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La “Lega B” democristiana: Salvini vuole fare centrino. E in Sicilia?

Di Mario Barresi |

Catania – A Roma, qualche giorno fa, in una riunione di leghisti “terroni” s’è posto il tema in modo brutale. «Come dobbiamo procedere con la cosa del centro?». Un ordine di Matteo Salvini, ora più che mai in sintonia con la strategia da tempo covata da Giancarlo Giorgetti: presidiare il centro, poiché lo sfondamento a destra, a maggior ragione dopo l’ingresso nel governo Draghi, ha quasi raggiunto la capienza massima consentita, anche per la rendita tattica di Giorgia Meloni all’opposizione.

Ed è proprio per vincere il derby di centrodestra con la nemica-alleata che adesso si accelera sul dossier. «Ma ora si fa sul serio», ammette un leghista moderato che segue il dossier da vicino. Osservando, con un certo compiacimento, le ultime mosse di Salvini. Che ha incontrato, più volte, alcuni tenutari dei piccoli ducati del centro, come rivelato dall’Espresso. Soprattutto Lorenzo Cesa e Antonio De Poli, dioscuri di un’Udc inviperita con Forza Italia per gli strapuntini nel “governo dei migliori”. E dunque il Capitano, che guarda con attenzione alla “sporca dozzina” di forzisti appena fuoriusciti con la regia di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, tesse la tela anche con i decani del centro post-dc. Cesa e Poli sono i più coinvolti (non a caso l’Udc è stata l’unica a eccitarsi per la proposta salviniana di euro-listone), contatti in corso anche con un possibilista Maurizio Lupi e con un perplesso Bruno Tabacci. E un colloquio, breve ma intenso, con Pierferdinando Casini. Con il quale Salvini avrà magari avrà parlato anche di Quirinale, visto che l’ex presidente della Camera sarebbe la “riserva della Repubblica” preferita (anche dall’altro Matteo: Renzi) se fallisse l’operazione di eleggere Mario Draghi presidente della Repubblica; anche per evitare che metta radici a Palazzo Chigi.

Salvini, dunque, vuole fare centro. Ma si accontenta di un centrino. Popolato soprattutto da “combattenti e reduci” ex e post dc. L’idea è quella di una sorta di “Lega B”, una componente che si muoverà nell’orbita del centrodestra ma con il “brand” del Carroccio, che non può imbarcare direttamente alcuni personaggi. Liste gemellate al proporzionale in cambio di qualche collegio blindato per i big dei micro-centristi, che «anche se ci portano uno “zero virgola” a testa, messi assieme possono darci – si ragiona a Roma – quell’aiutino che può fare la differenza».

«Come dobbiamo procedere con la cosa del centro?», è dunque la domanda – in ossequio al pragmatismo padano – nell’incontro fra i salviniani del Sud. E qualcuno risponde: «Come stanno facendo in Sicilia». L’Isola dei democristiani, in questo nuovo schema, diventa centrale, prima ancora che centrista. Con alcune differenze sostanziali rispetto al resto d’Italia. Sì, perché al di sotto dello Stretto il «modello Minardo», evocato nel vertice, è già più pratica che teoria. Dalla sua nomina, il segretario regionale Nino Minardo ha tolto alcuni lucchetti posti dall’ex commissario Stefano Candiani. Aprendo le porte, con una campagna acquisti spinta quasi fino al limite della spregiudicatezza (e qualche alleato se l’è legata al dito), a decine di neo-leghisti provenienti da quel «mondo moderato, radicato nei territori» al quale il deputato nazionale, ex forzista ed ex alfaniano, non nasconde di guardare. Anche a costo di qualche contrasto – a Trapani soprattutto, ma non soltanto – con i leghisti siculi della prima ora, atterriti dall’Opa ostile degli ex centristi.

Eppure nell’Isola Minardo (che continua a smentire l’ipotesi di una sua corsa da candidato governatore) s’è portato molto più avanti col lavoro. Oltre ai nuovi ingressi, è già cosa fatta la federazione con gli Autonomisti. Un asse di ferro, siglato con il vicepresidente dell’Ars, Roberto Di Mauro, con la stessa formula sfumata con Nello Musumeci. Fra acquisti diretti e pezzi federati, in teoria lo spazio moderato per la Lega, in Sicilia, dovrebbe essere quasi saturo. Tanto più che il cosiddetto grande centro (Udc, Italia Viva, Cantiere popolare e Idea Sicilia) drena già importanti doti elettorali.

Ma dell’eredità di Mamma Dc non si butta via nulla. E dunque anche in Sicilia prende il via il progetto della “Balena Verde”. Anche per «ostacolare e disarticolare», secondo la strategia confidata da Minardo in un recente incontro a Siracusa, proprio il progetto del grande centro che punta al 15% all’Ars. Come «referente», così come lo definiscono in casa leghista, dell’aggregazione degli ultimi residui centristi è stato indicata una vecchia conoscenza della politica siciliana: Tatà Sanzarello. Messinese, classe 1952, ex deputato e assessore regionale, senatore ed eurodeputato, con qualche guaio giudiziario (condanna a 4 anni in primo grado, assolto in appello per prescrizione) per una storia di mazzette all’Aias di Messina, Sanzarello ha il necessario pelo sullo stomaco per parlare al mondo di mezzo che interessa alla Lega. Interlocutore importante è l’ex ministro Totò Cardinale, più volte avvistato con Giorgetti a Roma. Dove il patron di Sicilia Futura e padre della deputata ex dem Daniela, incidentalmente, ha casa nello stesso palazzo in cui dimora pure Minardo. In movimento, secondo fonti salviniane, anche Carmelo Lo Monte (fuoriuscito dalla Lega e ora con il Centro democratico di Tabacci) e Salvo Giuffrida, alfiere siciliano del movimento di Toti. Insomma, una bella compagnia di giro. Che in casa leghista contano di accrescere, puntando sui pesi e contrappesi nazionali, per rompere le uova nel paniere siciliano. Con un pressing, ad esempio, sull’udc Mimmo Turano: Cesa non ha mai fatto mistero dell’idiosincrasia per il club del grande centro di cui l’assessore regionale è socio fondatore. E Giorgetti magari farà leva sul consolidato rapporto di amicizia con Saverio Romano, un’altra delle quattro punte del progetto centrista.

Nulla è impossibile, confidano nella Lega. Anche perché Salvini ha un argomento molto convincente: un certo numero di seggi per le Politiche. E così dallo scudo crociato all’ampolla di Pontida è un attimo.

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