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Miccichè: «Piccoli abusi, le forze dell’ordine chiudano un occhio»

Di Mario Barresi |

CATANIA Ora et labora, Gianfranco Miccichè. Allegro e rilassato, in una disincantata versione “equa e solidale”. Tanto più che, da palermitano in trasferta a Catania, avverte quell’insostenibile leggerezza dell’essere (anche un po’ paraculo, con rispetto parlando) che gli permette di dribblare, oltre al derby dell’arancin*, la domanda dei cronisti. «Il bis di Nello Musumeci? Le autocandidature sono state già fatte quattro anni fa e non è il metodo migliore. Sono ben felice di candidarlo, ma non perché obbligato».

Ed è tutto vero. Chi immagina il viceré berlusconiano di Sicilia dedito a ordire trame tradimentose contro il governatore si sbaglia. «Io sono l’unico che gli mantiene l’equilibrio, ma lui questo dopo quasi quattro anni non l’ha capito: di me non si fida, perché ha cattivi consiglieri», va ripetendo a chi gli chiede aggiornamenti sull’altalenante borsino dei rapporti fra Palazzo d’Orléans e Palazzo dei Normanni. E del resto, non per snobbare un tema di cui prima o poi si dovrà parlare (magari non nella convention musumeciana dell’11 e 12 giugno, perché «se mi inviti io vengo e parlo, ma non so se ti conviene», avrebbe detto al governatore), ma Miccichè in questo momento ha altre idee che gli frullano in testa.

Ora et labora, appunto. Le preghiere, anche laiche, sono per esorcizzare il fantasma d’autunno. «Mi arrivano numeri, veri quanto drammatici, sulla tenuta economica della Sicilia. Con lo sblocco dei licenziamenti ci sarà una tensione sociale altissima. Qui si rischia la rivolta sociale, ci verranno ad aspettare sotto casa…», è il senso della confessione nel colloquio pomeridiano con l’arcivescovo di Catania, Salvatore Gristina, «un mio amico personale». Al quale il presidente dell’Ars sussurra, edulcorato, un concetto già espresso nell’incontro in mattinata con i volontari della Comunità di Sant’Egidio. «Ho avuto dei colloqui informali con alcuni vertici delle forze dell’ordine, ma presto porrò la questione in maniera ufficiale: in una fase sociale esplosiva, alcune cose non vanno guardate con l’occhio del maresciallo, ma con quello del padre di famiglia». Il riferimento, consapevole di «dire una cosa al limite dell’istigazione a delinquere», è «ai piccoli abusi che in questo momento si può evitare di contestare a commercianti e piccoli imprenditori, chiudendo un occhio». Un terreno minato, ma per Miccichè «una tregua è necessaria per evitare guai peggiori».

Ora et labora, il “compagno Gianfranco”, che si muove come un pesce nell’acquario del welfare cattolico. Ieri a Sant’Egidio, dove osanna il lavoro di Emiliano Abramo, anima del disegno di legge anti-povertà al voto della commissione Salute all’Ars, oggi al Banco Alimentare. Una nuova rete di contatti (frutto di un rapporto sempre più stretto col renziano Nicola D’Agostino, che nel tour etneo non si vede, ma c’è), un nuovo pantheon che l’ex manager rampante di Publitalia ostenta con i volontari. «Chi prima donava gli alimenti per i poveri adesso si mette in fila per riceverli: questa cosa mi fa impazzire!», sbotta, rivendicando che da presidente dell’Ars «ho dato contributi a 150 parrocchie siciliane, alle quali nel rendiconto ho detto che possono portarmi anche le bollette che hanno pagato per gli indigenti». Una conversione, una folgorazione politica che i malpensanti sotto il Vulcano riconducono anche al feeling con l’asse D’Agostino-Abramo, magari per partorire un nome nuovo per le Regionali. Ma il leader forzista, davanti al popolo di Sant’Egidio, chiarisce: «Emiliano non si vuole candidare, lasciamolo lavorare contro la povertà e per il bene della Sicilia».

Ora et labora, ma semmai il piano è un altro. E rientra in quella che Miccichè – pranzando alla Pescheria, dopo aver divorato una decina di gamberi crudi al banco di piazza Pardo – definisce «una Forza Italia sudista e solidale». Pur ammettendo che «oggi il vecchio progetto di Grande Sud sarebbe attualissimo», ogni tentazione è azzerata da un dato di fatto: «Con un consenso che da Napoli in su è al 6 per cento, oggi di fatto Forza Italia è di fatto un partito del Sud». Quindi, apprezzando il gelo di Antonio Tajani sull’euro-listone delle destre proposto da Matteo Salvini, il presidente dell’Ars guarda avanti. A un partito che, come predica da tempo «la mia amica» Mara Carfagna, «deve per forza saper parlare ai suoi azionisti di maggioranza, che sono gli elettori del Sud, col Recovery e il Ponte, ma anche col sostegno a chi soffre». Sfruttando – ed è l’upgrade del progetto – «una congiuntura astrale irripetibile: Mario Draghi, che è un dono di Dio, dopo i casini che hanno combinato quelli di prima».

Ora et labora, con una supplica rivolta a SuperMario che «dovrebbe fare il premier a vita». Con la tesi, sillabata fra un calamaro fritto e un filetto di tonno, che Draghi potrebbe non andare al Quirinale. «E se nel 2023 si presentasse la coalizione che sostiene l’attuale governo?», il provocatorio dubbio. Attorno al quale costruire, «perché a Roma ci stanno già pensando», un’alleanza che magari taglierebbe fuori «la sinistra e una parte di grillini» da un lato e i sovranisti (anche Salvini?) dall’altro. Un orizzonte avveniristico, che però in Sicilia potrebbe essere «più che possibile». Un rassemblement che unisca i cinquestelle contiani (ieri telefonata di buon compleanno a Giancarlo Cancelleri), il Pd, i renziani e Forza Italia, con in mezzo il cosiddetto grande centro, «tutti amici con cui c’è un grande rapporto». In questo scenario Miccichè rivendica il ruolo chiave di un partito che «alle prossime Regionali deve decidere se presentare liste del 15 o del 25%», una forbice in cui il riferimento ai nuovi ingressi (Luca Sammartino, ma non solo) non è puramente casuale. C’è anche un appuntamento per testare l’alleanza-patchwork: le Amministrative di Palermo, magari con Roberto Lagalla candidato a sindaco vincendo le ritrosie dei potenziali alleati, a partire dai dem, che lo considerano «improponibile» in quanto assessore di Musumeci. Se non per Palazzo delle Aquile, l’ipotesi resta potabile per la Regione. «In un anno cambia tutto e magari quella che oggi sembra una mia follia diventerà realtà», vaticina Miccichè. Prima di congedarsi, dopo un sorbetto corretto con wodka: «Ora vado un’oretta in albergo. Per fare un riposino, a quasi settant’anni ne ho bisogno…». Anche perché quella di visionario è un’attività stancante. Quasi usurante.

Twitter: @MarioBarresi

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