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Farinetti sull’Etna: «Qui come le Langhe». “Shopping” a breve?

Di Mario Barresi |

Dice: «Straordinario». Mentre addenta una fetta di provola dei Nebrodi. Ed è sincero, Oscar Farinetti, che si muove dentro lo spazio “Norma” dell’aeroporto di Catania (che bello vederlo valorizzato!) come un bambino a cui hanno timbrato il polso per dargli libero accesso a tutti i giochi di un luna park. «Straordinario», dice. Mentre parla di Sicilia e di enogastronomia siciliana.

L’uomo di Eataly è uno che la sa lunga. «Se entro nella tua cantina con un colpo d’occhio ti dico se hai davvero speso tutti quei soldi che ti ha dato l’Europa», è la sfida a un imprenditore etneo che lo ha appena invitato. Cibo e affari, bellezza e cantine. Farinetti trascorre un paio di intensissimi giorni sotto il Vulcano. L’espediente letterario è la lectio magistralis che quel geniaccio di Fabrizio Carrera (uno che meriterebbe di recitare nell’anti-Quo vado? , visto che per ora ha rinunciato al posto fisso in redazione per inventarsi Cronache di Gusto, ma meglio non divagare) ha offerto al guru del gusto italiano per il gran finale di “Best in Sicily”. Che premia le 14 eccellenze regionali del 2016 e assegna a Roy Paci il titolo di ambasciatore siciliano del gusto (nella foto sotto) .

 «Nonostante la crisi – dice il direttore di cronachedigusto. it – i settori dell’enogastronomia e del D turismo reggono e lasciano intravedere importanti possibilità di crescita. Dico a tutti coloro che lavorano con buona volontà in questi settori: non chiudetevi, lasciatevi contaminare, solo così potremo davvero contare su una diffusione di idee e metodi positivi per l’intera isola». E quale migliore contaminazione dell’irruente presenza del patron di Eataly, vetrina del meglio delle nostre produzioni, che tutto il mondo ci invidia e che cinesi e russi corteggiano a suon di miliardi? Farinetti non si sottrae. “Il piacere di narrare” è il tema. Prende il microfono. Parla e incanta.

 «La Sicilia sarà entro i prossimi dieci anni una delle zone più ricche e influenti di tutta Europa». Bum. Davvero? Ma ci ha visti bene? «Sarà così perché è scritto nelle cose. Ma se volete che accada davvero, dovete cominciare a raccontare le bellezze di quest’isola. Avete gli stessi chilometri di coste delle Canarie, ma il numero dei turisti che riuscite ad attirare è molto inferiore. La differenza sta tutta nella narrazione delle cose: un prodotto, un luogo, un servizio non esiste, se non viene narrato». Ammette: «Io vendo perché so emozionare».

Su questo non c’è dubbio. E quindi «narrate le vostre meraviglie, ogni giorno e senza sosta», arringa. Sembra Oscar nel Paese delle Meraviglie. Ma poi torna concreto. Parlando di ciò che non funziona: «Siamo i migliori del mondo a narrare i divieti – ricorda – ma non le nostre eccellenze e non mi riferisco solo al settore dell’agroalimentare».

Per Farinetti «le difficoltà sono dovute al fatto che abbiamo un po’ le pance piene». La cosa della lavagna con la pesca gliel’avevamo vista fare altrove. Ma per i tanti che strabuzzavano gli occhi come se avessero appena scoperto l’Uovo di Colombo era una prima assoluta. E quindi gliela perdoniamo al one man show, la replica. Anche perché è efficace. Allora, funziona così. Farinetti su una lavagna disegna una pesca: «Questo è il metodo per far funzionare un progetto.

Eataly è nato così. Nel nocciolo inserite gli obiettivi, che devono essere, diciamo, poetici, non “voglio che si facciano soldi”. Nella polpa mettete le esperienze che volete che viva il vostro pubblico; nella pelle scrivete come deve essere il prodotto. Ecco, applicatelo al vostro turismo, alle vostre cose e avrete successo». Suggestiona, ipnotizza. E non si ferma. «Non è difficile trovare le vie migliori per fare le cose e risolvere i problemi: basta copiare.

Se fatto con umiltà e intelligenza – suggerisce Farinetti – è un atto poetico. Copiare non vuol dire, infatti, imitare, ma riadattare delle soluzioni che altri hanno sperimentato con successo». Ecco, se l’avessimo scoperto prima – magari ai tempi del liceo – ci sarebbe cambiata la vita, sapendo che «non c’è vergogna a farlo, perché implica pensare che ci sono persone con più talento di noi e questo ci fa creare dei dubbi, ma ci permette di realizzare più in fretta i progetti».

Applausi. La lezione è finita. Comincia la parte più divertente. Il Farinetti errante fra gli stand delle eccellenze siciliane, a tavola con pochi amici, il Grand Tour sull’Etna («voglio andarci, è davvero una magia», la richiesta a Carrera) a girar per cantine. «Straordinario», dice mentre addenta uno spiedino di pomodoro di Pachino Igp. «Ecco, questo è geniale! Non c’è bisogno di nient’altro: basta questa emozione per portare milioni di persone in Sicilia: chiudi gli occhi e addenti un pomodoro». La stessa reazione, a pranzo, l’aveva avuta col sindaco di Catania, Enzo Bianco, e con l’assessora Valentina Scialfa.

Per la piacevolezza della compagnia, ma soprattutto per la «bontà delle acciughe crude, che poi mi hanno spiegato che da voi si chiamano alici, anzi masculini». C’è stato tempo e modo anche per parlare di affari, nel pranzo da “Ciciulena”. Bianco sembra essere riuscito a vincere il derby con Leoluca Orlando: «Farò Eataly in Sicilia, la farò a Catania. Non subito, ma voglio un posto che guardi il mare». Tutti pensano ai locali della Vecchia Dogana, da rilanciare dopo il sostanziale flop di un contenitore che i catanesi non hanno mai amato.

Ma nel sopralluogo Farinetti storce il naso. Bianco gli propone anche Palazzo Bernini, luogo incantato e incantevole fonte di guadagno per le casse comunali, ma il guru prende tempo. «Mi è piaciuta anche una cosa in corso Italia», si lascia scappare Oscar. Ma in corso Italia dove? Boh. Tanto il tempo c’è, visto che Farinetti dice: «Si farà ma non subito». C’è l’America (Boston, e bis, o tris, a New York dove il megastore è «la terza attrazione più visitata, dopo la Statua della Libertà e l’Empire State Building e prima del Moma»), ci sono Londra, Parigi e Mosca, e poi gli Emirati dopo il trionfo di Dubai, c’è l’idea della quotazione in borsa nel 2017. Catania può attendere? Sì, ma non troppo.

«Nel 2017 lo faccio qui», assicura il gran capo di Eataly al tavolo dello stellato “Shalai” di Linguaglossa. Dove, appena seduti, regala alcune perle ai selezionati commensali. come quando servono l’acqua minerale di una notissima marca simbolo dell’Italia nel mondo. «Ma non avete fonti buonissime qui? Io mi aspetterei di bere l’acqua siciliana, non la stessa dei ristoranti di Sidney». Storce il naso, per la stessa ragione autarchica, alla vista del caviale nell’entrée. Ma poi si scioglie alla bontà dei piatti di Giovanni Santoro. «Straordinaria, voto 11», la vitellina a punta di coltello con fonduta e bacche di ginepro dell’Etna. «È affumicata agli aghi di pino», gli fa notare lo chef.

«Ecco perché ci sentivo il Vulcano dentro! », risponde Farinetti mentre degusta i vini di Francesco Tornatore. Che lo affascina, raccontandogli le molteplici attività del suo gruppo. Dalla fibra ottica allo stampaggio degli Iveco, fino alla cantina. «Sei un personaggio pazzesco! », gli dice. Confessando una certa «paura» quando «ti avevo visto quella spilla dei cavalieri del lavoro sul bavero della giacca… ». Arriva la notizia di Gualtiero Marchesi che vuole fare incetta di fari, anche in Sicilia, per fare ristoranti e boutique hotel. «Potrebbe essere una buona idea – dice Oscar – ma la gestione è la chiave di tutto». A tavola spiega la teoria della clessidra: al Nord è divisa a metà, 50 e 50, «fra quelli che si rimboccano le maniche e quelli che non si danno da fare». Al Sud, e in Sicilia, la divisione è fra 20 in gamba e 80 fannulloni, ma «quei 20 valgono quasi quanto i 50 del nord».

L’eurodeputata Michela Giuffrida lo ascolta. E poi, sorridendogli, smonta la sua tesi. Con argomenti evidentemente convincenti. «Sei brava e appassionata. Mi arrendo», dice Farinetti prima del dessert. Rivedrà Tornatore, l’indomani. Assieme ad altri produttori dell’Etna: Diego Cusumano, Alberto Graci e Giuseppe Russo, Salvo Foti. «Qui diventerà meglio delle Langhe», è il suo vaticinio. Interessato, perché fra un calice e uno sguardo alle viti ad alberello, gli è venuta voglia di shopping. Farinetti compra un vigneto sull’Etna? Sì, forse. Vedremo. Ma magari prima di Angelo Gaja, il Re del Barbaresco. Che uno sguardo interessato, sotto il Vulcano, l’ha buttato già.

A maggio. Perché Farinetti, oltre ad avere le amicizie che contano («Matteo Renzi è l’unico in grado di cambiare l’Italia, io continuo a credere in lui»), è uno rapido. Cotta e mangiata. Come l’incontro con Paolo Ganduscio, uno dei più importanti produttori di arance di Ribera. Si parlano, si conoscono. Un assaggio, in tutti i sensi. Ed è già partito il primo ordine di Eataly per le “bionde” più famose di Sicilia. «Straordinario», dice. Stavolta il produttore.

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