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Mo­gol rac­con­ta “La Ca­pi­ne­ra”: «Lin­guag­gio di oggi, sen­ti­men­ti di sem­pre»

Di Redazione |

Quando Gianni Bella venne a trovarmi insie­me al gio­va­ne li­bret­ti­sta Giu­sep­pe Ful­che­ri per chie­der­mi di scri­ve­re le ro­man­ze de “La Capinera”, ri­ma­si un po’ per­ples­so. Nes­su­no di noi ave­va una cul­tu­ra ope­ri­sti­ca tale da com­por­re un’in­te­ra ope­ra. Mi sembrava una scelta avventata e così de­ci­si di non ade­ri­re. Quan­do però, sei mesi dopo, tor­na­ro­no con l’ou­ver­tu­re e con gli ar­ran­gia­men­ti per le ro­man­ze, ne fui subito con­qui­sta­to: non avevo mai sentito qualcosa del genere, un’opera così straordinaria». Giulio Rapetti, in arte Mogol, racconta così il suo coinvolgimento nel progetto de “La Capinera”, il “melodramma moderno” che ha debuttato al Teatro Bellini di Catania lo scorso 9 dicembre e che lo vede, ancora una volta, fare coppia col compositore catanese Gianni Bella, insieme al quale ha composto alcuni grandi successi della canzone pop. Incontrato al Monastero dei Benedettini, dove è stato protagonista di un incontro con gli studenti dell’Ateneo catanese, il grande paroliere ottantaduenne ci ha raccontato della genesi e della realizzazione de “La Capinera”. LE ROMANZE? SCRITTE IN SEI ORE. Il grande entusiasmo di Mogol per questo progetto ha fatto sì che il paroliere elaborasse le romanze tutte d’un fiato. «Dopo che la figlia di Gianni – continua – mi spiegò le scene, mi dedicai alla scrittura dei testi. Sei ore dopo erano pronte le romanze. Dopodiché, il passo successivo fu quello di incidere l’opera con grandi cantanti e con un investimento importante di 400 mila euro. Diedi poi questo disco a un mio amico che lo consegnò a un tenore allievo del direttore d’orchestra Gustav Kuhn, il quale ne rimase talmente colpito da venirmi a trovare. E come lui anche Ion Marin che la fece ascoltare all’allora Sovraintendente del Teatro di Roma, Catello De Martino».

L’AUDACIA DI METTERE IN SCENA. Per una serie di eventi quest’opera che aveva colpito così tante personalità di spicco nell’ambito della musica classica non riusciva a trovare un teatro che la producesse. «Nessuno – prosegue Mogol – si propose di metterla in scena nonostante lo stupore che aveva suscitato, finché un giorno non comparve un uomo coraggioso, Roberto Grossi, sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, il quale riconobbe al dramma il valore che gli avevano dato tutti gli altri ma con in più l’audacia di affrontarne la messa in scena. Da cento anni le opere sono sempre le stesse, per decidere di rappresentarne una nuova ci vuole un coraggio da leoni. Questo è un grande giorno non solo per la Sicilia, terra alla quale appartengono Verga, Bella e il Teatro Massimo Bellini che la ospiterà, ma per tutta l’Italia».

MELODRAMMA MODERNO. Un evento musicale di grande portata, dunque, che ha messo in moto la prestigiosa macchina teatrale dell’Ente, indaffarato in queste ore negli ultimi preparativi e che vedrà fra l’altro un grande nome come quello del premio Oscar, Dante Ferretti, che ha firmato i bozzetti di scena e i costumi, al timone della regia coadiuvato nel lavoro da Marina Bianchi. Sembra una sottile sfumatura ma sin dalle prime battute Mogol preferisce parlare di melodramma moderno piuttosto che di opera lirica. «La definizione – sottolinea – è legata al fatto che si tratta di qualcosa di nuovo ma che, nonostante qualche romanza si discosti dal modello tradizionale dell’opera, non perde il suo fascino».

TOCCANTE INNOCENZA. «Verga – ci spiega ancora Mogol – scrisse il romanzo muovendo da un fatto realmente accaduto, l’epidemia del colera scoppiata a Catania intorno al 1850. È una storia dura, nella quale si racconta l’amore fra una novizia e il promesso sposo della sorellastra, che in alcuni punti ho modificato. Per esempio Maria si trova ad abbracciare Nino durante la festa di Sant’Agata, creando scalpore e fermando la processione». L’evento però è vissuto in maniera diversa dai due: mentre Nino s’è innamorato perdutamente di Maria e la desidera, lei non cade in tentazione, non tradisce il Signore: «Ha solo pensato che quel giovane che le ha aperto le braccia e sorriso fosse l’espressione di Dio – spiega ancora Mogol -. Da questo episodio innocente scaturirà tutto il dolore che la giovane ragazza è costretta a subire in maniera immeritata. Questa sua innocenza rende la storia ancora più commovente perché non siamo di fronte a una suora peccatrice ma a un’anima nobile».

foto Giuseppe Tiralosi

COMMOZIONE E ATTUALITÀ. A Gianni Bella, che ci ricorda affettuosamente Mogol «a cinque anni andava proprio sulla scalinata della Cattedrale di Catania la domenica per capire come i chitarristi suonassero», si deve invece la costruzione drammaturgica del personaggio del Colera: «Il suo compito – racconta ancora Mogol – è quello di uccidere ma nel 2° atto questa figura vivrà una sorta di crisi nell’impersonificare il destino. Noi siamo pieni di domande, quando vediamo un bambino morire di cancro pensiamo che la vita sia crudele. Personalmente ritengo che gli uomini vivano nella logica umana mentre quella divina guarda all’eternità».

GIOVANI E TEATRO. Ma in che modo un lavoro così attuale può avvicinare i giovani a teatro? «Quella della Capinera – risponde Mogol – è una storia senze età, che tocca profondamente. Noi viviamo da secoli gli stessi sentimenti e siccome quest’opera parla il linguaggio di oggi nonostante i vestiti, le usanze, il tempo rispettato alla fine ci riguarda da vicino». Indubbiamente è possibile vedere la differenza del lessico utilizzato nel romanzo rispetto a quello delle liriche: «Il linguaggio di Verga è aulico, ottocentesco, mentre io ho scritto come scrivo sempre cioè quotidiano, con grande semplicità per arrivare in maniera diretta. Finora non ho mai visto nessuno che abbia assistito all’esecuzione dell’opera e non si sia commosso perché è una storia che ci appartiene».

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