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Referendum, Armao: «Il No risposta all’antipolitica degli spot banali e rabberciati»

Di Gaetano Armao |

Il referendum per il quale voteremo domenica e lunedì porta con sé questioni e problemi che vanno ben al di là della riduzione del numero dei parlamentari. La modifica della Carta costituzionale su cui siamo chiamati a votare può apparire anche condivisibile. Non tanto per l’esigua riduzione degli oneri (il «costo di un caffè all’anno» per cittadino), ma poiché contribuirebbe all’alleggerimento dell’apparato istituzionale ed all’efficienza del procedimento legislativo. Non a caso le riforme costituzionali più ampie approvate dal Parlamento negli ultimi due decenni (prima Berlusconi e poi Renzi) prevedevano, quale elemento minore, la riduzione dei parlamentari. Avviene tuttavia per tutte le modifiche costituzionali: se non sono accompagnate da bilanciamenti e meccanismi di riequilibrio, anche una scelta ragionevole diviene elemento di pericolosa alterazione del principio democratico.

E così mentre si vorrebbe aggiustare una cosa se ne sfascia un’altra. Chi può pensare che cambiando a un motore ormai esausto il carburatore, anche se per consumare meno carburante, possa fidarsi di un’auto da rottamare? L’Italia è in linea con i grandi Paesi europei per rapporto tra abitanti e parlamentari (circa 63 mila), mentre a seguito di questa velleitaria revisione costituzionale diverrebbe quello con la percentuale più alta (i collegi uninominali al Senato passerebbero da 116 a 74, con popolazione media di circa 800.000 abitanti) e con un significativo pregiudizio per il Centro-Sud che perderebbe più parlamentari rispetto al Centro-Nord (rispettivamente 136 deputati, 67 senatori, il primo, 256 deputati e 129 senatori, il secondo).

Sicilia e Sardegna, che già pagano il più pesante grave divario economico, sarebbero ancor più penalizzate avendo la minore rappresentanza in Senato (da 36 a 25 senatori) tra le Regioni speciali (in Sicilia 1 senatore ogni 310 mila abitanti, in Trentino-Alto Adige 1 ogni 170 mila). Per valutare quel che ci aspetta in caso di esito positivo del referendum basti considerare quanto accaduto all’Assemblea regionale siciliana. Nel 2012 si sono ridotti i parlamentari (da 90 a 70), ma questa decisione se si è dimostrata irrilevante in termini di produttività dell’Assemblea, ha evidenziato l’esiguità dei risparmi conseguiti: il costo dell’Ars è sceso da 143 mil€ a 137,5 mil€. Con la conseguenza che una contrazione di oltre il 20% dei deputati ha corrisposto la riduzione di neanche il 4% della spesa complessiva (ogni siciliano ha risparmia così 1,10€ l’anno). Molto meno degli esiti auspicati. La riduzione dei deputati ha però compromesso la rappresentanza in alcune Province sino a incidere sul pluralismo democratico, sopratutto in quelle più piccole, come Enna, ove non potranno essere eletti deputati solo se appartenenti alle due forze politiche maggiori, e per Caltanissetta, Ragusa e Trapani gli esiti sono analoghi. La revisione costituzionale sulla quale ci apprestiamo a votare è espressione della svalutazione della democrazia rappresentativa in favore dell’idea populistica di una distorta democrazia diretta. E quel che appare più grave è che gran parte della politica abbia affrontato la vicenda seguendo più convenienze ed opportunismi che la tutela dei principi costituzionali.

Un Parlamento ridotto nella composizione, peraltro, potrebbe affidare a una maggioranza qualificata di parlamentari (2/3) la modifica di intere parti della Costituzione e senza che peraltro possa accedersi al referendum confermativo, rischiando così di far prevalere l’autoritarismo. Non servono gli spot per rinnovare la Costituzione, come quello sul quale siamo chiamati a pronunciarci, che più che rappresentare un rimedio è una pseudo-riforma che rischia di compromettere il delicato equilibrio di controlli e bilanciamenti delineato, con fatica, dai costituenti e che va comunque aggiornato, ma con un disegno organico. Perché mai con meno parlamentari le camere dovrebbero funzionare meglio? La questione da affrontare non è quella della quantità dei parlamentari, ma della loro qualità e delle loro competenze. Ciò dimostra che la proposta revisione costituzionale è soltanto uno slogan banale e rabberciato dell’antipolitica che nella politica ha trovato un’occupazione e nella conferma referendaria cerca la protezione dell’assetto oligarchico di cui è espressione. Le riforme vanno fatte sul serio e questa, che allontana pericolosamente i cittadini dalla rappresentanza democratica, non lo è.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA