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Fase 3: lo studio, non ci sarà impennata casi con ritorno a scuola se rispetto misure

Di Redazione |

Roma, 7 set. (Adnkronos Salute) – “Basso il rischio di diffusione da bambino a bambino e rara la trasmissione da bambino ad adulto”. A tranquillizzare insegnanti e genitori in occasione della riapertura del nuovo anno scolastico è l’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), che in un articolo pubblicato su ‘Jama Pediatrics’ mette in evidenza come nei bambini la suscettibilità all’infezione da Sars-CoV-2 “sia dimezzata rispetto agli adulti” e come essi non ricoprano un ruolo di rilievo nella circolazione del nuovo coronavirus.

“Se a contatto con il nuovo coronavirus, l’80% dei bambini non manifesta alcun sintomo e la bassa carica virale presente in questi casi non incide significativamente sull’andamento della pandemia – dichiara Susanna Esposito, presidente Waidid e ordinario di Pediatria all’Università di Parma – Nelle prime settimane di emergenza da Sars-CoV-2 si presumeva che i bambini potessero essere, come precedentemente dimostrato per l’influenza, tra le principali cause di diffusione della malattia. Gli studi, però, ci hanno permesso di dimostrare che non è affatto così e la riapertura degli istituti scolastici non costituisce un pericolo per la salute globale. Ma vanno adottate alcune precise precauzioni: da zero a sei anni misurazione della temperatura in caso di sintomi acuti e, in presenza di febbre associata a sintomi respiratori o gastrointestinali, velocità e tre T: testare, tracciare e trattare. Il raffreddore da solo – sottolinea – non può essere motivo sufficiente per allontanare un bambino dalla comunità scolastica. Durante il lockdown, la chiusura della scuola in Italia ha comportato disagi nel 75% dei bambini e adolescenti, facendo emergere il ruolo primario dell’istruzione in presenza nel loro sviluppo psichico e sociale”.

A fotografare l’impatto psicofisico che la chiusura della scuola ha avuto sui bambini e ragazzi è un’indagine tutta italiana condotta su un campione di 2.064 studenti tra gli 11 e 19 anni. Angoscia e tristezza sono stati causati da un sentimento di solitudine avvertito dal 42,5% degli intervistati di sesso femminile e dal 32,5% di sesso maschile, per un totale del 75% dei casi. Altro fattore che ha tinto di grigio le giornate di bambini e adolescenti è stata la mancanza di senso di comunità, tipicamente generato dalla scuola, emersa nel 42,5% dei casi (26,5% femmine; 16% maschi) e lo stop delle attività sportive svolte a scuola nel 20% dei casi (6,7% femmine; 13,4% maschi). L’abbassamento del tono dell’umore non pare, invece, essere legato al virus: solo il 4%, infatti, ha dichiarato di sentirsi triste per paura della malattia.

Inoltre, il 48,7% delle femmine ha riferito di piangere durante il giorno (13,4% nei maschi). Non solo tristezza: ansia e agitazione hanno colpito quasi il 40% degli intervistati (24.6% femmine; 14,6% maschi) a causa della separazione dai propri compagni, mentre oltre il 27% ha sviluppato sintomi di ansia per timore di non riuscire a stare dietro allo studio. La chiusura delle scuole ha, inoltre, provocato disturbi del sonno: a dormire meno il 43% delle femmine, mentre la percentuale di maschi che ha fatto le ore piccole si attesta al 24%. Il senso di affaticamento era più significativamente frequente nelle femmine (49%) rispetto ai maschi (35,3%) e nel gruppo di 14-19 anni. Disturbi emotivi di rilievo, dunque, quelli causati dalla chiusura della scuola a bambini e adolescenti, ancor di più se di sesso femminile. Da ultimo, il 51,5% delle femmine e il 44,7% dei maschi desidererebbe parlare di Covid-19 con un medico, informazione importante anche per i programmi formativi scolastici su tematiche relative alla salute.

Secondo l’Associazione gli istituti scolastici “possono e devono rimanere apert” in virtù dello scarso ruolo del bambino nella trasmissione della malattia, “sebbene con il mantenimento di tutte le misure igieniche e di distanza fisica per la prevenzione delle infezioni respiratorie e un monitoraggio epidemiologico continuo della circolazione di Sars-CoV-2”.

Quanto all’uso delle mascherine, l’Organizzazione mondiale della sanità ha fornito “alcune precise indicazioni: da zero a 5 anni non deve essere indossata e la motivazione è da ricercarsi nel ruolo minore del bambino piccolo nella diffusione della malattia e nella sua scarsa capacità di utilizzare in modo appropriato una mascherina; da 6 a 11 si valuta a seconda della situazione epidemiologica scolastica o cittadina e, quindi, se è presente una trasmissione diffusa di SARS-CoV-2 nell’area in cui risiede il bambino”. Ai bambini di età pari o superiore a 12 anni è richiesto di “indossare la mascherina come agli adulti, in particolare quando non possono garantire una distanza di almeno 1 metro dagli altri. In ogni caso – raccomandano gli esperti – è importante assicurarsi che la mascherina sia della misura giusta per coprire naso e bocca, non toccarne la parte anteriore e non tirarla sotto il mento o nella bocca. Una volta sfilata dal volto, la mascherina deve essere riposta in una borsa o in un contenitore e non deve essere condivisa con altri o gettata per terra. È importante – continuano – che insegnanti e genitori educhino il bambino che utilizza la mascherina e ne correggano comportamenti errati ogni qualvolta sia necessario”.

“Queste indicazioni sono valide per tutti i bambini e gli adolescenti, sia per quelli che godono di buona salute sia per coloro che hanno malattie croniche – sottolinea Esposito- Anzi, la scuola deve promuovere l’inclusività garantendo che anche chi è affetto da malattie croniche come fibrosi cistica, tumori, immunodeficienze o diabete di tipo 1 la possa frequentare in sicurezza. Inoltre, per permettere a bambini e adolescenti con malattia cronica di “vivere” la malattia in modo attento ai propri bisogni e al proprio itinerario di salute, è fondamentale che riprenda anche la scuola in ospedale, una presenza fondamentale nel segno della normalità”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA