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Goffredo e Aurelio, i paladini della lotta al cancro tornano in Sicilia: «Così fermeremo le metastasi»

Di Maria Ausilia Boemi |

Due medici siciliani controcorrente (uno di Catania, l’altro di Palermo) che, rispettivamente dal Canada e dagli Usa, lavorano per sconfiggere il cancro. Due siciliani uniti da affinità elettive nel portare avanti la ricerca con finalità filantropiche e i cui risultati, conseguiti senza conoscersi, si incastrano perfettamente. E il loro desiderio, ora che si sono conosciuti, è di riportare nella natia Sicilia le ricerche per quello che potrebbe diventare l’attacco finale alla malattia.

È un puzzle fatto di vita, passione, ricerca e coincidenze i cui pezzi sembrano oggi comporsi: da una parte, Goffredo Arena, chirurgo catanese (una delle eccellenze mondiali nella chirurgia laparoscopica e nella relativa didattica) trapiantato a Montreal dove oggi è professore associato alla McGill University, la cui storia toccante – che si può rileggere sul nostro sito www.lasicilia.it – abbiamo raccontato sulle pagine del nostro giornale nell’ottobre 2016. Figlio di carne e sangue di una mamma, Maria Antonietta Terlizzi, morta di tumore al colon con metastasi al fegato quando lui aveva 29 anni e “figlio nella ricerca” di una mamma siciliana trapiantata in Canada, Maria Saputo, sua paziente affetta dallo stesso tipo di tumore e il cui figlio Giuseppe Monticciolo, su richiesta della stessa madre (anche lei venuta a mancare), ha donato circa un milione di dollari «per far sì che il sogno di trovare una cura contro il cancro, che unisce due continenti, si avverasse». E con quei soldi Goffredo Arena ha brevettato MaterD, acronimo di Metastatic And Transforming Elements Released Discovery Platform, con cui ha provato che le metastasi potrebbero non essere frutto di un trasferimento di cellule, ma di fattori che dal tumore principale sono trasportati tramite il sangue, giungono a cellule di organi bersaglio a distanza e le trasformano.

il prof. Goffredo Arena

Dall’altra parte Aurelio Lorico, 59enne medico palermitano, oggi professore di Patologia alla Scuola di Medicina dell’università di Touro negli Usa che, dalla prima lezione di biologia al liceo a Palermo, ha deciso che avrebbe dedicato la propria vita alla ricerca contro il cancro. Il dott. Stefano Forte, che lavora all’Istituto Oncologico Mediterraneo di Viagrande dove il prof. Lorico ha trascorso quasi un mese nel 2018 per organizzare un simposio, gli ha fatto conoscere il prof. Arena (la cui mamma riposa nel cimitero di Viagrande, altro pezzo di questo puzzle di coincidenze) i cui studi si incastrano perfettamente con i suoi. «La comunità scientifica pensa che le metastasi siano cellule che migrano dal tumore primario e, tramite il sangue, arrivano ai vari organi – sottolinea il prof. Arena -. Io invece propongo che si tratti di un messaggio contenuto in pacchetti chiamati vescicole, che dalla cellula tumorale vanno in circolo e trasformano le cellule a distanza, così come fa un telecomando che cambia canale».

E il prof. Lorico è proprio uno dei più noti ricercatori al mondo di queste vescicole e ha brevettato dei farmaci che potrebbero bloccarne l’ingresso e l’azione nelle cellule. «Ci siamo reciprocamente documentati sugli studi l’uno dell’altro – racconta il prof. Lorico – e, fidandoci reciprocamente (cosa molto rara nell’ambito scientifico, finché non si pubblicano i risultati delle ricerche), ci siamo scambiati le rispettive conoscenze».

da sinistra l’assessore alla Salute della Regione Siciliana Ruggero Razza e il prof. Aurelio Lorico

Il prof. Lorico, nato a Palermo e lì laureatosi in Medicina, appassionato sin dal liceo di ricerca sul cancro (di cui l’ateneo palermitano all’epoca era orfano), ha appreso i primi rudimenti della ricerca (ma non sui tumori) all’istituto di Anatomia comparata nella facoltà di Biologia di Palermo, che frequentava in parallelo al percorso medico universitario. Durante gli studi, il prof. Lorico è andato 3 volte con borse di studio in Germania, dove ha conosciuto quella che è poi diventata sua moglie, Germana Rappa, anche lei palermitana iscritta in Medicina e in seguito, oltre che compagna di vita con cui ha avuto 4 figli, anche collega nella ricerca oncologica. Appena laureati, non essendoci possibilità di fare ricerca sul cancro a Palermo, con la moglie, «abbiamo avuto il posto di ruolo come assistenti medici al Centro di riferimento oncologico di Aviano, contribuendo a crearne i laboratori. Una rarità in quei tempi di disoccupazione dilagante tra i medici». Diventato il capo di un laboratorio, il prof. Lorico si è tuttavia reso conto di non possedere una formazione adeguata per istruire gli altri: ha quindi chiesto all’istituto di potere andare con la moglie alla Yale University dapprima per uno stage di un anno e poi per altri due, finché «il Centro di Aviano ci ha ingiunto di tornare o di lasciare il posto. Penso che siamo stati gli unici giovani italiani a lasciare due posti di ruolo per un futuro molto incerto alla Yale, dove eravamo solo borsisti». Il prof. Lorico e la moglie sono rimasti per 7 anni al dipartimento di Farmacologia e nel Centro tumori della Yale, dove fu scoperta la chemioterapia. «Dopodiché ci siamo resi conto che continuare tutta la vita a fare studi sulla resistenza alla chemioterapia non aveva senso, perché la chemio non cura il cancro, lo ritarda solo un po’. E allora perché lavorare tutta la vita su qualcosa che ci darà pubblicazioni e fama, ma sappiamo che non sconfiggerà il cancro?». Ed ecco così la seconda decisione controcorrente: «Nel 1987 ci siamo trasferiti al Centro tumori di Oslo, in Norvegia, dove siamo rimasti fino al 1994. Lì ci siamo occupati di terapia genica, ora molto di moda: pensavamo che si potesse curare il cancro inserendo dei geni nelle cellule, ma in realtà ci siamo accorti che la terapia genica aveva una grande prospettiva, e ancora ce l’ha, per le malattie genetiche in cui c’è un singolo gene che è modificato. Il cancro, invece, comporta tutta una serie di alterazioni, quindi la terapia genica secondo me non ha un futuro nella sua cura».

I coniugi Lorico-Rappa svoltano allora nuovamente pagina: «Il direttore del Centro tumori di Oslo, dove lavoravamo, stava fondando un nuovo centro di ricerca vicino alla Florida. Siamo così andati al Mitchell Cancer Institute, dove abbiamo iniziato a capire che il tumore in realtà non è fatto solo di cellule tumorali: ci sono vasi, fibroblasti, cellule stromali, del sangue, leucociti, macrofagi. Perché è importante? Perché il tumore non può mai crescere senza l’aiuto delle altre cellule del corpo, che vengono cooptate e reclutate per fornirgli ossigeno e nutrimento o difenderlo dalle cellule dell’immunità. Insomma, il tumore manda dei segnali e recentemente si è scoperto che questi segnali sono vescicole, contenute a miliardi in una goccia di sangue. Tutte le cellule del corpo producono vescicole, però il tumore ne produce di più: queste vescicole, che vanno anche a distanza, permettono al tumore di crescere e creare metastasi, perché danno ordini alle altre cellule».

Dalla scoperta delle vescicole sono usciti nella letteratura scientifica oltre 10mila articoli specifici su queste, ma nessuno riusciva a capire come agissero. «Una notte – continua il prof. Lorico – ho avuto una illuminazione: non potrebbe essere che queste vescicole abbiano come bersaglio il nucleo della cellula in cui arrivano? E alla fine abbiamo dimostrato che così era, lo abbiamo pubblicato recentemente e abbiamo creato dei brevetti. In sostanza, il nucleo della cellula non è rotondo, ma ha delle invaginazioni, già note ma di cui era sconosciuta la funzione. Le vescicole entrano dentro “autobus”, che noi chiamiamo endosomi, che penetrano a loro volta dentro le invaginazioni della membrana nucleare. Al termine delle invaginazioni, scaricano il loro contenuto in un punto del nucleo che si chiama nucleolo, che è il centro dell’organizzazione e dell’espressione dei geni della cellula. A permettere ciò, è un complesso di tre proteine». Per evitare che il brevetto finisse nelle mani delle case farmaceutiche, il prof. Lorico e il suo team (la moglie, Denis Corbeil in Germania, un associato negli Usa) hanno brevettato la loro scoperta indipendentemente dall’università, accordandosi con uno studio legale di brevetti di Oxford che, «dietro il versamento del 20% della quota del brevetto, lavora per noi gratis per 3 anni in modo che il brevetto resti nelle nostre mani e possa essere gestito non a fini di lucro, ma per essere messo a disposizione di tutti».

Queste scoperte sono frutto dei 7 anni di lavoro dei coniugi Lorico-Rappa al Mitchell Cancer Institute e dei successivi al Nevada Cancer Institute a Las Vegas, fallito però a causa dell’ultima crisi economica negli Usa. «Ci siamo allora trasferiti in un’altra università, sempre vicino a Las Vegas: la Scuola di Medicina Touro, dove siamo attualmente».

Il prof. Lorico negli ultimi 7 anni ha però riallacciato rapporti stretti anche con la Sicilia: «A un congresso a Boston – racconta – ho conosciuto Riccardo Alessandro, il direttore dell’istituto di Biologia genetica dell’università di Palermo, che da 7 anni assieme alla dottoressa Fontana, mi invita a tenere cicli di lezioni e seminari. Lui mi ha presentato un altro giovane molto valido, Stefano Forte, dell’Istituto Oncologico Mediterraneo di Viagrande, con cui collaboriamo e che mi ha fatto conoscere Goffredo Arena». Sempre il prof. Riccardo Alessandro ha messo in contatto il prof. Lorico «con un gruppo di bravissimi chimici dell’università di Palermo, composto da Patrizia Diana e Gilmo Cirrincione che, sotto la guida del prof. Lorico, stanno sintetizzando i nuovi farmaci. Oggi ne abbiamo già due, uno in grado di bloccare l’ingresso delle vescicole in certi tumori, ad esempio nel melanoma, e uno che blocca il trasporto nucleare. Vanno però ottimizzati prima di iniziare i test clinici. Stiamo così facendo una serie di analoghi o di cambiamenti della molecola in modo da avere uno spettro di sostanze che poi riportiamo negli Usa per testarle e scegliere quelle che vogliamo portare in clinica». Del network, oltre all’università di Palermo, fanno parte l’Istituto Oncologico Mediterraneo di Viagrande, l’università di Dresda in Germania e il McGill dove c’è Goffredo Arena, «con la cui teoria delle metastasi le mie scoperte si integrano perfettamente – sottolinea Lorico -: con i miei farmaci, che permettono di bloccare le vescicole, uniamo le due cose e forse siamo vicini a bloccare le metastasi».

Le tempistiche sono ancora di qualche anno (devono cominciare gli studi pre-clinici sui topi e poi quelli clinici sulle persone). La speranza è di insediare il centro del network in Sicilia: «Speriamo che qualche centro siciliano adotti i nostri studi e ci permetta di completarli qui, con un finanziamento – nemmeno di proporzioni grandissime: con 300mila dollari ho comprato tre microscopi che consentono di vedere le vescicole – in un laboratorio già esistente e mantenendo la collaborazione con gli altri membri del network». E se pensiamo quanto costa allo Stato, alla Regione ogni singolo malato di tumore, il gioco, anche economicamente, vale la candela.

«Io – sottolinea il prof. Arena – avevo ipotizzato un modello teorico che ora è diventato un fenomeno biologico chiaramente riconosciuto, però non avevo le conoscenze farmacologiche: e il prof. Lorico – che è un siciliano con cui siamo sulla stessa lunghezza d’onda, che io ho conosciuto tramite lo Iom che è a Viagrande dove è sepolta mia mamma – ha trovato ciò che cercavo». Ed entrambi vogliono tornare in Sicilia: Goffredo Arena anche per tenere fede a una promessa fatta alla madre che gli chiese di tornare un giorno nell’Isola; Aurelio Lorico pure, «ma solo se queste ricerche si possono concretizzare. Tra l’altro, io insegno da 7 anni a Palermo e vedo negli studenti la passione, gli occhi sgranati, l’interesse per la conoscenza. Sono cose che non vedo negli Usa, dove comanda solo il dio denaro. Anche questo mi farebbe tornare, mi piacerebbe creare una scuola di ricerca a livello avanzato». Cosa consiglia allora il prof. Lorico ai giovani? «Innanzitutto di seguire i loro sogni, di non fare compromessi, perché nel momento in cui si iniziano a farne, è una strada in discesa. Io sono arrivato alla mia età senza averne fatti, ho optato sempre per scelte pericolose, controcorrente, non sono diventato né ricco né famoso, ma ho la coscienza a posto, come Goffredo».

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