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Gioele, il barman mixologist che ha servito anche Papa Benedetto XVI

Di Maria Ausilia Boemi |

Un randazzese, con la sua “cucina stellata liquida” che dona emozioni da bere, ha stregato la Francia: il 31enne barman mixologist Gioele Proietto Di Silvestro è «felicemente single – come sottolinea -: sono infatti sposato col mio lavoro, l’hospitality e la mixologia (il ramo del mondo del bar che studia e approfondisce il mondo degli spiriti e dell’alcol)».

Un amore sbocciato presto, a dispetto di un diploma al liceo scientifico e tecnologico di Bronte. «Il fratello di mia nonna, Giovanni Sorbello, noto chef a Roma, gestiva la sala da ballo più grande del Lazio. Io andai in vacanza da lui a 11-12 anni e, da ragazzino iperattivo, cominciai a lavorare nel locale come aiuto cuoco e poi al bar». Sboccia così una passione che Gioele pratica poi nei locali siciliani nei weekend e nelle vacanze. «Preso il diploma, ero quindi già avviato nella ristorazione. Tornai allora dallo zio a Roma dove, con un corso Anpa, acquisii la qualifica di sala-bar». Da lì uno stage lo porta a Bassano del Grappa, nell’unico ristorante autorizzato a operare per lo Stato vaticano: «Mi trovai così a servire Papa Benedetto XVI. È stata un’esperienza professionale al top nel servizio di sala». Gioele trova poi lavoro nel Vicentino in un locale di tendenza: «I capi barman, i miei primi maestri, notarono però la mia empatia col cliente e mi dissero che, senza saperlo, ero un barman mancato. Mi proposero quindi di lavorare con loro nel tempo libero. Accettai e cominciai a imparare il mestiere, finché una sera mancò un barman e mi ritrovai a lavorare in quelle vesti accanto a uno dei miei maestri: e fu un successo. Allora capii che la mia vocazione era quella».

Da lì inizia un periodo di studio da autodidatta sulla mixology finché, dopo 3 anni e mezzo nei locali di tendenza della zona, soprattutto di Asiago, Gioele viene chiamato a gestire il bar dell’hotel “I 5 balconi” a Salina. «È stato un periodo bellissimo e una chance lavorativa importante (tra i clienti c’era anche la famiglia reale del Belgio) perché mi ritrovai per la prima volta a gestire un bar e a lavorare con prodotti freschi». Segue un breve periodo a Randazzo e poi la svolta della vita: «Mi chiamò il mio amico fraterno Marco Lo Presti, uno dei pizzaioli più conosciuti d’Europa, proponendomi di raggiungerlo a Parigi. Non me lo feci ripetere due volte: ho fatto il biglietto sola andata nel 2014 e ho iniziato così la mia carriera a Parigi». Dopo il primo periodo nella pizzeria al top di Lo Presti, «mi sono inserito nel mio settore: mixologia, cocktaileria, beverage, ambiti per cui Parigi è oggi al centro del palcoscenico mondiale. E ho lavorato come capo barman in diversi cocktail bar a Parigi». Nel frattempo, su invito di Fulvio Piccinino, notissimo barman italiano e professore all’Università del Gusto di Torino, Gioele partecipava a Milano ad eventi importanti organizzati dell’associazione bartender.it, entrando in collaborazione con la Campari e seguendo diversi master e seminari alla Campari Accademy a Milano. È lì che conosce Agostino Perrone, leggenda della bar industry e nella top 5 mondiale con il suo Connaught Bar di Londra, che «l’anno scorso mi propose di essere il suo referente in Francia e seguire l’apertura di un cocktail bar di Hélène Darroze, chef 2 stelle Michelin, capo giuria di Top Chef in Francia (l’omologo di Masterchef). Un’esperienza importantissima per me». Infine, «un paio di mesi fa sono stato contattato dalla distilleria “1719”, casa produttrice di cognac molto antica, che cercava un barman di tendenza e innovativo come ambasciatore per Wild, un’acquavite di vino biologica prodotta l’anno scorso. È un onore per me che un’azienda di cognac abbia scelto un italiano come brand ambassador. Nei cocktail che ho sviluppato per loro ho sempre messo un tocco di sicilianità: un barman mixologist è uno chef che fa infatti “cucina liquida” e che, come ogni chef, dona il tocco della sua territorialità ai prodotti che crea».

Da un mese Gioele si è trasferito a Lione, dove ha ritrovato una pizzaiola molto nota, Fabiola Di Paola, anche lei randazzese. «Collaboro con lei, sono ambasciatore del gusto e della cucina italiana per la regione Rône-Alpes dell’associazione Medea che ha fondato Cucina italiana senza frontiere, continuo ad essere brand ambassador per l’azienda di cognac e nel frattempo sto cercando il cocktail bar giusto per farmi conoscere anche in questa zona». Gioele collabora pure con varie altre aziende «perché queste producono gli spiriti, ma gli spiriti senza il barman che li lavora non dicono nulla». Una delle distillerie con cui collabora è Manguin, che ha prodotto un gin all’oliva: «Con un taglio di tre olive di Provenza molto aromatiche, hanno creato un distillato eccezionale che ha già vinto diversi premi. Quest’anno hanno lanciato la competizione Mediterranean Challenge: hanno invitato i barman mixologist di un certo livello di tutta la Francia a proporre una ricetta con questo gin ispirata al Mediterraneo. Hanno partecipato circa 90 ricette: 10 sono in finale, tra cui il mio cocktail Elisir di Shahrazād. Ho lavorato il loro gin con prodotti mediterranei, in particolare con un olio al mandarino di Nocellara dell’Etna. Utilizzare l’olio in un cocktail è molto atipico: ho trovato però la giusta tecnica e la corretta quantità microscopica che forma una patina tra i duestrati del drink ottenendo un vellutato incredibile. Spero di vincere, portando alto il baluardo della Sicilia. Comunque essere in finale, unico italiano, è già una vittoria».

Una storia di passione per il lavoro e di determinazione, in un mondo che in Italia ha una delle sue patrie: «L’Italia, però, ha sempre avuto profeti e artisti fuori patria. Il mio obiettivo, tuttavia, è continuare a formarmi per rientrare nella mia amata Randazzo ed aprire un bar in stile Belle Epoque. Continuando sicuramente sempre a viaggiare perché il nostro lavoro è fatto di viaggi, formazione, conoscenza dei prodotti esteri. E conservando sempre il mio lato umile, perché non dobbiamo mai dimenticare, a dispetto di chi nel mondo della gastronomia si sente superstar, che dobbiamo essere anzitutto buoni intrattenitori degli ospiti, che quello che noi vendiamo sono emozioni liquide, è un momento, è empatia. Che poi il cocktail sia buono, è un valore aggiunto, ma il valore etimologico e morale del nostro lavoro è l’ospitalità, l’accoglienza». Il suo rapporto con la Sicilia è un po’ come quello tra Catullo e Lesbia: «Odi et amo». Ma in realtà, poi, trasuda solo amore per l’Isola dalle parole di Gioele: «Mi manca tutto della Sicilia, la sua energia, soprattutto mamma Etna, oltre agli affetti, alla famiglia, agli amici e al mare. Quello che non mi manca, invece, è la cattiva organizzazione politica. Io sono andato via perché amo la mia terra, non perché la odio: è un amore viscerale, incondizionato e sono stato obbligato a partire perché mi faceva troppo male stare lì e vedere la mia terra, i miei prodotti, la mia gente non valorizzati come avrebbero meritato. Ma tornerò».

Ai giovani consiglia «di viaggiare, perché la Sicilia è qualcosa di talmente bello, intenso, profondo e complesso, che per essere veramente capita, amata, valorizzata, bisogna guardarla dall’esterno. Ma se non si parte, non si può capire che abbiamo avuto la fortuna di nascere nel posto più bello del mondo e non se ne può comprendere il valore immenso. Quindi viaggiare, aprirsi a nuove culture, imparare le lingue (la cosa più importante), perché il viaggio è la migliore università, in quanto università di vita».

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