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Dal prato al piatto, il fiore diventa gourmet: l’idea vincente di Andrea Calcione

Di Carmen Greco |

Motta Sant’Anastasia (Catania) – Il gene dell’inventiva l’ha sicuramente ereditato da nonno Salvatore che, negli Anni Settanta, assieme allo zio Peppino, si mise a coltivare tulipani e papaveri a Motta Sant’Anastasia, sui terreni degli avi. Poi, arrivò il boom della arance e i terreni vennero riconvertiti ad agrumeti. Infine, nel 2010, la decisione di estirpare tutto (a causa della crisi) in attesa di decidere cosa piantare.

È allora che ad Andrea Calcione, poco più che ventenne, frulla in testa l’idea di mettersi a coltivare fiori, rinnovando la vecchia idea di famiglia, ma non per rifornire i cimiteri, per venderli ai ristoratori. Fiori non più da guardare, ma da mangiare.

La lampadina gli si accende grazie ad un amico chef, Giuseppe Luca, e così Andrea si butta nottetempo sui libri e su internet per farsi una cultura sui fiori commestibili. Chiede, s’informa, segue i suggerimenti di Giacomo Carmazi titolare di un’azienda a Torre del Lago specializzata in florovivaismo e con l’aiuto della prof. Daniela Romano, della facoltà di Agraria, a Catania, studia quali siano i fiori mangerecci. Comincia coltivando piantine in casa e costruendo una rudimentale serra con l’essiccatore della lavatrice.

Oggi, a 27 anni, ha un’azienda tutta sua in cui coltiva fiori e futuro. Poco più di dieci ettari, appena fuori paese, affacciati sulla Valle del Siele, punteggiati da fiordalisi, viole, e narcisi.

«Quando il mio amico chef me lo propose – ricorda – mi sono messo a ridere, poi ho comprato questo terreno e ho deciso di scommettere su questa avventura, supportato dai miei genitori che sono sempre stati la mia ombra. Qui c’era una vigna abbandonata, ma non se ne poteva ricavare vino perché il proprietario aveva venduto le quote. Ho acquistato il terreno come “coltivabile a grano” ed è iniziato tutto. Era pieno di erbacce, c’era una giungla, per questo ho chiamato l’azienda Jungle farm. Oggi, vede?, coltiviamo quattordici varietà di fiori, contiamo di arrivare a 50 e abbiamo piantato anche l’alchechengi (una pianta esotica conosciuto per i suoi fiori a forma di lanterna, che produce delle bacche buonissime ndr) e siamo i primi in Sicilia a farlo».

Di primati, Andrea ne ha già stabiliti tanti a partire dal fatto che gestisce l’azienda in proprio con la collaborazione di un solo dipendente. Sono loro due ad occuparsi di tutto, dalla semina alla cura, dalla raccolta alla spedizione. Per combattere i parassiti si usano rimedi naturali che non intaccano il ciclo delle piante, oppure le piante stesse come barriere naturali o, ancora, le coccinelle. Tutti accorgimenti che hanno permesso di eliminare gli insetticidi nocivi alla terra e alle persone, primo passo per arrivare a raggiungere la certificazione di azienda biologica.

«I nostri clienti – racconta – Calcione – sono un centinaio prevalentemente in Sicilia, abbiamo quasi tutti gli chef stellati e due catering di alta gamma. Da poco siamo arrivati in Calabria e stiamo cercando di inserirci anche al mercato di Fondi dove c’è il più grosso centro Agroalimentare all’ingrosso d’Italia. Per capire la nostra “portata” sul mercato basta fare un confronto con la più grande azienda che distribuisce frutta esotica e piante rare in Italia. Loro “consumano” 200 vaschette di fiori al giorno, io ho iniziato con 40 vaschette a settimana e, adesso, siamo arrivati a 100».

I fiori eduli, infatti, vengono venduti a vaschette, raccolti e spediti in giornata perché hanno – com’è facile immaginare – vita breve, al massimo sette giorni. Sui terreni di Andrea Calcione si coltivano – in campo aperto o in serra – diversi tipi di viole, tagete, fiordalisi, gerani (si mangiano anche questi), garofani cinesi, lavanda, bocche di leone, nasturzi, borragine, e così via, oltre a piante molto particolari, come la “pianta del ghiaccio” che in Italia coltiva solo lui.

È una piccola pianta grassa che sa di mare, assaggiarla è come mettere in bocca una patella “vegetale”. «Raccoglie il sale dal terreno – spiega Calcione – e lo immagazzina in delle vescicole; quando va a morire, lo rilascia nuovamente, in modo che i suoi semi vadano avanti, mentre quelli delle altre piante tutt’intorno, aggrediti dal sale, non riescono a sopravvivere. Il fiore non è bello, ha dei petali bianchi, a ciuffetto, ma la pianta, verde, con il suo sapore di mare, dà gusto al piatto soprattutto nei crudi di pesce e nelle tartare».

Ma quanto costano i fiori eduli? «Noi vendiamo le vaschette a 4 euro l’una, poi, a seconda di quanto sia pregiato il fiore ne mettiamo un numero diverso, da 16 a 25. Il nostro vantaggio è che i fiori coltivati qui arrivano sulle tavole al massimo il giorno dopo, i grandi distributori europei, a partire dagli olandesi che sono i maestri, per conservarli più a lungo possibile usano, invece, l’azoto. Quando si apre la vaschetta i fiori sono bellissimi, ma appena l’effetto dell’azoto si esaurisce, i fiori deperiscono molto velocemente».

La vera sfida, però, non è far utilizzare i fiori mangerecci nelle cucine stellate, quanto “educare” il consumatore ad un salto culturale che porti a considera i fiori non solo come ornamento, ma come un vero e proprio alimento. «Infatti, quando si ritrovano un fiore nel piatto – sottolinea – Calcione – la maggior parte delle persone lo scarta, dimenticando che tutto ciò che viene inserito in quel piatto è commestibile. Noi stiamo cercando di far capire proprio questo. I fiori si mangiano ed hanno, tra l’altro, delle proprietà eccezionali. Per esempio il tagete contiene il doppio degli antiossidanti di un pomodorino, ma siccome è simile ad un crisantemo, nessuno lo considera. I petali, invece, sono buonissimi in insalata. Ad Alba c’è lo chef di Piazza Duomo, Enrico Crippa (tre stelle Michelin) che fa un’insalata con 52 tipi di erbe, tra cui 26 fiori, lo chef Pietro D’Agostino, lo stellato di Taormina, è stato uno dei miei clienti della prima ora».

Se il futuro sarà comprare insalate di gerani e violette al supermercato è (forse) facile ipotizzarlo, di sicuro la strada verso il consumo dei fiori a tavola è già tracciata e prevede delle novità. «Coltivare fiori è il punto di partenza, nel futuro c’è il microgreen – pronostica Andrea Calcione -. In pratica si tratta di raccogliere piante nate dai semi a 15 giorni di vita, in modo da prelevare la pianta ad uno stadio avanzato del germoglio. I semi vengono messi su un letto di crescita, che può essere anche un panno umido e in 15 giorni la parte tenera di queste micropiantine viene è pronta per essere consumata. Sono particolarmente saporite e ricche di proprietà benefiche. In America già lo fanno da dieci anni. Ci sono chef che nei loro piatti mettono questi ciuffetti di microgreen di piselli o barbabietole. È interessante perchè il microgreen si può fare sia fuori suolo che all’aperto».

Ma non sono tutti fiori quelli che sbocciano, soprattutto in Sicilia, dove fare l’agricoltore è un’impresa che costa il doppio della fatica. «I problemi sono diversi – elenca Andrea – a partire dalla distribuzione e dai difetti di comunicazione. Ancora non si comprende il valore del prodotto e riuscire a convincere la gente che i fiori si mangiano come i funghi è molto difficile anche se sono convinto che con il tempo questo gap si supererà. Quello che è veramente impossibile è l’accesso ai finanziamenti europei. Ci proviamo da due anni e alla fine abbiamo perso le speranze investendo soldi di tasca nostra. In Sicilia è più facile coltivare violette con 50 gradi all’ombra che avere a che fare con la burocrazia…».

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