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Marina di Acate, a “scola” di teatro inventata dai volontari Caritas per i bambini “invisibili”

Di Amelia Cartia |

Trazzere di campagna le loro strade, dispersivo e difficoltoso è raggiungere le loro case: nessun pulmino scolastico si è mai avventurato fin lì. E allora è la “scola” che li va a prendere. Loro, i bambini invisibili, la chiamano così la scuola di teatro che la Caritas diocesana di Ragusa ha inventato per loro. Per contarli, per guardarli in faccia e per tentare lo sforzo titanico di contrastare la dispersione scolastica che coinvolge più della metà di loro: troppo lontani dal paese per frequentare le scuole, troppo indaffarati i genitori per poterli accompagnare. Senza contare che, spesso, gran parte di loro non ha nemmeno il mezzo per poterlo fare.

«Vivono in strade – racconta Silvia Leggio, che proprio per la Caritas, insieme a Vincenzo La Monica, ha ideato il corso di teatro per i figli dei braccianti agricoli – nascoste e senza nome. E così si riducono ad essere loro: bambini invisibili e senza identità». Per svuotare con un cucchiaino il mare di indifferenza che, alimentato non si sa più nemmeno da chi (lo Stato? L’Unione Europea?) annega questo piccolo mondo parallelo, il pulmino della Caritas una volta a settimana fa il giro delle case, e porta i bambini al presidio di Marina di Acate. Lì, copione in mano e seduti in cerchio, si fa la “scola”: sono venticinque gli alunni. Alcuni sono bambini e, da seduti, non arrivano con i piedi a toccare per terra. Altri avranno quindici, sedici anni.

Entrano alla spicciolata, un po’ per volta, accompagnati dai volontari che li hanno prelevati da casa. I tempi, anche quelli, sono diversi: bisogna aspettare che Lara (o qualunque altro sia il suo nome, che importa?) finisca di impastare il pane per la sua famiglia, per esempio, prima di raggiungere i compagni. Lara, che ha quattordici anni e le unghie laccate di scuro. Lara, che legge bene – caso raro – perché lei a scuola ci è andata, quando è arrivata dalla Romania. Poi, però, ha smesso, ché forse il suo aiuto serviva. Lara legge così bene e così con gusto che, forse, il ruolo di Pinocchio, quest’anno, lo daranno a lei. «Papà Geppetto dice che la scuola è un posto divertente», recita incalzata dall’attore Fabio Guastella, che per il secondo anno guida i ragazzi nel progetto. Recita e si diverte, Lara, mentre gli altri ridono. Un minuto prima, a leggere era stato invitato Raffaele, che non si chiama così ma che a guardarlo ricorda il Raffaele di Io speriamo che me la cavo: ciuffo calato sugli occhi e sguardo da duro, a dieci anni. Giusto il motorino e il chiodo gli mancano, per completare il quadro clinico del ragazzino che si atteggia a peste per nascondere la paura. Fa il duro, Raffaele, perché non vuole leggere. Non vuole, perché non sa farlo. A spiegarlo è una delle compagne: non sa leggere, non va a scuola. Come più della metà di questi bambini sommersi. Raffaele si gira, ci guarda, e sorride: è tornato il bambino che è.

«Escono di casa – continua Leggio – ogni volta con la faccia dura, da adulti. Bastano pochi minuti qua dentro, insieme ai coetanei, per riacquistare l’espressione della loro età, i sorrisi, la leggerezza. Spesso non hanno proprio la possibilità di frequentarsi tra di loro: non solo molti non vanno a scuola, ma quasi tutti vivono in case talmente isolate da non poter raggiungere neanche un vicino. Crescono in casa, aiutano i genitori: ma giocare, imparare, non è per loro. Bisogna entrare anche nella loro mente, capire che in questo contesto anche le regole sono diverse. E poi adattarsi. Ma i risultati arrivano: sembra poco, ma quest’anno i ragazzi hanno già abbastanza disciplina da riuscire a seguirci. Quello che noi facciamo con questo progetto è restituire loro l’infanzia a cui hanno dovuto rinunciare presto. Mettendo in scena le fiabe che forse vorrebbero sentirsi raccontare».

A scegliere il copione, il primo anno, sono state le bambine: Cenerentola. In loro onore, Serrerentola. Allo spettacolo prese parte in qualità di insegnante quel Lorenzo Licitra che poi ha vinto X Factor. A interpretare Serrerentola, invece,è stata una biondina piccola piccola. Che, piccola piccola, recitava il ruolo di una bracciante in attesa del principe azzurro che la portasse via. «Con le storie che raccontiamo – spiega ancora Leggio – vogliamo non solo “presentare” questi bambini alla cittadinanza locale, ma anche far passare una “morale”. Con Serrerentola volevamo incoraggiare i piccoli a seguire i loro sogni: spesso infatti ci dicono che vorrebbero fare le parrucchiere, le estetiste, i poliziotti, ma le condizioni in cui vivono li portano a non potersi allontanare tanto dalla prospettiva di dover seguire le orme, anche lavorative, dei genitori. Con la fiaba di quest’anno, Pinocchio, la morale ha a che fare con la coscienza, con il Grillo Parlante che incoraggia a studiare. Ma anche con i tanti Lucignoli che prima della partenza raccontano alle famiglie che l’Italia sarà il Paese dei Balocchi, facendoli andare incontro poi a una bella delusione quando, arrivati qua, trovano una situazione indubbiamente più critica di quanto si aspettassero».

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