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Ponte sullo Stretto, se non ora quando? L’asse delle Regioni con Salini-Impregilo

Di Redazione |

CATANIA – Ora che – con sempre meno ma e qualche se – il Ponte è stato sdoganato da quasi tutti, i “pontisti” da sempre rischiano di restare tagliati fuori. Se il pallino dell’opera più tormentata del secolo restasse, com’è logico che sia, in mano al governo giallorosso (fra le sempre meno timide aperture del Pd e il tormento esistenziale del M5S, con Matteo Renzi che spinge e la sinistra che sbandiera il vessillo del no), sarebbe una doppia beffa per chi questo progetto l’ha sempre sostenuto.

E così, nel centrodestra, dove Mateo Salvini ha indossato idealmente una sgargiante felpa con la scritta “Scilla&Cariddi”, c’è chi adesso più che mai rivendica la primogenitura del sostegno all’infrastruttura finita nella soffitta della politica e all’improvviso, «perché l’alta velocità deve arrivare fino in Sicilia», tutti dicono di voler realizzare. Una crociata di cui Forza Italia prova a riappropriarsi, ad esempio sfidando i dem a votare gli emendamenti al Decreto Rilancio, i quali prevedono proprio il Ponte. Ma non sono più i tempi in cui Silvio Berlusconi faceva sognare i sostenitori della faraonica opera. Oggi ci vuole dell’altro, per giocarsi la partita – politica, ma anche mediatica – del Ponte, provando a sfilare a Pd e Renzi la golden share dell’ondata pontista, provando ad arginare anche la foga leghista.

E così le due sponde sono riunificate da un’unica strategia. Che passa dai governatori di Sicilia e Calabria. Iole Santelli, soltanto in parte, l’ha rivelata: «Penso che sia necessario ipotizzare al più presto un incontro anche con il presidente della Regione Siciliana, per valutare la possibilità di realizzazione di un’opera che ritengo strategica non solo per il futuro di Calabria e Sicilia ma per quello dell’intero Paese».

Nello Musumeci, sostenitore della necessità di realizzare l’opera anche quando era da sfigati soltanto pronunciare la parola Ponte, non può che confermare il suo pluridecennale convincimento: «Sono da sempre convinte che il Ponte sia un’opera necessaria al completamento del corridoio transfrontaliero dal cuore dell’Europa fino a Palermo. Bisogna riaprire un ragionamento. Vedremo senza pregiudizi ideologici e di parte se ci sono le condizioni per rilanciare un grande tema. Questa volta che non sia un castello di sabbia, ma una reale e concreta possibilità di dotare il Sud e la Sicilia di una mega infrastruttura la cui utilità ormai ben pochi mettono in discussione». Così il governatore dopo l’incontro col ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, alla quale ha strappato un tavolo permanente sulle infrastrutture in Sicilia, in cui, rivela, «affronteremo il tema del Ponte sullo Stretto».

Ma sarebbe troppo poco, se fosse soltanto questo. I due governatori si sono sentiti spesso, in questi ultimi giorni. E Musumeci, nell’incontro di martedì sera a Roma con Stefano Candiani, emissario di Salvini nell’Isola, ha discusso della strategia da seguire. Incassando apprezzamento sull’idea del «se non ora, quando?» già condivisa con la collega calabrese. Ma il presidente della Regione ha avuto un paio di contatti (uno di presenza, la scorsa settimana) con Pietro Salini. L’amministratore di Salini-Impregilo, che con la sua Webuild (assieme a Fincantieri), è reduce dal successo su un altro ponte: il Morandi di Genova. E che, guarda caso, è il gruppo a cui nel 2005 era stata aggiudicata la costruzione di quello sullo Stretto. Fino a qualche anno fa, con Renzi premier, il general contractor dell’infrastruttura bloccata aveva assicurato di avere «le carte pronte per riavviare l’opera in sei mesi», per realizzarla «in circa sei anni», con la volontà di «aprire una discussione con Anas e Rfi». Con un costo «rettificato» da 6,3 a 8,5 miliardi «per via di ulteriori modifiche e variazioni», di cui il 60% da reperire sul mercato. Una somma ancora oggi valida secondo Ercole Incalza, ex direttore generale del ministero delle Infrastrutture. Nei mesi scorsi ha preparato un piano che porta il suo nome. Ora diventa ancora più attuale, nonostante il governo chiede un progetto 4.0.

E il gruppo Salini-Impregilo, silenzioso nel dibattito di questi giorni, ha confermato gran parte di quelle prospettive ai governatori di Sicilia e Calabria con cui s’è confrontato di recente. I conti sono presto fatti. Prima dello stop era stata realizzata solo la variante di Cannitello in Calabria costata 26 milioni. In tutto la società Ponte di Messina, al momento della liquidazione, presentava un conto di 312 milioni, con il “fantasma” di altri 700 milioni se venisse accolto il ricorso presentato da Eurolink, il consorzio guidato proprio da Salini-Impregilo. Ma i numeri restano gli stessi in caso di sblocco del progetto: 7.000 addetti diretti l’anno e 15.000 unità d’indotto per realizzarlo. Dopo quello che è successo al Morandi i costi serviranno almeno 20 milioni l’anno (e 200 addetti alla manutenzione) per conservare le strutture.

Anche di questi numeri, s’è parlato con i governatori delle due sponde del Ponte. Pronti a rilanciare la sfida a Roma. Con l’obiettivo di ottenere il miglior compromesso fra l’aggiornamento del progetto e la rapidità dell’iter. Musumeci punta al mandato-bis. Ed è ogni giorno più convinto che, magari con un governo di centrodestra a Roma, da qui al 2027, potrà riuscire a entrare in una fotografia da consegnare alla storia.

Twitter: @MarioBarresi

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