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Antonio Presti: «Contro me e Crocetta

Antonio Presti: «Contro me e Crocetta tante bugie dal retrogusto omofobico»

Intervista con il mecenate: «Ma la rivoluzione di Rosario è finita»

Di Mario Barresi |

Nemmeno la volgarità regional-popolare insita nella prima domenica di luglio riesce a intaccare la bellezza dell’Atelier sul Mare. Qui, a Castel di Tusa, è un mondo a parte. Tutto chic. Nonostante lo choc. E il presidente? «Riposa, ma non dorme». Però «non parla di politica». Tace e riflette, fuma e guarda il mare. L’“imputato” (dal Pd) Crocetta si avvale della facoltà di riposarsi. Ma Antonio Presti no. Il mecenate, «amico vero e sincero di Rosario, anche a costo di subire attacchi di una volgarità inaudita», parla. Di tutto. E di tutti. A partire da quel pomeriggio raccontato da Pietrangelo Buttafuoco su Il Fatto Quotidiano.  

Ce lo racconta? I giornalisti bivaccavano da ore a Tusa, Crocetta neo-governatore non usciva dalla stanza. A un certo punto lei lo chiama e gli dice…

«… Niente. Tanto meno “buttana”. La scena non è mai avvenuta. È falsa».  

Ma Buttafuoco scrive che c’erano i giornalisti testimoni…

«E perché allora non scrissero nulla? Sono tutti reticenti? Rosario sta riflettendo sulla querela, io pure. Ma il punto è un altro: quel giorno Crocetta non era a Tusa, ma a Palermo. È tutto falso».  

E allora cos’è, una congiura omofobica come asserito dal governatore nel sofferto intervento alla direzione del Pd?

«Innanzitutto è una vigliaccheria. Io il signor Buttafuoco non lo conosco, forse l’avrò visto una volta. Ma non si può permettere di entrare in un rapporto nel quale io comunque, per stile e per statuto esistenziale, non oserei etichettare un presidente della Regione a quel modo in pubblico, al di là dell’amicizia che ci lega. Poi, in privato, posso dire quello che voglio. Ed è molto più grave l’offesa, dal retrogusto omofobico, alla privacy e alla dignità. Sono stato offeso io. Ed è stato offeso lui, che oggi fa il presidente della Regione ma un domani tornerà a essere una persona con la sua dignità. Anche se io mi sono dato una spiegazione di questo gretto attacco personale».  

Quale?

«Che magari Buttafuoco usa quel termine, buttana, per chiudere il suo pezzo e rilanciare per assonanza il brand del suo libro, “Buttanissima Sicilia”. Per vendere qualche copia in più. E allora, caro Buttafuoco, non è che, commercialmente parlando, alla fine la vera buttana sei tu? ».  

Ecco, abbiamo sviscerato l’argomento. Parliamo del rapporto con Crocetta?

«Siamo amici. C’è un rapporto pubblico, che comincia quando lui, da sindaco di Gela, fu l’unico a difendere le mie battaglie per la bellezza. Da lì nasce un valore di amicizia che non si dimentica. Ma non è che sono io a essere amico di Crocetta, perché si può dire anche il contrario: è anche Crocetta a essere amico di Presti. C’è reciprocità, c’è condivisione».  

Fino al punto che le chiese di fare l’assessore. Ma lei, dopo un tira e molla, gli disse di no. E dopo una furiosa litigata al telefono fra voi due – così raccontano – lui depennò il nome “Presti” dai fogli con le deleghe. Così, in ascensore, nacque la nomina della Stancheris…

«Sì, più o meno andò così. Io per il ruolo di assessore ai Beni culturali avevo un’incompatibilità esistenziale ostativa! Dopo trent’anni di processi e di persecuzioni per le mie sculture potevo farmi vincere dall’affabulazione dell’esercizio del potere e dei soldi. Ma una vocinia, quella della mia anima, mi disse che dopo tutti quei soprusi subiti sarei stato condizionato dal rancore, dalla rabbia. E dalla vendetta. E quella voce mi disse: in te deve albergare la bellezza, non la vendetta. E rinunciai. Una delle tante rinunce per Rosario: è un supplizio, questa amicizia».  

Chi trova un amico non trova un tesoro…

«Per nulla! Da parte mia, con Crocetta è una storia di sacrifici, di silenzio, di solitudine, di amarezza e soprattutto di rinunce, dolorose e costose».  

Quali rinunce?

«Io non ho fatto l’assessore e le ho già spiegato il perché. Non ho fatto il senatore perché ho scelto il secondo posto nel listino, ho rifiutato 80mila euro dalla tabella H. Per i miei princìpi, ma anche per evitare di mettere in difficoltà il presidente, tenerlo al riparo dalle strumentalizzazioni. Penso che pochi uomini, al posto mio, avrebbero rinunciato al potere e al denaro in nome dell’etica e dell’amicizia. Chiunque avrebbe preso tutto e subito! ».  

Perché non aiuta Crocetta nel momento più difficile dalla sua elezione?

«Una cosa è il rapporto istituzionale e politico con Rosario, quello personale è un’altra cosa. Casa mia, l’Atelier, è sempre aperta per lui, ma non è più luogo di riunioni politiche. I due piani, adesso, sono distinti. Io con le bassezze della politica non voglio avere nulla a che fare. Non significa che l’ho abbandonato, ma non c’è più la coincidenza dei due piani, né la totale complicità. Sa che la candidatura di Rosario nacque proprio a Tusa, da me? E quello fu un simbolo, la garanzia di un percorso politico distante dall’affabulazione del potere. Una rivoluzione! ».  

E che fine ha fatto quella rivoluzione?

«In quei termini originali non c’è più. Se ha sbagliato in una cosa, Rosario, è nel perdere di vista che la rivoluzione si fa col popolo e non col potere».  

Ha tradito la rivoluzione, allora?

«Tradito no, perché gli si devono riconoscere i valori di eticità e impegno civile. Ma Crocetta ha pagato un prezzo alla mediazione col potere. La politica è anche mediazione. Si può mediare col potere, ma non consegnarsi. Perché finisci stritolato politicamente. E anche personalmente. Io, per fortuna, ne sono fuori».  

E ora che farà Antonio Presti?

«Passo dalla resistenza alla resilienza. Il mio problema, la mia priorità è consegnare il mio patrimonio al futuro. A Catania, a Librino, soprattutto. Ma devo aspettare… ».  

Cosa sta aspettando?

«Che non ci sia più il sindaco Bianco. Non si merita niente, con lui ho chiuso».

Magari si candida a governatore e lascia libero Palazzo degli Elefanti…

«Sarebbe un disastro! Questa esperienza da sindaco, così come quella di Leoluca Orlando, è una ribollita. I cittadini non li vogliono più nelle loro città, figuriamoci alla Regione. Magari si troveranno uno scranno al Senato. La politica ha perso ogni valore di eticità. E, in questa barbarie, uno si permette pure di inventarsi che chiami “buttana” il presidente della Regione. Ma non è aberrante? ».  

Ricominciamo a parlare di Buttafuoco?

«No, discorso chiuso. Per ora».  

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