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Salvini, la conversione è completa: Lega dice sì a Draghi, Meloni resta all’opposizione

Di Michela Suglia |

In quattro giorni la conversione è quasi completa. Matteo Salvini incontra Mario Draghi, la persona “assolutamente stimabile» incaricata di formare un nuovo governo. Ma se «il problema è chi lo sostiene», aveva detto il leghista il giorno stesso della chiamata al Colle dell’ex presidente Bce, dopo dopo mezz’ora di colloquio con il premier incaricato, Salvini esce e dichiara di essere pronto a «mettersi a disposizione». Senza porre condizioni né veti ad altri e «per il bene dell’Italia». Cruciale – spiega poi soddisfatto – la sintonia scoperta sui temi citati durante le consultazioni con l’ex banchiere centrale: lavoro, sviluppo, tasse, imprese e perfino Europa. «Un’idea dell’Italia che per diversi aspetti coincide», azzarda.

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La Lega insomma è a un passo dallo sciogliere la riserva per entrare nella maggioranza bulgara che potrebbe sostenere il successore di Conte: quella precedente più Forza Italia e Lega lasciando solo, all’opposizione, il partito di Giorgia Meloni e rompendo così l’unità del centrodestra. Lo nega Salvini: «Per me l’unità del centrodestra era ed è un valore» e si giustifica con il «momento eccezionale» dell’Italia, citando il governone figlio del secondo dopoguerra. Insomma è un nuovo 1945, un unicum breve e a termine, che potrebbe far mandar giù il rospo.

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Un quasi carpiato del “capitano” evidente già nell’aspetto (rilassato e sorridente) e nel linguaggio, quasi ecumenico: «Il bene del Paese deve superare interesse personale e partitico», ripete alla stampa. Sorprende il passaggio sull’Europa: «Siamo in Europa, i nostri figli crescono in Europa», senza rinunciare a «difendere gli interessi dell’Italia». Da qui le «buone sensazioni» avute dall’incontro con l’ex presidente della Bce, che definisce «in forma, attento e propositivo». E non nasconde: se la Lega entrerà nella maggioranza, lo farà da protagonista, non comprimaria alla finestra.

«Se sarà un sì, sarà un sì convinto non un forse», sentenzia. Tradotto, non rinuncerà a “contare” con propri uomini nella squadra – da Giancarlo Giorgetti in giù – anche se tutti giurano che di ministri (tecnici o politici che siano) non si è parlato a Montecitorio. Potrebbe avvenire martedì, nel secondo round di consultazioni.

Incalzato dalla stampa sul proprio ruolo, Salvini ammette: «Preferisco esserci e controllare» e va al sodo: «Preferisco essere nella stanza dove si deciderà come spendere i 209 miliardi del Recovery plan». Un boccone che fa gola a tutti e che può fare la differenza nelle scelte, a maggior ragione per un partito trainato ancora dal nord più produttivo e che è «il primo del Paese», rivendica Salvini.

In più ci sono i numeri in Parlamento: sia alla Camera che al Senato è il secondo gruppo con 131 deputati e 63 senatori, subito dopo il M5s e prima di Pd e FI. Rapporti di forza che incideranno anche negli equilibri della nuova maxi maggioranza, se si formerà. Ne resterà fuori Fratelli d’Italia, ferma sul “no” alla fiducia e che potrebbe virare sull’astensione di fronte a un programma e nomi di peso a cui sarebbe difficile dire di no.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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