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Un’ortopedica ragusana in… campo

Di Maria Ausilia Boemi |

Dirigente medico ortopedico quando è di turno all’ospedale civile di Ragusa, imprenditrice agricola e mugnaia nel resto del tempo: la 41enne dottoressa Annalisa Dibenedetto vive in una sola vita le sue due grandi passioni, assieme al marito, Salvatore Piccitto, che pure si divide tra i campi insistenti su due vallate speculari a Ragusa (una quindicina di ettari in totale, con coltivazioni di zafferano, antichi grani siciliani e ulivi, tutto bio) e la gestione della sua lavanderia industriale.

Laureatasi in Medicina e specializzatasi in Ortopedia all’università di Catania, dopo un incarico di un anno all’ospedale di Siracusa, Annalisa Dibenedetto è passata al nosocomio di Ragusa dove è stata assunta a tempo indeterminato 6 anni fa. Ma la vita frenetica di medico non bastava alla dottoressa Dibenedetto, amante della natura. «Mio marito – racconta – possiede una campagna molto panoramica in contrada Pistillo, sulla vallata del carrubo, zona a vincolo paesaggistico. A questa campagna siamo sempre stati molto affezionati ma ci andavamo solo la domenica per fare una passeggiata o a raccogliere asparagi. A fine ottobre di 4 anni fa, abbiamo trovato il terreno pieno di fiori di zafferano spontaneo e ci è venuta l’idea di creare una struttura che fosse in parte anche ricettiva, perché il posto è particolarmente bello. Essendo però una zona a vincolo paesaggistico, non si può costruire, a meno che non si abbia un’azienda agricola. Da lì abbiamo così avviato l’azienda agricola – di cui è titolare mio marito – per la coltivazione dello zafferano in biologico».

Ma anche questo, ancora, non bastava al medico appassionata di campi: «Dopo circa un anno e mezzo, ci è venuto in mente di associare all’attività dell’azienda agricola anche quella del grano. Mio padre, che è un docente di italiano e storia in pensione, aveva infatti una proprietà col mulino ad acqua, una struttura per la ristorazione e una grotta dove si organizzavano attività culturali e serate. Ma gestirla per lui era diventato troppo impegnativo». La prospettiva, qualora nessuna delle figlie si fosse voluta impegnare in questo senso, era vendere. Un peccato, visto l’impegno profuso nella ristrutturazione del mulino ad acqua, acquistato circa 20 anni prima nella vallata Santa Domenica, la «zona industriale di Ragusa dei primissimi del ’900». Una valle verde con una necropoli, attraversata dal torrente Santa Domenica sul quale, fino agli anni 50, si affacciavano 9 mulini ad acqua che, con l’avvento del cementificio, chiusero e furono abbandonati.

«Acquistando sia il mulino sia la stazione di sollevamento dell’acqua, mio padre ebbe la possibilità di utilizzare nuovamente l’acqua e di ristrutturare tutto: in effetti questo è l’unico mulino che è stato completamente ristrutturato da un privato». Rimesso in funzione con grandi difficoltà – la vecchia scuola dei mugnai andava scomparendo per motivi anagrafici – veniva però utilizzato solo per gli amici, ogni tanto per visite scolastiche o «quando mia madre decideva di fare la farina per il pane o per la pizza». Di fronte alla prospettiva della vendita, la dottoressa Dibenedetto prende la decisione di gestirlo come attività all’interno dell’azienda agricola: alla produzione dello zafferano nel terreno del marito, così, si è aggiunta da due anni e mezzo l’attività del mulino e la produzione del grano. «Un paio di anni fa, infatti, abbiamo comprato un altro terreno – più adatto allo scopo – e abbiamo iniziato a coltivare i grani antichi siciliani: in particolare, maiorca, russello, senatore cappelli e tumminia. La tumminia (farina timilia) e il russello ibleo sono le varietà più antiche in Sicilia, la maiorca è l’unico grano tenero che si riscontra tra i siciliani e ha caratteristiche eccezionali in quanto a profumo, croccantezza del prodotto e mantenimento dello stesso». Il mulino ad acqua, concentrato incredibile che racconta 300 anni di storia, è tornato così in vita. Infine, la terza parte dell’azienda agricola è stata realizzata quest’anno: un impianto nuovo di uliveto, sul terreno dello zafferano, per produrre l’olio dop degli Ibei con l’innesto di 200 piante tra quelle antiche esistenti e altre 700 nuove. Azienda agricola che, oltre che impegnare i due coniugi proprietari, dà lavoro a tempo pieno al mugnaio, conta un’altra dipendente part time che parla due lingue e si occupa delle visite guidate, e si avvale della collaborazione di altra manodopera e di altre aziende a seconda delle fasi di lavorazione dei singoli prodotti.

Un percorso non facile, sorretto dalle possibilità economiche garantite da un lavoro alle spalle e da tanta, tanta passione. Solo per il mulino, ad esempio, «abbiamo dovuto risistemare la vasca di accumulo dell’acqua che era completamente ripiena di radici. Abbiamo svuotato tutto, imbiancato, fatto ricostruire le parti danneggiate, riportando tutto esattamente come funzionava all’inizio del ’900, andando a cercare le descrizioni delle parti meccaniche nei libri antichi e riadattandole chiaramente al moderno, con l’utilizzo di leghe moderne». A ciò si aggiunge «il contatto diretto con i produttori (non produciamo tutto noi), la pubblicità, il packaging, la grafica. Inoltre, alla produzione della farina abbiamo aggiunto quella della pasta integrale trafilata al bronzo realizzata solo con la farina senatore cappelli. L’abbiamo fatta provare ad alcuni chef, è piaciuta molto e, nell’arco di un anno e mezzo, siamo passati da uno a 7 formati di pasta». Tutti prodotti in commercio in diversi punti vendita del Ragusano o online: «Facciamo spedizioni non solo in Italia ma anche nel Nord Europa; organizziamo poi eventi qui da noi, perché nel frattempo abbiamo aperto un’altra struttura in una grotta scavata all’epoca per ricavare la pietra per ricostruire Ragusa superiore dopo il terremoto. Vi abbiamo installato una cucina a vista per i corsi di cucina e le degustazioni per i turisti che, su prenotazione e in gruppi di almeno 10 persone, dopo la visita al mulino e la spiegazione della nostra attività, possono testare le farine e i nostri prodotti trasformati (bruschette, biscottini, focacce)».

Difficile, anzi impossibile, per la dottoressa Dibenedetto scegliere se le piaccia di più fare il medico o l’imprenditrice agricola: «Sono due attività completamente diverse e due passioni che ho sempre avuto. Da bambina avevo una bambola di pezza e torturavo mia madre per avere le siringhe con l’ago perché dovevo fare le punture alla bambola. Di contro, a sei anni facevo le torte e avevo l’orticello che mio nonno mi aveva sistemato in un fazzoletto di terra. In effetti sono sempre stata così, è la mia natura e forse ho bisogno sia dell’uno sia dell’altro: sono due lavori che mi danno soddisfazioni ed impegni completamente diversi, ma che mi piacciono allo stesso modo».

Non è stata casuale neanche la scelta di riprendere i grani antichi per questa siciliana così volitiva: «Secondo noi è fondamentale restare vicini a un territorio così pieno di varietà e di prodotti. Si tratta inoltre di grani altamente digeribili, molto tollerati dai diabetici e da chi soffre di intolleranze al glutine». Non dai celiaci, in ogni caso. «Una volta non c’erano tutte queste intolleranze e si mangiavano fondamentalmente pane e pasta. Evidentemente è cambiato qualcosa anche nel modo di coltivare il grano. Noi coltiviamo senza l’utilizzo di diserbanti, abbiamo il sole che consente la maturazione normale, non utilizziamo conservanti nella farina (ovviamente la scadenza è tre mesi altrimenti spuntano le farfalline), facciamo una lunga lievitazione usando lieviti naturali: sono tutte cose che ci permettono di avere un prodotto completamente diverso. Produciamo inoltre solo integrale, perché facciamo diversi passaggi di pulizia e selezione del chicco e il mulino lavora a bassi giri: la farina, così, rimane fredda e il germe di grano resta integro. Cerchiamo di fare un prodotto di nicchia per offrire alimenti che siano davvero qualitativamente superiori».

E non è stato facile: «A partire dalla manutenzione del mulino, per la quale oggi mancano le maestranze capaci, fino alla vendita – soprattutto all’inizio – dei nostri prodotti che, con tutta la manodopera che richiedono, hanno un costo nettamente superiore agli altri. Fare passare il messaggio che si comprava un prodotto completamente diverso non è stato facile all’inizio, soprattutto nella vendita ai panifici o alle pizzerie. In questo, ci ha però aiutato il gusto: aspetto fondamentale, perché un prodotto può essere il migliore di tutti da un punto di vista nutrizionale e salutistico, ma se non è buono non lo mangia nessuno».

I clienti invece tornano, a conferma che i prodotti sono buoni e nonostante le crisi economica: «Le dico però che, a fronte di una spesa iniziale più alta, questi prodotti hanno una maggiore resa». Che alla fine fa quasi pareggiare i conti, assieme alla possibilità di conservare a lungo il prodotto: «Il pane normale comprato la mattina tante volte la sera è già duro; il nostro pane cucinato oggi resta morbido per 4-5 giorni. E anche quando diventa un po’ più duro, reidratato e passato al forno riprende tutte le caratteristiche. Si finisce veramente di buttare il pane».

Difficile però per chi non abbia le spalle coperte economicamente imbarcarsi in un’avventura del genere: «È difficile, tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo realizzato a nostre spese. Non abbiamo avuto accesso a fondi europei, e non perché non ci siano, ma perché purtroppo sono farraginosi, lenti e l’accesso è estremamente complicato». Complicato, quindi, per un giovane cominciare un’attività agricola, se non ha le spalle coperte: «Molto difficile: onestamente, se non avessi avuto alle spalle un altro lavoro, non avrei mai iniziato. Poi c’è una burocrazia lentissima: per le autorizzazioni per la cucina in grotta abbiamo aspettato 6 mesi, perdendo clienti ed occasioni per eventi. In Italia, purtroppo, ci vuole un documento per tutto: per avere l’accesso all’acqua abbiamo dovuto fare tre contatori diversi. La burocrazia è veramente impegnativa e per ogni cosa che si fa c’è una tassa o un bollo da pagare, un ufficio a cui andare». A sorreggere solo la passione, che ha unito i due coniugi: «È una cosa in cui credevo, perché ci avevano creduto i miei genitori, avevano acquistato questo posto, lo avevano trasformato con tanto lavoro e tanti sacrifici».

Cosa consiglia, allora, ai giovani? «Di non mollare mai, perché se uno pensa di fare una cosa, deve portare avanti la sua idea, anche se è più semplice mollare perché tutti ti dicono di lasciare perdere e nessuno ti aiuta. E poi consiglio di non allontanarsi dal territorio, perché viviamo in un’Isola con possibilità di sviluppo enormi, soprattutto nella ristorazione, nel turismo e nell’agricoltura. Infine, un grandissimo consiglio che mi sento di dare ai giovani è: imparate bene l’inglese».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA