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Il secondo produttore al mondo di farina di carrube è un ragusano: «Ecco come ho fatto»

Di Maria Ausilia Boemi |

Dopo la laurea in Economia e commercio a Catania, Licitra ha conseguito un master a Roma in Direzione aziendale ed è stato poi assunto dalla Ford Europa per la quale, dopo un breve periodo in Inghilterra, ha lavorato per circa 4 anni in Italia: «Mi occupavo soprattutto di marketing e in parte di finanza. Ma l’idea di lavorare in una grossa azienda, che in principio era un sogno, non si è realizzato come tale: non era come me l’aspettavo, le grandi aziende sono molto burocratiche. In realtà, io avevo voglia di realizzare qualcosa di mio, ma sulla mia scelta ha avuto un peso anche il richiamo della terra di origine».

Il padre di Giancarlo Licitra si occupava della commercializzazione all’ingrosso di carrube: «L’idea mia è stata quella di tornare a casa e di mettermi in proprio per realizzare la trasformazione industriale di queste materie prime che prima venivano vendute tal quali». Il progetto vero e proprio di Licitra ha preso le mosse nel 1996-97, mentre l’azienda – che oggi dà lavoro a una trentina di persone – ha aperto i battenti nel 2000: «L’azienda è stata quindi fondata ex novo, perché si occupa della parte industriale. È come se fosse una soluzione di continuità rispetto a ciò che faceva mio padre».

Il genitore si occupava solo della commercializzazione, anche perché per avere una produzione ingente occorrono delle distese di terreno improponibili: «Anche noi come Lbg Sicilia abbiamo adesso 50 ettari di terreno con 5.000 alberi, ma quando sarà a pieno regime tutto il carrubeto soddisferà soltanto un giorno di produzione dello stabilimento. L’esempio è per capire le proporzioni esistenti tra la parte agricola e quella industriale». Neanche la Sicilia basta così più alla Lbg: «Siamo diventati i secondi produttori mondiali della farina di semi di carruba, esportiamo in 80 Paesi (il 95% del nostro fatturato proviene dall’estero) e quindi dobbiamo comprare la materia prima da tutto il bacino del Mediterraneo. La produzione italiana, che è concentrata a Ragusa, fondamentalmente rappresenta soltanto il 10% della produzione mondiale di carruba, quindi gioco forza dobbiamo attingere al mercato estero: Spagna, Portogallo, Marocco, Grecia».

Quello prodotto dallo stabilimento di Licitra è un additivo – l’E410 – utilizzato in moltissimi preparati industriali alimentari, come i gelati o i formaggi cremosi. Ogni anno la Lbg produce 3.000 tonnellate di farina di semi di carruba: è così necessario «operare su un mercato molto grande, perché il nostro prodotto si utilizza in percentuali bassissime: ad esempio, per realizzare un chilo di gelato ne serve non più di un grammo».

Dal 2013, è stato inoltre realizzato un ampliamento dell’attività di impresa: «Oltre ad avere la divisione della farina di semi di carruba, commercializzata col marchio Seedgum, che è quella con cui abbiamo iniziato, dal 2013 abbiamo un’altra divisione, commercializzata col marchio Solmix, che riguarda la preparazione di miscele di ingredienti stabilizzanti, quindi di miscele in cui non c’è soltanto la farina di semi di carruba, ma anche altri prodotti e che noi realizziamo unicamente su specifica richiesta delle industrie alimentari che ce lo richiedono per la ricerca e lo sviluppo dei prodotti nuovi che vogliono produrre: ad esempio, un gelato con meno grassi anziché un formaggio cremoso con una struttura particolare. La carruba, in questo ambito commerciale, è uno dei prodotti più naturali possibili; poi ci sono altri prodotti che, pur essendo ammessi nell’industria alimentare, hanno dei processi di produzione diversi: non li produciamo noi, ma li compriamo e li misceliamo».

Proprio di recente è scoppiata la polemica sugli addensanti per i cibi, ad esempio i fosfati per il kebab: voi non avete nulla a che fare con questo? «Diciamo che c’è molta disinformazione su questo perché, a parte il fatto che questi sono tra gli ingredienti più monitorati di tutti, alcuni di loro, come la farina di semi di carruba, pur essendo descritti con i cosiddetti e-numbers (ad esempio nelle etichette di qualsiasi prodotto alimentare la farina di semi di carruba è riportata come E410), sono quanto di più naturale possa esistere: è seme di carruba macinato e venduto sotto forma di farina. Quindi sconta magari l’idea di essere un prodotto identificato con la E – quindi un additivo – però è 100% naturale, molto più di altri che sembrano naturali e che invece non lo sono per niente». Non si è pentito della scelta audace fatta, il dott. Licitra, «però purtroppo si vede sempre che l’entusiasmo che ha il privato per fare sviluppare l’impresa non viene supportato dal resto del contesto». La maggiore difficoltà che denuncia l’imprenditore ragusano è non riuscire a trovare quadri dirigenti, in particolare «tecnici specializzati nel settore dei colloidi e soprattutto direttori commerciali e, più in generale, manager. La politica che stiamo seguendo è di fare crescere le professionalità all’interno dell’azienda, ma ci vuole molto tempo. Il problema è che viviamo in un posto dove non c’è un sistema economico molto sviluppato e, di conseguenza, non ci sono aziende vicine da cui potere attingere per trovare persone già preparate. Così, o le professionalità te le cresci in casa oppure, come nel mio caso, assumi sporadicamente persone che vengono anche dalla Lombardia».

Un’immigrazione alla rovescia, una volta tanto: «Io – sottolinea però Licitra – vedo il mondo in maniera molto globalizzata e quindi non mi soffermo su Sud o Nord: quello che conta è se dove stai c’è un sistema economico competitivo oppure no. La zona del Ragusano rispetto al resto della Sicilia qualche vantaggio ce l’ha, però non è purtroppo paragonabile al produrre nel centro dell’Europa».

Un concetto ribadito da Licitra anche di fronte alla domanda su quali siano pregi e difetti della Sicilia, dal punto di vista imprenditoriale, rispetto ad altri luoghi: «Dal punto di vista economico, alla nostra Isola purtroppo non posso attribuire alcun pregio, perché questa è una zona non sviluppata dal punto di vista dell’economia privata. Nel mio caso, il pregio deriva probabilmente al fatto che sto vicino alle materie prime e a una qualità della vita che, almeno nella nostra zona, è comunque buona. Però dal punto di vista economico non vedo grandi vantaggi, perché abbiamo una tassazione molto elevata, la stessa di Bergamo, ma senza gli stessi vantaggi. Diciamo che il pregio è dovuto al fatto che io sono nato qua e quindi non mi dispiaceva tornare. Però si può fare: alcuni business possono resistere se sono gestiti con molta innovazione».

La maggiore difficoltà resta il reperimento della manodopera specializzata, un paradosso in una terra che ha fame di lavoro: «Qua i neo-laureati si trovano senza problemi e sono anzi migliori che altrove – specifica Licitra -, però per trovare delle professionalità già un po’ sviluppate la difficoltà sta nel convincere qualcuno che vive all’estero a venire qua. Venire in Sicilia non rappresenta una direzione di emigrazione “normale” per chi vive all’estero». C’è una collaborazione con l’università di Catania e l’azienda è aperta ad effettuare tirocini, ma si tratta pur sempre di una azienda con poco personale, anche se alcune figure chiave sono difficili da trovare. E non c’è niente da fare: per Licitra, «la vera formazione si acquisisce con il lavoro stesso, non con l’università. E una persona con 10-15 anni di esperienza di lavoro qualificato qua non si trova. Ed è difficile attrarli da fuori perché l’idea del trasferimento dalla Germania in Sicilia non è contemplata da nessuno. D’altronde non è presa in considerazione neanche quella da Milano in Sicilia, figuriamoci… Purtroppo scontiamo una cattiva fama, che esiste e resiste anche se poi magari non ha un corrispettivo nella realtà».

Consigli a giovani? «Alternate molto la scuola con il lavoro, non basatevi soltanto sulla parte formazione scolastica e universitaria. Un’esperienza qualificante sul lavoro vale più di una laurea: purtroppo è così nel mondo di oggi. Fare esperienze di lavoro durante l’università, anche quelle all’apparenza umili, è molto importante». Un assist alla tanto vituperata alternanza scuola- lavoro, «purché sia fatta bene. Se invece è fatta male, come sembra sia, non serve. Inoltre, io la farei fare più all’università che nella scuola superiore».

Un esempio del fatto che si può fare impresa sana in Sicilia, con un mix di innovazione nella tecnologia di produzione, di approccio commerciale intelligente, con lo sguardo puntato sempre a un miglioramento della sicurezza alimentare e a una conoscenza approfondita delle leggi internazionali: «Impresa malata non credo che possa sopravvivere: le imprese o sono sane o non resistono. Poi in Sicilia l’impresa deve essere ancora più sana che altrove, perché ci scontriamo con moltissime difficoltà. Io dico sempre che fare impresa in Sicilia è più difficile che altrove: è come per un giocatore di pallacanestro basso che, per giocare con gli altri più alti, deve essere un po’ più bravo. Si può fare, però purtroppo gli esempi non sono moltissimi».

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