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I 90 anni di Romano Bernardi, una vita tra palcoscenico e tv

Di Ombretta Grasso |

Catania – «Non ho tempo per i rimpianti, la vita mi ha portato qui. Sono soddisfatto». Dall’alto dei suoi 90 anni, che compie proprio oggi, il regista Romano Bernardi – nato a Milano ma catanese da più di mezzo secolo – si racconta da protagonista, in teatro e tv, di una stagione forse irripetibile. Regista di numerosi spettacoli allo Stabile di Catania, per dieci anni regista ad Antenna Sicilia, direttore artistico del Teatro Sud, poi compagnia al Tezzano, regista al Brancati fin dalla prima stagione, Bernardi appartiene alla storia dello spettacolo catanese. Nel suo eremo all’ombra dell’Etna, sornione come un gatto, accoccolato in poltrona, sulle gambe il libro dei trent’anni dello Stabile, il regista srotola il filo della memoria accompagnato dai ricordi della moglie, l’attrice Alessandra Cacialli.

«I 90 anni? Ho raggiunto gli 80 tranquillamente, senza pensarci, ma i 90 mi fanno effetto, sono un’età!». Non ne sente il peso, però. «Mentalmente sto benissimo, con le gambe faccio un po’ fatica». Il lavoro mantiene giovani? «Può darsi, certo mantiene attivi. Ho fatto fino ad ora una o due regie l’anno. In questa stagione avrei dovuto firmare un testo pirandelliano al Brancati, ma avevo dei dubbi, oggi mi sembra invecchiato. È stato tolto dal cartellone, magari avrei potuto fare un’altra cosa, mi è dispiaciuto fermarmi – racconta con amarezza – Avevo proposto al direttore Orazio Torrisi una commedia con finale sorprendente, “Festa in famiglia” di Ayckbourn. Mi piacerebbe riuscire a portarla in scena».

Romano Bernardi in scena con la moglie Alessandra Cacialli

L’avventura catanese è lunga e fitta di incontri. «Comincia allo Stabile il 9 dicembre 63 con “Mariana Pineda” di Lorca con protagonista Elena Zareschi – racconta – Fu il regista Giuseppe Di Martino a chiamarmi come attore, avevo già recitato con lui ed ero stato anche suo aiuto regista. Facevo una piccola parte, ma bella, ero il quarto congiurato che ha il lungo racconto della battaglia. Mario Giusti l’anno dopo mi scritturò come assistente alla direzione artistica e per tanti anni mi ha chiesto testi e idee per le stagioni. In teatro si recitavano copioni in dialetto o Pirandello, in italiano recitava la famiglia Ferro-Carrara e si chiamavano attori da fuori. Feci ancora un paio di ruoli come attore ma cominciai soprattutto l’attività con la scuola che inventai nel ‘64. Tra gli allievi c’erano Giacinto Ferro, Adriano Chiaramida, Ezio Donato. Anche nei testi c’era una forte impronta siciliana. Sono stato io a scegliere nuovi autori come Fava e Farkas e a portare testi contemporanei, un certo teatro del 900».

La prima regia ha la data del 20 gennaio 1967, “L’arte di Giufà”. «Turi Ferro era il primo attore, Giusti voleva creare altri protagonisti. C’era un giovane che recitava, faceva sketch e piaceva molto al pubblico, Tuccio Musumeci. Trionfò in questo spettacolo. Lo facemmo nella stagione per 12-13 giorni, poi andò al Metropolitan, ma fu un tale successo che fu replicato all’Ambasciatori e poi al Musco». Sempre nel ‘67 Bernardi firma la regia di “Cronaca di un uomo” di Giuseppe Fava. «Il protagonista doveva essere Aldo Puglisi. Era bravo ma secondo me non adatto. Pensai di nuovo a Musumeci, fu il primo ruolo drammatico da protagonista, un altro successo. Ma i lavori con Tuccio sono stati tanti, basti pensare a tutte le riduzioni da classici greci o romani adattati su di lui». Dalla sfilza di spettacoli Bernardi sceglie “Don Giovanni involontario” con Pino Caruso protagonista, “Fando e Lis” con Leo Gullotta e Mariella Lo Giudice, «volevo fare il teatro del momento, quello degli anni 70», sottolinea, “La morte di Danton”, “Mastro Don Gesualdo”. «“Il Berretto a sonagli” del 1972 con Turi Ferro e la mia regia è quello che gira l’Italia, Turi era bravissimo». «L’Italia? Il mondo! – corregge Alessandra Cacialli – E’ stato in Russia, negli Stati Uniti, in Sud America, in Europa. Un successo enorme». Dirige Gabriele Lavia in “Cavalleria rusticana” con Ida Carrara-Santuzza, «Lo stravolsi e non me lo perdonarono. Ne ho fatti tanti spettacoli, non so più quanti». Nel ‘95 un altro successo, “A notti non fa friddu”, ancora con Musumeci. «Ho preso i testi di Martoglio, gli articoli di giornale, e li ho collegati, reinventandoli». Una lunga stagione magica «in cui ho avuto un ruolo attivo in tanti teatri all’inizio della loro crescita». Di quello Stabile degli esordi, riflette, non c’è più quasi nessuno. «Sono rimasto solo io. Non ci sono Giusti e Meli, non ci sono più tanti attori».

Negli anni 70 Bernardi alterna le regie a Catania ad altri lavori a Roma. «Firmavo in Rai una serie radiofonica con Pino Caruso quando arriva la telefonata di Micio Tempio: “Stiamo inaugurando una nuova Tv, vieni a darci una mano?». È il 1979 nasce Antenna Sicilia. «Un momento incredibile di cambiamento. La tv nazionale si vedeva dalle sei di sera, Canale 5 non arrivava ancora dappertutto – ricorda – si trattava di nuovo di inventare tutto. È stato un periodo intenso e divertente. Avevo la regia di due spettacolo serali, la domenica il programma sul calcio, “Noi oggi”, il contenitore del dopo pranzo condotto da Alessandra. E il Festival della canzone siciliana con Pippo Baudo. Era davvero una tv di livello nazionale con grandi successi».

In questo lungo percorso c’è il tempo per diventa direttore artistico del Teatro Sud di Panebianco, di fare compagnia con Filippo Brazza al Teatro Tezzano, di approdare al Brancati «con tre commedie su sei in cartellone», di dirigere in scena Enrico Guarneri, «mi chiamò Tony Musumeci del Metropolitan per fare la regia di spettacoli con Enrico protagonista, come “Cercasi tenore”. Un sodalizio proseguito allo Stabile». Negli ultimi anni ha lavorato frequentemente con la moglie. «Il nostro segreto? La passione per il teatro, senz’altro, abbiamo lo stesso modo di vedere le cose». «Il segreto è “anche” il teatro – aggiunge la Cacialli – Ci intendiamo. Io sono andata via di casa per lui… Ma chi me l’ha fatto fare! – ride – 53 anni di vita insieme». Gli attori con cui ha lavorato meglio? «Con Alessandra Cacialli e Debora Bernardi», suggerisce ridendo la moglie. «Certo – aggiunge Bernardi – ma anche Musumeci e Guarneri». Non c’è stato un ricambio? «Ce ne sono di bravissimi, come Angelo Tosto, bravo anche come regista, o Riccardo Maria Tarci».

Com’era la Catania di quegli anni? «Una città dove c’era molto fermento, lo Stabile che si affermava, la Tv che nasceva, c’erano tanti teatri. Vengo veramente da un altro mondo». E il teatro? « Al Brancati sono tutti con i capelli bianchi. Il pubblico non c’è più, la società si è trasformata. Il teatro è morto. Non so se rinascerà più avanti, forse tra dieci anni». Ammette di non ritrovarsi. «Credo a questa età di aver capito come funziona una regia, ho bisogno di dare un significato per qualsiasi movimento accade in scena. Ma è tutto cambiato, si lavora di fretta, le risorse sono ridotte, così come la voglia di scommettersi». Diventa difficile fare progetti. «Sono disarmato, quello che vedo non mi piace. La regia è il racconto che fai al pubblico. Oggi a chi racconto? Sono atterrito dalla tv, tutti i giorni ammazzano qualcuno, rapiscono un altro. Salvini dice cose incredibili, Di Maio mi sembra un povero fesso. Ma il pubblico vota per loro».

Bilanci, rimpianti, alla boa dei 90 anni? «Quando sono arrivato mi volevano scritturare a Genova, forse avrei potuto restare a Roma, alla Rai. Cosa avrei fatto? Chissà. La vita mi ha portato a Catania e ho avuto un buon percorso per 60 anni. Sono soddisfatto. Non ho tempo, né voglia, di rimpiangere».

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