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Post elezioni, da Macron al “fattore O”, tutto Grasso che (non) cola

Di Mario Barresi |

Catania – «Ne parliamo dopo Palermo». A qualsiasi sollecitazione – nomi di candidati, perimetro di alleanze, tempi e modi di scelte ormai improcrastinabili per le Regionali – fino all’alba di ieri la risposta era sempre la stessa. Trasversale, eccezion fatta per i grillini, lungo tutto l’orizzonte dei partiti siciliani. «Ne parliamo dopo Palermo». E ora che le Amministrative del capoluogo – test rilevante dal punto di vista politico, oltre che statistico – hanno incoronato il “Leoluca V”, il «ne parliamo» si fa complicato. Vince il sindaco, perdono i 5stelle; non stravince il Pd, non straperde il centrodestra.

E ora per le Regionali che succede? La risposta sarebbe forse più semplice, se non ci fosse l’atavico vizio-vezzo d’innamorarsi, come quindicenni alla prima cotta, di ogni possibile modello. Fino a qualche ora fa, anche nelle elezioni del capo condomino, nell’Isola c’era una tribù En Marche!. Siamo tutti Emmanuel. Anzi: lo fummo. Impegnati a scimmiottare il presidente francese, in una spasmodica ricerca del Macron siculo, magari Brigitte-munito. Fino all’esplosione del “fattore O”. Come Orlando. Anzi: SinnocOllando, crasi politica con cadenza palermitana. Tutti, o quasi, folgorati dal «civismo». Che, numeri alla mano, avrà un risvolto alle Regionali, col “movimento dei territori” in campo con liste proprie. La riedizione del partito dei sindaci che evoca le Primavere siciliane Anni 90. Orlando stravince; Bianco era il preferito nei sondaggi dem; Musumeci è il candidato più spendibile del centrodestra, osteggiato da Micciché pioniere del berlusconismo in Sicilia, La macchina del tempo s’è fermata. Sono tutti lì. Ancora lì. Per attaccamento alla poltrona e/o per la mancanza di coraggio (e di forza) delle generazioni successive. L’usato sicuro rottama gli aspiranti rottamatori.

Non a caso l’Uomo della Provvidenza, per il centrosinistra e non soltanto, resta Piero Grasso. Che nei Fab 90’s era in tutt’altre faccende (antimafia) affaccendato. E oggi, da presidente del Senato, non è certo un giovanotto. Eppure resta l’uomo ideale del Pd, l’unico capace di mettere tutti d’accordo. O quasi. Visto che le prime ipotetiche condizioni filtrate da Palazzo Madama per accettare la sfida – rinnovamento nel Pd e mani libere nella scelta dei candidati anche nelle liste alleate, all’insegna di un rigoroso “controllo qualità” – suscitano l’urticata reazione di decine di peones dell’Ars. Riassunta così da un centrista acchiappavoti: «Meglio essere deputati d’opposizione di Cancelleri vincitore che impresentabili con Grasso candidato». Non fa una grinza, dal loro punto di vista. Il Pd, dice il segretario Raciti, «si spenderebbe con energia per il presidente del Senato», proprio mentre Faraone (unico, oltre a Lupo, credente dell’operazione Orlando) teorizza che «squadra vincente non si cambia». Grasso che cola. O che non cola.

E se i grillini sono costretti a un bagno d’umiltà dopo il «colpo di tubo sui denti» ammesso dal leader Cancelleri, gli altri hanno meno paura del M5s. A partire dal centrodestra, in cui Musumeci rigioca la carta dell’unità tanto agognata anche dal Cavaliere come «formula vincente». Riuscirà a convincere i potenziali alleati (i cuffariani ammaccati dal voto, così come Forza Italia appagata dall’8% palermitano) a convergere su di lui? Gli ambasciatori – di centrodestra e di centrosinistra, a Palermo e a Roma – sono tornati al lavoro. Siamo già «dopo Palermo». E se ne deve parlare. Se non ora quando?Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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