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Giovani artisti di carretti siciliani crescono con i “segreti” del mestiere

Di Maria Ausilia Boemi |

Paternò (Catania) – Si definiscono «i più giovani artisti decoratori di carretti siciliani in attività». Flavia Pittalà (26 anni), il marito Alessandro Forte (31enne) e il cognato Gabriele Forte (ventiseienne), artisti di Paternò a tutto tondo provenienti la prima dall’Accademia delle Belle arti di Catania, i due fratelli dal liceo artistico, da 5 anni – giovanissimi, quindi, in effetti – si sono “convertiti” a questa antica arte praticata ormai da ben pochi maestri. E, forti della loro preparazione di base artistica, applicandosi nello studio di questa particolare forma d’arte siciliana, ne sono divenuti abili esponenti, pur senza avere mai frequentato botteghe di maestri. Giovani artisti, insomma, ma autodidatti nella decorazione dei carretti siciliani: e, forse, essendo per questo meno “prigionieri” dei canoni tradizionali, praticano questa nobile arte rispettando sì la tradizione ma contemporaneamente portando il loro tocco personale di innovazione, che non manca mai in ognuna delle opere che realizzano.

Flavia Pittalà, il marito Alessandro Forte e il cognato Gabriele

Senza disdegnare nessuno degli stili dei carretti siciliani: il palermitano (sfondo giallo, sponde più grandi e decorazioni geometriche), il catanese (dal tipico sfondo rosso, sponde rettangolari e decorazioni più scenografiche), ma anche il trapanese. Una folgorazione, sulla via dell’arte, avvenuta 5 anni fa: «Rispetto agli altri decoratori di carretti siciliani che escono in genere dalle botteghe dei maestri decoratori carrettieri – sottolinea Flavia Pittalà -, noi nasciamo come artisti: usciamo dal liceo artistico tutti e tre, io mio sono poi anche laureata all’Accademia delle Belle Arti». Una decisione dettata dalla consapevolezza che «in questo settore, che sembrava in declino, oggi c’è una richiesta dettata dalla riscoperta dei valori della nostra storia». Perché, stando a quanto sostiene Flavia Pittalà, anche se il commercio dei carretti siciliani negli anni non si è mai arrestato, «nell’ultimo periodo, anche grazie ai Comuni che promuovono nelle manifestazioni queste opere della tradizione siciliana, e agli stilisti Dolce & Gabbana, molto legati alle loro origini, la ripresa c’è, con conseguente richiesta in Sicilia e nel resto del mondo». In effetti, i due stilisti siciliani hanno sdoganato, a livello internazionale, questa forma d’arte, “esportandola” anche su oggetti diversi: basti pensare ai famosi frigoriferi decorati per loro in stile carretto siciliano, di cui 5 realizzati proprio dalla squadra artistica Forte-Pittalà. Squadra artistica che si firma, non a caso, DaDamè: “L’idea del nome – spiega Flavia Pittalà – ci è venuta dal movimento dadaista. Come i dadaisti nella loro epoca cercavano di fare innovazione trasformando in arte qualsiasi oggetto di uso comune, noi cerchiamo di riportare in auge la tradizione con i carretti (oggetti tradizionali) e con il nostro stile classico. Ci rifacciamo, insomma, al movimento dadaista: ecco quindi Dada (dadaisti) a cui si aggiunge la parola me, perché sono io, insieme con mio marito e mio cognato, che propugniamo opere classiche oggi poco richieste».

Tradizione e classicità, ma anche innovazione: come in un carretto siciliano (quasi pronto a essere consegnato al committente, la scuderia Daidone di Bronte), in stile catanese, con le scene della rivolta di Bronte del 1860 a seguito dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia: «Un tema mai ripreso prima in alcun altro carretto siciliano». Ma se questo è un unicum, anche negli altri carretti realizzati da DaDamè (circa una cinquantina, secondo la giovane artista paternese, tra carretti per pony e quelli più grandi), pur «cercando di mantenere la tradizione, noi aggiungiamo sempre qualche personaggio, un dettaglio nuovo». Flavia Pittalà definisce lo stile artistico proprio, del marito e del cognato (non ovviamente quello applicato sui carretti, che sono una forma artistica particolare) «caravaggesco, quindi tutto improntato su fondi scuri su cui giochiamo molto con la luce». Dal sacro alla ritrattistica ai carretti siciliani e a tutto ciò che ne consegue: «Decorazioni su vasi in ceramica, bardature di cavallo, lape, sponde di letto antiche e moderne, panchine, fino alla decorazione di un tetto a secco, di un motorino e dei 5 frigoriferi di Dolce & Gabbana». L’arte, d’altronde è stata galeotta anche nella vita privata per Flavia Pittalà e il marito Alessandro Forte: la giovane artista paternese racconta infatti di avere conosciuto quello che poi è diventato il futuro marito «perché avevo bisogno di una mano nella materia illustrazione in Accademia: dovevo realizzare un fumetto e io non ero proprio portata. Mi hanno indicato lui per aiutarmi, ci siamo conosciuti, abbiamo poi realizzato insieme lo stendardo per la chiesa di San Michele ed è sbocciato l’amore».

Un’arte in cui, fermo restando un talento di base che si deve possedere, c’è per Flavia Pittalà anche spazio per i giovani «purché ci si armi di flessibilità e di tanto impegno nello studio: quando un artista si approccia a questa nuova tecnica, deve studiare tanto, perché ci sono decorazioni particolari e colori specifici, come le terre, che noi abbiamo dovuto imparare ad impastare a mano come facevano gli artisti del passato. Non si può, insomma, riportare sul carretto quello che si fa su tela. Però sì, se si è flessibili e si studia molto, magari si riesce ad entrare in questo settore». Obiettivo, comunque, non facile da realizzare: infatti la giovane decoratrice di carretti cita come «difficoltà principale incontrata quella di avere dovuto cambiare il proprio stile artistico. Un primo scoglio molto arduo, però siccome siamo molto versatili e avevamo forse anche una propensione, siamo riusciti a superarlo». Di contro, le maggiori soddisfazioni sono state, «nonostante la giovane età, essere chiamati da Dolce & Gabbana e avere avuto già un grosso impatto mediatico. Nell’ambito della realizzazione dei quadri, oggi un artista se non ha 90 anni non ha modo di ottenere queste soddisfazioni». La parola d’ordine è mantenere la tradizione, con i siciliani – sia i Comuni sia i cittadini – che devono cercare «di non disprezzare ciò che abbiamo e anzi di valorizzarlo, perché tutto questo porta turismo e ricchezza. È importante, quindi, che quando i Comuni chiamano un artista in occasione di fiere o di eventi, lo sostengano e lo valorizzino».

Mentre un consiglio ai giovani coetanei «è quello di non mollare mai e di cercare con testardaggine la propria strada». Perché, come rileva con una punta di amarezza Flavia Pittalà, «purtroppo l’artista affronta molte difficoltà, delle quali quelle più dure da sopportare sono le critiche. Soprattutto quelle espresse al solo scopo di contrattare sul prezzo dell’opera. Alle volte i clienti vengono, disprezzano, però l’opera la comprano e magari poi tornano pure: sul momento l’artista ci resta male, però se i clienti tornano vorrà pur dire qualcosa. E allora, se l’artista è convinto che la propria opera valga, deve insistere. Non bisogna abbattersi ed essere coscienti di ciò che si fa, di quanto si vale».

Apertura ai giovani, quindi, ma Flavia Pittalà, alla fine, ammette di condividere quello che è un “peccato” originale di tanti maestri decoratori siciliani, estremamente gelosi dei loro “segreti” artistici. Un atteggiamento forse dovuto al fatto di essere stata anche lei, col marito e il cognato, autodidatti nell’ambito della decorazione dei carretti siciliani: «Di questo noi andiamo molto fieri, perché significa che ci siamo impegnati, che abbiamo superato diversi ostacoli e siamo arrivati a questo punto, con tante opere in generale e carretti in particolare acquistati ed esposti in vari luoghi. Per noi è una grande soddisfazione perché significa che siamo riusciti ad apprendere questa arte nonostante non abbiamo avuto un maestro, qualcuno che ci abbia guidato». E qui la “confessione”, di fronte alla constatazione che comunque anche i maestri non erano e non sono spesso molto prodighi di informazioni, ma piuttosto restii a rivelare i segreti della loro arte: «Anche noi custodiamo gelosamente i nostri segreti, perché comunque tutto quello che abbiamo imparato l’abbiamo acquisito da soli, guardando dagli altri senza che nessuno ce lo spiegasse. Perciò per me è molto difficile avere un allievo, in quanto mi sento molto gelosa di quello che ho imparato. E comunque, se lo facevano una volta, vuol dire che c’era un motivo». Nella convinzione che questa forma d’arte, nonostante la gelosa custodia dei segreti, non scomparirà, come non è accaduto in passato, perché «alla fine, come ci siamo riusciti noi, qualcun altro testardo come noi può fare altrettanto». Probabilmente anche superando così una sorta selezione naturale che terrà sempre alto il livello artistico.

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