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Forza Italia, Miccichè vince la guerra ma il prezzo da pagare è alto

Di Mario Barresi |

Gianfranco Miccichè, sul ring dove i vertici siciliani di Forza Italia se le sono date di santa ragione, alla fine ha vinto ai punti. Ottiene la fiducia di quasi tutti i deputati e assessori regionali, firmatari (tranne tre) di un travagliato documento che sancisce la tregua armata nel partito. Ma il presidente dell’Ars paga, cash, un prezzo politico. Oltre a scusarsi, nel chiuso della Torre Pisana, con Gaetano Armao e Marco Falcone per i duri attacchi, Miccichè per ora deve: ritrattare sul dialogo con Pd e M5S; confermare, a denti stretti, la lealtà a Nello Musumeci; smentire l’arrivo di Luca Sammartino.

Il vertice di partito era già stato fissato martedì, ma ieri l’intervista di Falcone l’ha trasformato in una resa dei conti. L’assessore catanese ha esplicitamente messo in discussione la leadership di Miccichè, affermando che «non il partito dalla sua». E il viceré berlusconiano di Sicilia gli ha risposto, via Ansa, già in mattinata: «Se scopro che il partito non è con me, me ne vado. Ma deve essere il partito a dirmelo e non un assessore: questo lo sapremo in tempi brevi». Nel pomeriggio l’incontro, prima del quale era stato già preconfezionata una nota a sostegno del leader. Un testo, poi smussato, che alla fine – dopo il violento scontro fra Miccichè e Falcone – sottoscrivono quasi tutti. «È vero che dopo l’approvazione della legge di stabilità regionale è emersa qualche tensione. Ma è pur vero che Forza Italia resta il partito di riferimento della coalizione di maggioranza, per tale motivo ribadiamo una certezza: andare avanti, insieme al commissario regionale Gianfranco Micciché, assicurando piena fiducia sia a tutti gli assessori di Forza Italia all’interno della squadra di governo che al presidente Musumeci».

Questo il testo firmato dal capogruppo Tommaso Calderone e dai deputati Riccardo Gallo, Margherita La Rocca Ruvolo, Luisa Lantieri, Riccardo Savona, Michele Mancuso, Bernardette Grasso, Mario Caputo, Alfio Papale, Daniela Ternullo e Marianna Caronia. Quest’ultima, però, non è al vertice: «Assente solo per un piccolo problema fisico», secondo l’ufficio stampa; «non ha partecipato alla riunione in dissenso ai temi trattati», ribattono dal suo entourage. Con Miccichè anche gli assessori Toni Scilla e Marco Zambuto, ma non Armao né Falcone. Che su Fb scrive: «Non arretriamo», aggiungendo che «rinnegare il centrodestra, gli alleati e Musumeci significa rinnegare noi stessi. Forza Italia non inseguirà partiti falliti e manovre incomprensibili. Non allontaneremo il nostro popolo. Non daremo spazio a nessun equivoco».

Fin qui la versione ufficiale. Il verbale segreto della riunione, però, racconta un’altra storia. Quella di una frattura comunque evidente dentro il partito. A Miccichè quasi tutti contestano il “modello Giuditta”: «Con Pd e grillini non andiamo da nessuna parte». Ma lui, pur ammettendo che «non ho proposto niente per le regionali del 2022, in questa fase non ho alcuna proposta politica», rivendica un vizio-diritto («mi piace parlare con tutti») e l’appello alla «pacificazione dei partiti in Sicilia». Sollecitato soprattutto dall’etneo Papale, il leader è costretto a giurare che il big renziano Sammartino «non entrerà nel nostro partito». Miccichè, dopo aver fatto parlare tutti, derubrica, scusandosi con i diretti interessati, gli strali proprio su Armao («mi fido di te») e a Falcone («non ti avevo mai attaccato»). Ma se il primo, dopo uno sfogo definito «felpato ma risoluto», sembra accettare la tregua, pur non firmando la nota, il secondo ribadisce l’attacco frontale al commissario regionale, portatore insano di «una linea politica imbarazzante». Da qui la richiesta, che arriverà presto anche a Silvio Berlusconi, di «un ufficio politico che prenda scelte condivise».

A Falcone, però, viene contestato da alcuni deputati «un eccessivo appiattimento su Musumeci e i suoi, che danneggia il partito nei territori». Sul tavolo alcune carenze del governo regionale nella gestione del Covid, ma anche le «cadute di stile» del governatore nei rapporti col partito, come lo sdegnoso rifiuto di presentarsi, da assessore ad interim, all’audizione della commissione Salute presieduta dalla forzista La Rocca Ruvolo, che sta raccogliendo anche le carte sugli incarichi per lavori negli ospedali affidati da Tuccio D’Urso.

Fra Falcone e Miccichè arriva a una doppia conta. Prima quella personale, scandita da ricostruzioni storiche su pedigree berlusconiano e scappatelle, ma anche da «fammeli vedere i voti!». Poi quella sul documento, vinta dal leader. Non finisce a tarallucci e vino, ma ci si mette una pezza. E adesso, come prova di rinnovata forza, Miccichè passa all’incasso: oggi, assieme all’“ambasciatore” Savona, andrà da Musumeci. Per portargli in dono la conferma di fiducia. Aprendo, in cambio, il discorso su una raffica di nomine regionali in scadenza nelle prossime settimane.

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