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A Padova il pasticcere acese di buon cuore che regala iris e brioches agli ultimi

Di Giovanni Finocchiaro |

Padova – «Ho dormito anche in auto, non conoscevo nessuno. Mi sono rimboccato le maniche cercando lavoro e non assistenza gratuita. Mai mi hanno chiamato terrone, anzi sono stato aiutato a rinascere». Oggi, nel salotto buono di Padova, a due passi dal centro, Pippo Trovato, 60 anni, una pasticceria made in Sicily, quando alle 9 della sera abbassa la saracinesca e spegne le luci abbaglianti delle sue coloratissime vetrine, si ricorda del passato fatto di stenti e della fiducia ricevuta. E ricambia. Ci sono poveri ed extracomunitari che passano da lì. E Pippo mette a disposizione quel che resta di un giorno di lavoro: acqua, brioches, latte. La pasticceria ha un nome che è tutto un programma: l’ha chiamata «Charlotte», Pippo. Forse per ricordare che prima non aveva una lira ma sorrideva sperando in un futuro migliore.

«Il mio aiuto ai poveri? Non la considerate una cosa straordinaria, ma una mano tesa a una città che mi ha adottato».

La scuola professionale, nella sua Acireale, è stata formativa.

«Da Bifera guadagnavo 650 lire a settimana, poi sono passato ad Aleppo e preparavamo un buon latte di mandorla. Quindi l’azienda Tomarchio, per dodici anni sono stato un dipendente di Costarelli, e ancora ho lavorato da Ignoto, di fronte al campo sportivo acese».

Quindi il matrimonio con Concetta Arena, maestra alle elementari, catanese, la nascita della figlia, Elisa, i primi problemi di salute della piccola.

«Ci siamo dovuti trasferire a Padova, perchè i continui viaggi a Siena e Bergamo non potevano continuare».

In Sicilia non siete riusciti a risolvere i problemi di Elisa?

«Non la faccio lunga e complicata: ci hanno costretti ad andare via per curare la bambina».

E lei, arrivato a Padova, ha dormito in auto.

«Ho sistemato mia moglie e la bambina in una casa dello studente, dormivano in un letto sistemato in cucina. Quando ci siamo trasferiti, ero senza lavoro. Poi l’ho trovato e ci siamo trasferiti in una casetta. Io la mattina mi alzavo alle 4 per andare a Lentinara: 70 km da Padova. Salivo sul treno, facevo tappa a Rovigo e poi saltavo al volo in bus per raggiungere l’azienda».

Un anno spossante.

«Ma lavoravo ed era una fortuna. Poi mi sono trasferito al Messalina di Padova, una pasticceria, quindi al Duomo di Padova, altro locale conosciuto».

Una lunga gavetta, poi…

«Ho messo da parte i soldi, ma non bastavano per aprire un locale tutto mio. Era il mio obiettivo, il mio sogno».

E, allora, ecco il viaggio della speranza in banca.

«Ero senza molti soldi, ma a Padova non mi hanno chiuso le porte. Anzi, mi hanno aiutato. Nella filiale di Padova e Rovigo ho discusso della soluzione ideale: il prestito famiglia che ti permetteva di aprire un’attività».

A quel punto dalla delusione si passa al miracolo.

«I controlli incrociati sul computer, allora, rivelavano tutti i… peccati di chi portava il cognome mio e di mia moglie (ma non erano parenti). Alla voce Trovato c’erano 250 protesti. Sotto il cognome Arena altri 350 conti in rosso a Catania e dintorni».

Sogno svanito.

«E invece no. La firma sul prestito, assumendosi ogni responsabilità, la mise il direttore. Mi disse: “Non la conosco ma mi fido”. Ha fatto da garante. Io ero senza parole».

Da lì ecco nascere Charlotte.

«Padova ha continuato a fidarsi, ad aiutarmi. Ho cercato un arredatore, mi ha creato il design del locale senza pretendere subito denaro. Ho pagato per 4 anni, successivamente. Stiamo parlando di 27 primavere fa. Altro che terrone: qui mi hanno coccolato e mi hanno aiutato a vivere e a rinascere».

L’apertura del locale sembrava un flop. Invece…

«Ho aperto solo come pasticceria, si incassava pochissimo. Il posto era bellissimo però: un’isola pedonale in un paese – Caselle di Selvazzano – praticamente la prosecuzione di Padova. Posto ben curato, ma i clienti dovevano venire fin lì apposta. Ora ne arrivano tanti, allora era un problema. Ma c’erano i parcheggi vicini e ho visto giusto. All’inizio incassavamo zero, aspettavamo le persone facendo spesso capolino dalla porta d’ingresso. Tutto deserto».

Ha pensato mai di tornare in Sicilia?

«Acireale, Catania sono casa mia, ma qui ho accettato la sfida e mi sono sentito a mio agio. Ho lavorato e continuo a lavorare prodotti come 50 anni fa. Tutto fresco: uova, prosciutto non di scarto, le materie per le specialità siciliane che spesso mi arrivano da Catania».

Poi ha avuto la concessione per aprire l’ala del bar.

«E ho completato il sogno: le persone mi hanno apprezzato, spesso vengono siciliani dai centri vicini. Dopo 12 anni mi sono allargato: ho ampliato il locale, adesso ho una quindicina di dipendenti, e Charlotte è diventato uno dei locali più conosciuti in zona».

Vicino la pasticceria, vent’anni fa, è nato il primo centro commerciale di Padova. Aveva aperto Charlotte 2, ma poi l’ha chiuso. Perchè?

«Avevamo troppo lavoro e gestire di persona non è semplice, ho conservato il locale originario. Pensi che avevo aperto la gelateria, ma alcuni operai rubavano i soldi a fine serata. Ho regalato gli attrezzi al patronato».

Oggi Charlotte è un’azienda a cinque stelle.

«Produciamo arancini, cartocciate, cipolline, iris, panzerotti, cannoli, cassate, buccellati, i mustazzoli col vino cotto di Sicilia».

E a fine serata gli ultimi diventano primi.

«Chi passa e ha difficoltà nel garantirsi un pasto, sa che ha sempre in regalo brioches e una bottiglietta d’acqua. A volte qualche dolcetto. Sono per lo più extracomunitari. Quando ho la possibilità preparo il pranzo per tre o quattro persone, ma poi ne arrivano venti. La voce si sparge, faccio il possibile».

In un momento di discriminazioni il suo è un atto nobile.

«No, è un gesto naturale. Ho sofferto anche io la fame. E so che cosa vuol dire. Ho adottato anche sei, sette cani trovati a Catania per strada, li ho portati fin qui, a Padova. Forse divento vegano (sorride), comunque mangio poca carne».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA