” riservata all’Ars. «Dove siete?», chiede in serata Miccichè a un imbarazzato Toto Cordaro, assessore-giannizzero. Risposta: «Siamo in presidenza, la giunta la vuole fare qui». A questo punto l’aut aut del presidente dell’Ars: «O vi riunite qui, come si fa da settant’anni, o vi tolgo la stanza per sempre e non lo faccio più entrare!». Dopo quasi un’ora di negoziato, il governo Musumeci torna a Palazzo dei Normanni, dove vota la delibera post-manovra.

La cicatrice è rimasta. Coperta, nel vertice sul rimpasto (in cui Miccichè ha fatto pastetta con i salviniani), ma destinata a infiammarsi sulla legge anti-burocrazia. Che a Musumeci provoca l’orticaria già per il nome (“ddl Sammartino”), evocandogli un asse trasversale su cui i frondisti puntano anche in prospettiva. Una delle carte di Miccichè per restare sempre mazziere. Nonostante l’emorragia di forzisti e gli ultimi segnali di Silvio Berlusconi, che ha blindato Gaetano Armao, tornando in pressing sul viceré: «Scegli presto il tuo successore oppure lo indico io».

La fiducia record nei sondaggi frena i complottisti. Ma non li ferma. «Il consenso è un’altra cosa». Sottotraccia il tormentone («che dobbiamo fare con Nello?») e la ricerca di un’alternativa. Ma Musumeci avrà presto un’arma in più: i cinque “diversamente grillini”, che stanno già assoldando lo staff per il nuovo gruppo in attesa di essere cacciati dal M5S. Non entreranno in maggioranza (subito), ma renderanno Musumeci meno esposto al fuoco amico dell’Ars. Un’abiura che i 5stelle attribuiscono anche ai magheggi di Ruggero Razza. Non a caso oggetto dei virulenti strali social di Giancarlo Cancelleri sull’arresto del manager Antonio Candela: «Andrebbe preso a calci nel culo (Razza, ndr), dovrebbe chiedere scusa e un minuto dopo stracciare il suo tesserino d’assessore e ritirarsi a vita privata. Uno che combina una tale minchiata non è degno di fare nemmeno il consigliere nell’ultimo comune. Razza, vedi di andare a casa, di toglierti di mezzo: quella persona l’hai nominata tu, nonostante Miccichè lo avesse sconsigliato a te e a Musumeci». E oggi per l’assessore parte una settimana delicata.

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