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Lombardo: «Politica? Mai più». Ma i suoi sognano il ritorno da “regista”

Di Mario Barresi |

L’ex governatore non è mai stato un uomo abituato a esternare i propri sentimenti. E la natura non cambia, neanche se la si violenta. Cosa prova dopo essere assolto dal reato più infamante, il concorso esterno alla mafia, ma condannato a due anni (pena sospesa) per il voto di scambio con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra? Non lo sapremo mai.

Niente cannoli per festeggiare, intendiamoci. Spiacenti: no assoluzione completa, no party.

«Sono contento più che per me, per i miei familiari e per le persone a me vicine», s’era limitato a dire venerdì sera, poco dopo aver ammesso che «per me è finto un incubo».

Riassumendo; Lombardo è stato giudicato non contiguo alla mafia, pur prendendo i voti mafiosi. «Aspettiamo, dobbiamo aspettare le motivazioni». Così, anche ieri, continua a dire ai suoi che gli chiedono l’epistemologia preventiva di una sentenza che sembra un mostro a due teste. Magari non lo sarà, eppure qualche dubbio su dei contrasti interni alla Corte d’Appello è legittimo. E anche sul fronte dell’accusa sarebbe più che legittima la curiosità di leggere la sentenza. Per capire. Le ragioni della caduta del teorema mafioso, innanzitutto. Ma anche per scoprire perché il riconoscimento dell’aggravante mafiosa (che il procuratore Carmelo Zuccaro, legittimamente, ritiene comunque «un fatto di notevole gravità che un candidato a presidente della Regione Siciliana abbia avuto i voti da Cosa nostra, e che questo abbia giovato a Cosa nostra») trascini con sé una pena talmente bassa da sembrare quasi simbolica, oltre che decisiva per evitare la prescrizione del voto di scambio semplice.

Gli scenari, adesso, sono molteplici. Appare scontato il ricorso in Cassazione da parte della Procura generale (che aveva chiesto un anno in più dei 6 anni anni e 8 mesi della condanna di primo grado), un po’ meno certa, al momento, è la strategia della difesa. Che comunque continua a dirsi certa che «Lombardo con la mafia non c’entra, senza se e senza ma». L’obiettivo è abbattere anche il castello del reato elettorale; il rischio, comunque, è una sentenza di rinvio con il “torna indietro” all’Appello.

Ma c’è un altro aspetto. Più politico. Anzi: soltanto politico. Uno degli effetti collaterali della sentenza è la sterilizzazione elettorale dell’ex uomo più potente (e votato) di Sicilia. L’interdizione dai pubblici uffici, pur non essendo più perpetua, resta comunque per due anni. E poi, nel dispositivo, c’è la parte in cui si dichiara Lombardo «sospeso dal voto e dall’eleggibilità per sette anni». Un supplizio di Tantalo, per chi sul successo alle urne ha costruito il suo potere. Proprio adesso, alla vigilia di una lunga stagione elettorale. «La politica non mi interessa, come ve lo devo dire?», è la risposta laconica riservata a chi si mostra deluso per l’azzoppamento politico. Il presidente che sussurrava ai cavalli adesso assicura al suo popolo: «Io sono fuori, mi occuperò dei processi e penserò alla mia famiglia».

Lombardo si tira fuori. Ma i lombardiani ci sono. Ringalluzziti dall’assoluzione per il reato mafioso. Orgogliosi. E vogliosi di ricominciare. Seppur divisi in due scuole di pensiero, fra chi sostiene che «bisogna lasciarlo in pace ed essere comunque felici dal punto di vista umano che ha evitato l’infamia del carcere immeritato» e chi invece è certo che «bisogna tornare in campo, perché ci hanno rubato la nostra storia e la nostra dignità e adesso devono tornarcele con gli interessi».

Lombardo incassa «l’augurio che nei prossimi anni possa dare il suo contributo importante alla causa dell’autodeterminazione della Sicilia» firmato dal Movimento Nazionale Siciliano che sostiene la candidatura di Gaetano Armao, ex assessore rimasto ottimo amico. Mario Di Mauro, fondatore di Terraeliberazione, si spinge oltre: «Siamo contenti, ma anche molto tristi: la storia della Sicilia è stata sequestrata per 7 anni. Siamo stati insultati, vilipesi. I conti li faremo. Ora è festa».

Lui resta in silenzio. Non dà alcun segnale. Continua a ripetere di aver appeso il volantino elettorale al chiodo, di aver ben altro a cui continuare a pensare. Sarà vero, ma i dubbi restano. Perché adesso, al netto della vicenda giudiziaria, il nodo è capire se la sentenza di venerdì avrà una refluenza politica. Perché fra gli ex pretoriani che gli sono rimasti davvero fedeli, c’è chi sostiene che «se Raffaele davvero volesse e ci si dedicasse un po’ di tempo, potremmo subito mettere su una lista da 5 per cento per le Regionali».

Una suggestione. Nient’altro, fin quando il leader autonomista continuerà ad alzare il muro: «Non posso né votare né essere votato. Mi dispiace perché lo ritengo ingiusto e dimostrerò la mia innocenza anche dal reato elettorale, ma al di là di questo non mi interessa perché non era comunque mia intenzione candidarmi, né fare politica», è il mantra ripetuto fino a ieri mattina al telefono.

Eppure c’è chi spera ancora. Nell’insostenibile leggerezza dell’essere un animale politico; una malattia non incurabile eppure inguaribile. O magari nel riaccendersi dell’orgoglio dei lombardiani fin qui in apparente ordine sparso, loro malgrado, come delle cellule dormienti dell’autonomismo. Il figlio, Toti, continua la sua esperienza all’Ars, con uno stile low profile, evitando di dare troppo nell’occhio. Forse in autunno si ricandiderà, o magari no. Fremono di più, invece, i potenziali alleati-amici e alleati-nemici del centrodestra. Dove già spadroneggia Totò Cuffaro, “gemello diverso” di Lombardo a cui è accomunato da una inimicizia reciproca. Ed ecco che la (parziale) riabilitazione di Raffaele potrebbe ridare fiato a chi è stato già falciato in tackle scivolato dal «mediano» Vasa-Vasa. Il sogno a occhi aperti degli sherpa di Nello Musumeci, ad esempio, è che «il ritorno dei lombardiani possa aiutarci a spezzare l’asse Micciché-Cuffaro, cambiando gli equilibri e riaprendo la partita nel centrodestra».

Ma forse è fantapolitica. Perché l’ex governatore sembra sincero nella sua bucolica atarassia. Cuffaro? Crocetta? Le elezioni? Il Pd? Il centrodestra? Se sapessero quanto gliele fotte – a Lombardo, in questo momento – avrebbero la dimensione dell’infinito.

Twitter: @MarioBarresi

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