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Alessio, lo scienziato catanese emigrato a New York che ritrova… la memoria infantile

Di Simona Zappalà |

CATANIA – Avere un sogno e inseguirlo fino a realizzarlo. Partire da una città per andare dall’altra parte del mondo e conquistare il sogno di una vita. Quell’opportunità che vorresti ti venisse offerta dalla terra che ti ha dato i natali e che, invece, riesce a darti solamente una città straniera. Lui si chiama Alessio Travaglia, catanese ed emigrato a New York, città nella quale lavora da tre anni come ricercatore nel laboratorio della professoressa Alberini presso la New York University, uno dei centri più accreditati per lo studio dei meccanismi della memoria. Insieme al suo gruppo ha effettuato una ricerca su quella che Freud ha chiamato “amnesia infantile”.

 La sua scoperta rivoluzionaria si basa su quei ricordi infantili da 1 a 3 anni che, fino a ora, credevamo perduti e che, invece, sono solo memorizzati come tracce latenti che possono essere richiamate in seguito. (Articolo scientifico: http://dx.doi.org/10.1038/nn.4348 sito personale: http://alessiotravaglia.weebly.com/). Alessio, da sempre appassionato di chimica molecolare, dopo aver conseguito la laurea in chimica e il dottorato nell’ateneo catanese ha deciso di svolgere un’esperienza fuori dalla Sicilia. Ha lavorato a Roma all’istituto del premio nobel, Rita Levi Montalcini, l’European Brain Research Institute (EBRI) e da lì, dopo una breve esperienza svedese è volato a New York.

 «Ho sempre voluto studiare i meccanismi della memoria – spiega il ricercatore – e non sapevo a che livello di investigazione fermarmi. Volevo approfondire i miei studi da un punto di vista molecolare e, per questa ragione, mi sono iscritto in chimica all’università di Catania. Ho deciso di lavorare su come i metalli modificassero la struttura delle neurotrofine, (proteine scoperte dalla Montalcini, grazie alle quali il cervello riesce a mantenersi giovane nonostante l’avanzare dell’età). All’istituto “Ebri” ho lavorato sull’aspetto biologico di queste proteine. Poi, però, ho deciso di fare un’esperienza all’estero e ho scelto il laboratorio della professoressa Alberini che lavorava proprio sulle neurotrofine e sulla memoria. Ho svolto un semestre di dottorato a New York e, dopo questo periodo, mi hanno offerto un lavoro. Non è stato facile abbandonare tutto perché non lo è mai quando devi separarti dalla famiglia, dagli amici, dalla tua terra. Ma volevo inseguire il mio sogno e continuare i miei studi, quindi ho lasciato tutto e sono andato via».

 La sua scoperta mette la scienza di fronte a un nuovo universo finora sconosciuto, quello dei ricordi infantili che, secondo la ricerca di Travaglia non sono persi. Se, ad esempio, chiediamo a un adulto di ricordare la sua prima memoria risponderà sicuramente con un’immagine ricavata da una foto mostrata dai genitori perché i primi ricordi nitidi si hanno dall’età di 6 anni. Com’è possibile, però, che eventi che modificano la nostra vita fin dalla prima infanzia non sono ricordati? Siamo sicuri che queste memorie sono perse? Da qui parte lo studio di Alessio.

 «Attraverso l’utilizzo di ratti molto giovani, che corrispondono all’età cerebrale dei 2-3 anni umani abbiamo notato che dopo aver imparato qualcosa la dimenticano velocemente, ma se, successivamente, sono sottoposti alla stessa situazione, attraverso una “riattivazione dell’esperienza”, la memoria viene fuori. Tramite una serie di test abbiamo dimostrato che entro quell’età l’ippocampo funziona già a pieno ritmo. E che anzi, se non viene attivato, fa sì che la capacità futura di formare ricordi stabili e duraturi risulti ridotta rispetto ai topi che crescono fra molti stimoli. Siamo riusciti a dimostrare che la memoria infantile non è persa, ma è solo non accessibile. Questa è la prima parte della scoperta. La seconda, invece, riguarda i meccanismi. Abbiamo scoperto che l’ippocampo è una regione coinvolta in questo processo e che matura attraverso l’esperienza. In altre parole l’ippocampo “impara ad imparare”. Ecco perché le esperienze dell’infanzia sono fondamentali per la formazione del cervello del bambino».

 Qual è, quindi, il modo migliore per educare e che tipo di esperienze bisogna far testare al bimbo? Secondo il ricercatore occorre «far provare nuove esperienze costruttive. Il bambino ha bisogno di stimoli continui quindi, nell’arco di una giornata, dovrà disegnare, suonare, guardare la tv, giocare e tanto altro. Solo esperienze diverse attivano il cervello e lo maturano. Questi meccanismi che abbiamo scoperto avvengono durante un “periodo critico”, uno di questi è proprio quello dell’infanzia. Se, durante la fase infantile, non avviene un certo tipo di esperienza sarà persa per sempre e il cervello non la maturerà mai. Non è, quindi, solamente una questione di genetica, ma piuttosto di esperienza. Non esiste, infatti, il bambino più intelligente, ma è solo una questione della conoscenza, delle esperienze e delle attività che avrà maturato solo nei suoi primi anni di vita».

 Alessio pensa anche alla sua Catania, alla Sicilia, a quell’Isola che gli ha permesso di studiare, ma che poi lo ha lasciato andare così come ha fatto con tanti figli che hanno trovato la loro realizzazione altrove. La storia è sempre quella e si ripete. Una terra meravigliosa che non riesce a dare un futuro ai suoi figli.  «Sono aperto a ogni possibilità e se arrivasse una buona offerta tornerei. Negli Usa, però, offrono ogni tipo di possibilità per fare ricerca ed è difficile ora immaginare un mio rientro».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA