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Quella volta che Musumeci gelò Baglieri: «Signora, non abbiamo nulla da dirci»

Di Mario Barresi |

Scena prima. Interno pomeriggio, il 4 aprile del 2019. Quando Nello Musumeci “atterra” a Fontanarossa il convegno sul sistema aeroportuale Catania-Comiso è già finito. Ma il governatore, in giorni delicati per il futuro della Sac (privatizzazione, ma anche scelta dei vertici) ne approfitta per un’utilissima visita di cortesia. Ad accoglierlo, assieme all’ad Nico Torrisi, c’è l’allora presidente Daniela Baglieri. Cordialissima. Come sempre. Eppure, fra conferenza stampa, tour dei terminal e pranzo-merenda (alle 17, con insalata presidenziale e hamburger forzato per i commensali che non vogliono lasciarlo da solo nella saletta del McDonald’s), il governatore non le rivolge quasi mai la parola. E, quelle poche volte che lo fa, la chiama «professoressa Brandara».

Tradendo un lapsus crocettian-freudiano che inchioda Baglieri all’epoca della sua nomina, l’alba (poi presto tramontata) di “Fontanarosa”, con un tandem di manager donne espresso per metà da Confindustria e per l’altra da un forte imprimatur del Pd tendenza Beppe Lumia. Raccontano maliziose fonti aeroportuali che, dopo l’ennesima storpiatura del cognome con quello dell’ex commissaria Irsap, la diretta interessata, col dovuto garbo e quasi sottovoce, fa notare al governatore la gaffe: «Guardi che io sono la professoressa Baglieri». E lui, con gli occhi a fessura: «Signora, io so benissimo chi è lei. E lei sappia che noi due non abbiamo nulla da dirci». Un gelido disprezzo che potrebbe far scoppiare in lacrime persino la più navigata delle donne in carriera. In un’azienda, la Sac, in cui ancora la ricordano «per i suoi tratti di professionalità e signorilità».

Scena seconda. Esterno mattina, lunedì scorso. Quando lo stesso Musumeci, arrivando al PalaRegione di Catania, incrocia Nicola D’Agostino all’ingresso, assieme a un gruppo di stakeholder (chiamiamoli così) della sanità in attesa di essere ricevuti dall’assessore Ruggero Razza. L’approccio del governatore con il capogruppo di Italia Viva all’Ars, all’inizio, è cordiale. Poi, però arriva la stoccata al centrista ritenuto fra gli artefici, in funzione anti-genovesiana, dell’indicazione della donna che dovrà sostituire Alberto Pierobon. «Non mi imporrete mai il vostro nome! Lei era con Crocetta, all’aeroporto l’aveva nominata Lumia… Adesso il presidente sono io. E comando io». Il tono della chiacchierata ha un livello di decibel tale da essere ascoltato anche dal parcheggiatore (abusivo) di stanza a decine di metri dall’ingresso.

Infine, ieri mattina, Musumeci ha ricevuto Baglieri, dopo averla nominata mercoledì nuova assessora all’Energia e ai Rifiuti.

A cosa è dovuta la rivoluzione copernicana del presidente della Regione?

Non certo alla pressione della vigilia della decisione del Tar sul ricorso per la mancata quota rosa in giunta. Sì, c’entra la premura di nominare una donna prima di un’eventuale sentenza sfavorevole. Ma non è la principale ragione. Pesano molto di più altri due elementi. Il primo è che anche l’Udc, nel suo piccolo, s’incazza. Senza più Vincenzino Figuccia né Scateno De Luca. Eppure riesce, con uno scatto d’orgoglio per certi versi sorprendente, a stoppare un’operazione sottesa a un teorema politico elaborato da Razza: l’ingresso di Luigi Genovese nell’Udc da colonizzare, musumecizzandola, con un’assessora scelta dal padre Francantonio. Un’operazione sfumata per il muro alzato dai deputati “indigeni” dello scudo crociato. Ma il passaggio dalla raffinata teoria alla complicata pratica salta per il “fattore C”. Come centro. L’asse fra l’Udc e la componente ex Sicilia Futura dei renziani.

Non a caso martedì pomeriggio, all’indomani della sfuriata di Musumeci al deputato acese, nella delegazione ricevuta a Palazzo d’Orléans, oltre ai vertici dell’Udc (il segretario Decio Terrana e l’assessore Mimmo Turano), ci sono anche lo stesso D’Agostino ed Edy Tamajo. Ed è in questo contesto che il tabù-Baglieri diventa la nomina poi firmata. Seppur controvoglia. «A questo punto mi sarei aspettato che foste entrati voi nell’Udc», il legittimo auspicio espresso ai renziani da Musumeci. Che si arrende di fronte a due prospettive. Una immediata: con un’assessora condivisa anche da due deputati formalmente d’opposizione si rafforzano i numeri all’Ars. E una di lungo termine: il grande centro, lanciato con tanto “Carta dei valori”, che Udc ed ex Sf stanno costruendo assieme agli altri moderati. Musica, per le orecchie di un governatore che aspira al bis senza avere mai chiuso l’accordo della Lega, con la freddezza di FdI e la variabile genialmente pazza di Gianfranco Miccichè.

È così che Baglieri – in silenzio, mentre cancella i suoi profili social, magari affinché il passato, come dice quel bel libro, sia una terra straniera – vince la partita. Dopo essere stata stanata, all’università di Messina (dov’è molto apprezzata, così come lo era all’epoca del rettore Pietro Navarra e del direttore Franco De Domenico, poi convertiti alla politica col Pd) dal redivivo Beppe Picciolo, col placet di un Giovanni Pistorio in forma smagliante. «Datemi un po’ per pensarci», la risposta di chi già sa cosa vuole fare. Nel frattempo, sminato il campo da Genovese, l’Udc dà a Musumeci una coppia di nomi (l’altro è Ester Bonafede, persino meno gradita al presidente), facendo in modo che non possa che scegliere Brandara. Pardon: Baglieri.

Il lieto fine è scritto: la Regione ha di nuovo una donna al governo (ma ieri senza alcuna foto presidenziale di rito con la nuova arrivata: se ne riparla martedì).

E vissero tutti felici e contenti. Suppergiù.

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