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Il trittico agatino: quando le pietre svelano la storia

Di Carmelo Aurite |

«Le pietre parlano e raccontano la storia»: così Don Ugo Aresco, rettore dagli anni 60 al 2020 della chiesa di Sant’Agata la Vetere, sintetizzava la valenza per la città dei luoghi del culto della Vergine e Martire catanese, definiti il “Trittico agatino”: La Vetere, il Santo Carcere, la Fornace (San Biagio). È la prof.ssa Stefania Di Vita, esperta dei luoghi del Culto di S. Agata, che rievoca le parole del sacerdote nel condurci in un viaggio, tra immagini e parole, nei siti del martirio della Vergine e Martire catanese.

Catania è legata alla sua Patrona in un binomio indissolubile. Agata e Catania, non si sono mai piegate ai tormenti del fuoco inflitti, da Quinziano all’una, e dall’Etna all’altra, ma sono sempre rinate più belle e splendenti. Sant’Agata la Vetere sorge sui luoghi che, secondo la tradizione, nell’anno 251 dC, furono teatro del martirio di Agata, un tempo occupati dal pretorio, sede del governatore della provincia. «Si tramanda che quando il culto cristiano non era ancora né tollerato né legalizzato il Santo vescovo Everio, nel 264 dC, fece costruire, quasi di nascosto, un’edicola. Tra il 380 dC e il 436 dC, in seguito a diversi cataclismi, la chiesa di Sant’Agata la Vetere venne proclamata “Primaziale”, stabilendovi il vescovo la sua cattedra e trasferendovi le reliquie della Santa, unitamente al santo sepolcro che le custodiva.

Nel ‘700 la piccola edicola di Sant’Agata la Vetere, fu ricostruita e poi ampliata in forma basilicale. Con il terremoto del 1693 la Basilica venne quasi distrutta, solo la cripta sotterranea non riportò danni, e venne poi ricostruita sui resti della precedente».

In seguito al terremoto di Santa Lucia del 1990 per anni è rimasta chiusa e per un decennio il fercolo di Sant’Agata non poté entrare al suo interno per i tradizionali Vespri del 4 febbraio. «Dai lavori di ristrutturazione – prosegue Stefania Di Vita – emerse un patrimonio culturale per secoli rimasto nascosto». La chiesa è stata riaperta il 12 gennaio 2003. «L’edificio – continua Di Vita – è a unica navata e ingloba nel suo interno tracce di un edificio precedente, come si vede dalle basi dei pilastri dell’antica facciata. La chiesa è a pianta rettangolare con sei altari laterali su cui sono quadri di grandi autori siciliani fra cui: “La Madonna dei bambini” di Giuseppe Sciuti, inaugurata nel 1898, “Sant’Agata al carcere visitata da San Pietro” del 1777, dipinto da Antonio Pennisi. A sinistra in una nicchia vi è lo scrigno che per molti secoli ha contenuto le reliquie della Santa Patrona. Su di esso è posto il mezzo busto di Sant’Agata del sec. XIX, creato da un artigiano locale. Al centro dell’abside, il sarcofago che la tradizione vuole sia l’originale in cui fu deposta la Santa appena morta. Interessanti sono gli ambienti sotterranei come la cripta ».

Al Santo Carcere, sotto una falsa cantoria, vi sono due porte. In quella a sinistra una grata racchiude la lastra di lava con l’impronta dei piedi della Santa. La porta di destra, aperta nel sec. XI, ha ora un cancelletto di ferro e introduce nel carcere, che consta di due ambienti.

«Il primo – spiega Di Vita – è di epoca romana. L’altare segna il luogo dove, secondo la tradizione, Sant’Agata spirò. Entrando è visibile un cunicolo cieco; qui la tradizione racconta dell’apparizione di san Pietro alla martire catanese, venuto con un angelo a risanare la giovinetta mutilata».

Sant’Agata la Fornace, chiamata anche Carcara, ha un’origine antica ed incerta. Fu distrutta quasi totalmente dal terremoto del 1693 e il vescovo Andrea Reggio fece ricostruire, nel primo decennio del Settecento, sul luogo della preesistente, quella che è l’attuale chiesa, incorporandovi però la chiesa di san Biagio martire, anch’essa distrutta dal sisma e che prima dell’evento si trovava nei pressi della fornace. All’interno della chiesa vi è la cappella che si ritiene corrisponda al luogo ove la Santa venne sottoposta al supplizio del fuoco.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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