Elisabeth e Valentino, i loro video ironici per spiegare la Cina agli italiani attraverso il cibo
I fratelli Yun Elisabeth e Yi-Jie Valentino Zhao, cinesi di seconda generazione, italiani, sono diventati personaggi prima che ristoratori grazie ai loro video sui social
Lui è il braccio, lei la mente. Insieme i fratelli Yun Elisabeth e Yi-Jie Valentino Zhao, 32 e 34 anni, cinesi di seconda generazione, italiani, anzi catanesissimi con tanto di accento e senza problemi con la “r”, sono diventati personaggi prima che ristoratori.
Sono l’esempio perfetto di come integrazione e tradizioni della cultura d’origine possano andare a braccetto, soprattutto se si trova un modo intelligente di raccontarsi. I loro video sui social smontano con disarmante ironia pregiudizi e luoghi comuni sui cinesi e aiutano con un pizzico di leggerezza ad “accorciare le distanze” attraverso il cibo.
Nati a Mazara del Vallo quando di cinesi ce n’erano davvero pochi, hanno vissuto a Marsala, Agrigento e Catania. Oggi abitano a Sant’Agata li Battiati, lui è lo chef e lei è la frontwoman del Mei-Wei di Misterbianco il ristorante fondato dai genitori che, da un anno, hanno passato loro il testimone. Elisabeth e Valentino pur mantenendo un faro acceso sulla cucina tradizionale cinese, ne hanno fatto anche un luogo di “educazione alimentare” in cui pollo alle mandorle, nuvolette di drago e gelato fritto sono banditi. Perché - spiegano - non hanno niente a che vedere con la vera cucina cinese.
La vostra famiglia da dove viene?
Elisabeth: «Wenzhou, ma in realtà da un “paesino” (di più di un milione di abitanti ndr) che si chiama Rui ‘An, 400 km a sud di Shangai. Mia mamma aveva un’attività all’ingrosso di alimentari, mio padre lavorava in banca».
E cosa li ha spinti a trasferirsi in Italia?
Elisabeth: «Il senso della famiglia». Com’è entrata la ristorazione nella vostra vita?
Valentino: «In realtà siamo cresciuti nei ristoranti. Due anni a Marsala, dove i nostri genitori lavoravano nella pizzeria di mio zio, siciliano, poi ad Agrigento dove i miei avevano un ristorante cinese “basic”. Nel ‘92 funzionava, poi è arrivata la Sars e abbiamo dovuto chiudere. I nostri genitori si sono reinventati a Catania con l’abbigliamento all’ingrosso alla fiera di Catania». «Io ero al primo superiore - ricorda Elisabeth, abitavamo in via Gorizia. L’impatto con Catania non è stato facile, non l’ho accettato, abbiamo dovuto lasciare compagni, amici…».
Avete sentito mai la fatica dell’integrazione?
Valentino: «Il fattore razzismo c’è sempre stato. Io me la sono cavata facendomi amici quelli che mi bullizzavano». Elisabeth: «A quell’età ti vuoi integrare ma non ti senti come gli altri, ti senti diverso. Con il tempo inizi a capire che questa diversità ti distingue e prendi consapevolezza. Ti chiedi “perché mi devo vergognare? A me piace la mia cultura, è figo essere cinesi».
Avete doppio passaporto?
«No, in Cina o sei cinese o non lo sei. A 18 anni ci è arrivata la lettera da parte del Comune di Catania che ci chiedeva di scegliere se restare cittadini cinesi o meno. E noi abbiamo scelto di essere italiani».
Che ne pensate delle discussioni che alcuni esponenti politici ancora propinano sui presunti tratti somatici dell’essere italiani?
Elisabeth: «Ma nel 2024 con la globalizzazione non è una cosa bella? È vero, io sono cinese nel dna al 100%, ma vuoi mettere anche di poter avere un futuro dei figli ”mischiati”? Mio fratello è l’esempio lampante sta per diventare papà e la sua fidanzata è napoletana. Di che stiamo parlando?».
I video sono nati per una vostra esigenza interiore o per rispondere ai pregiudizi che vengono dall’esterno?
Elisabeth: «Ci facevano sempre le stese domande e il nostro social media manager ci ha suggerito di rispondere raccontando quello che sentivamo».
Elenchiamo un po’ di luoghi comuni?
Elisabeth: «I cinesi non fanno mai benzina, non vanno in ospedale, non si vedono loro funerali…».
E avete pubblicato un video con vostro padre che fa rifornimento…
Elisabeth: «Ma sì. Poi la controdomanda è: «Perché ti interessa vedere un funerale cinese? Così, da italiani, ci siamo messi a “spiegare” la Cina».
E la spieghiamo una volta per tutte questa storia dei funerali?
Elisabeth: «Intanto molti cinesi che vivono in Italia a un certo punto decidono di tornare in Cina e quindi la loro vita finisce lì; poi i nostri funerali sono molto privati, c’è di opta per la cremazione, chi rimanda la salma in Cina… Valentino: «Nostra zia - per esempio - ha sposato un siciliano, ha avuto un funerale in chiesa ed è sepolta qui».
Qual è la vostra idea di cucina?
Elisabeth: «I nostri genitori sono partiti con l’idea di aprire un ristorante “per cinesi” diverso da tutto ciò che c’era in giro. Poi, io e mio fratello ci siamo detti “ma perché non educare le persone a far capire loro che la cucina cinese non è il pollo alle mandorle e il gelato fritto? Così, superato il Covid abbiamo iniziato a fare quest’opera di “educazione culinaria” che ci ha portato tanti clienti italiani».
La richiesta più assurda che vi è capitato di ricevere?
Elisabeth: «Se avevamo gatto nel menù».
Uno scherzo…
«No, no erano seri, ed erano italiani».
Nei vostri video c’è anche un gioco delle parti fra voi…
«Siamo proprio così, cane e gatto, fratello e sorella».
Il piatto che più vi rappresenta?
Valentino: «Non saprei. La mia è una cucina superclassica».
Contaminazioni con la cucina siciliana?
«Non l’ho mai voluto fare, per ora andremo avanti così».
Mei-Wei un’assonanza voluta con il My Way di Sinatra?
Elisabeth: «Non c’entra nulla (ride ndr), vuol dire “saporito”, “gustoso”. Mei è “bello”, wei è “sapore”. Però se la canzone può servire per ricordare il nome perché no?».
Da qui a 10 anni dove vi vedete?
Lei: «Ancora insieme se non ci lanciamo i coltelli addosso (ride ndr)». Lui: «Mi concentrerò sulla bimba che nascerà a febbraio, poi mi piacerebbe implementare l’attività del ristorante». Elisabeth: «Abbiamo intenzione di fare delle masterclass sul cibo cinese, delle lezioni su come fare i ravioli, usare le spezie cinesi, le attrezzature… Se ce la facciamo, partiremo l’anno prossimo».
Se vi dicessero che siete dei cinesi "marca Liotru" vi piacerebbe?
Valentino: «A me sì, assolutamente». Elisabeth: «Tutto sommato sì, anche se noi in realtà da Catania siamo stati "adottati". Io direi "adottati Marca Liotru"».