È primavera, siete tutti cacoccioli
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Una rondine non fa primavera ma un cacocciolo arrustuto sulla brace sì, almeno da noi in Sicilia. Mentre altrove i nasi si impennano alla ricerca di un aroma di zagara, di fiore che fiorisce, di natura che sbadigliando si risveglia sensuale, noi attisiamo i sensi alla ricerca dell’odore di cacocciolo arrustuto: se all’improvviso entriamo in una coltre di nebbia profumatissima allora sì, la primavera è arrivata, le piogge sono lontane e il focolare si può addumare per strada. Perché il vero, originale, rinomatissimo “street food” non è l’arancino, ma il cacocciolo arrustuto, arrustuto sulla brace, e per strada, altrimenti, non so per quale legge misterica sicula, non sape di cacocciolo arrustuto.
Esso ci rappresenta: la cacocciolitudine è la rappresentazione visiva e allegorica dell’animo siculo che, all’improvviso, in primavera, si incacocciola, diventa cioè dire preda della natura che fiorisce, che si attisa verso la luce dopo l’inverno, e così noi siculi, attisandoci, ci incacoccioliamo, da cui il detto “ma stai facendo il cacocciolo con quella?”. Anche la donna, ovviamente (questa rubrica è per la parità dei sessi), si incacocciola: “Ma dai, guarda che ti ho visto che stavi facendo la cacocciola con quello!”, “Chi, io? No!” (e invece sì).
E se però riservassimo la nostra cacocciolitudine sono a questo periodo, quando l’anima e la natura ritrovano l’armonia, quanto sarebbe meglio. Perché il cacocciolo è beatitudine e dannazione per il siculo, che, e ditemi se non ho torto, corre sempre il rischio di essere “bello cacocciolo”. Ergo cacocciolo in primavera sì, ma se fate il cacocciolo tutto l’anno finite che fate la figura del cacocciolo.