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Pietro Cottone, lo scienziato-musicista sfruttato in Italia e acclamato a Boston

Di Maria Ausilia Boemi |

Ha dovuto attraversare, come il protagonista del film “Le ali della libertà”, 500 metri di fogna per raggiungere il suo obiettivo: fare liberamente ricerca nel campo dell’obesità, della dipendenza da cibo, delle abbuffate compulsive. Il palermitano Pietro Cottone, 43 anni, con la moglie Valentina Sabino (insieme hanno un figlio di 17 mesi), entrambi laureati a Palermo in Chimica e tecnologie farmaceutiche, oggi sono professori associati alla School of Medicine della Boston University. Ma i suoi 500 metri di fogna per raggiungere l’obiettivo di andare all’estero e cominciare la propria carriera, Pietro Cottone li ha dovuti attraversare durante gli ultimi anni in Italia, costretto a fare da “factotum”, per usare un eufemismo, al professore di turno.

Dopo un dottorato conseguito alla Sapienza di Roma (lui) e a Palermo (lei) ma seguito con la futura consorte al Scripps Research Institute (Tsri) come dottorandi esterni, i due hanno poi continuato lì come postdoctoral fellows. Nel 2009 sono stati entrambi assunti come assistant professors nei Departments of Pharmacology and Experimental Therapeutics and Psychiatry alla Boston University School of Medicine. «Valentina – sottolinea Pietro Cottone – è stata anzi la prima vincitrice in assoluto del K99/R00 Pathway to Independence Award al Niaaa, l’Istituto per lo studio dell’alcolismo del Nih (il ministero della Salute Usa): si tratta di un grant che facilita la transizione da postdoctoral fellow a independent professor (assistant professor), meccanismo che nasceva allora dando una grandissima opportunità anche ai non americani come noi. Io ne presi invece uno da un altro Istituto del Nih (Nida, Istituto per lo studio delle dipendenze) per studiare i meccanismi neurobiologici delle abbuffate compulsive». I due coniugi sono stati poi promossi associate professor rispettivamente nel 2013 (Pietro Cottone) e nel 2015 (Valentina Sabino, che si occupa prevalentemente di alcolismo e ansia). Oggi Pietro Cottone è condirettore di due corsi per dottorandi e insegna Psicofarmacologia, Farmacologia molecolare, Farmacodinamica, Statistica, Droghe d’abuso e dipendenze, oltre che coordinare un workshop su come scrivere grant applications destinato a dottorandi, medici e master students.

Un record anagrafico, quello dei due coniugi palermitani, persino per gli Usa: «La media per diventare “adulti” da un punto di vista scientifico nel nostro campo in America – racconta Pietro Cottone – è 42 anni e il “passaggio” si verifica nel momento in cui riesci a vincere un grant chiamato R01. Nel mio caso, sono diventato assistant professor a 33 anni (Valentina a 31). Inoltre, ho ottenuto ben due di questi grant R01 (circa 4 milioni totali) a 34 anni (come pure Valentina), parecchi anni prima, quindi, rispetto alla media Usa. Tra l’altro, uno di questi due R01, il Biobehavioral Research Awards for Innovative New Scientists (Brains), è un premio da 2 milioni di dollari (per la ricerca) conferito ogni anno negli Usa solo a una decina di scienziati che si distinguono per le loro ricerche innovative». Un cervello, insomma, in fuga dall’Italia ma molto apprezzato negli Usa, tanto che nel 2010 gli è stato conferito il Peter Paul Career Development Professorship (il premio più prestigioso della Boston University per giovani professori). Un cursus honorum di tutto rispetto. Eppure, gli inizi non erano stati molto promettenti per Pietro Cottone. Nato in una famiglia modesta, ha subito il tracollo finanziario di questa alla morte del padre Michele. «Nel corso della sua vita – racconta Pietro Cottone – papà, pur essendo un grandissimo lavoratore, non aveva accumulato molti contributi: ci siamo così trovati all’improvviso senza sostentamento, con la casa in mano alle banche e anche soli perché i parenti ci hanno abbandonati. Mia madre, che è una tigre, non mi ha permesso però di abbandonare la passione per la scienza che avevo sin da bambino e che univo all’altra per la musica». Dopo i primi due anni in Farmacia, Pietro Cottone ha così cambiato facoltà, applicandosi a quel punto nello studio in maniera determinata. Avendo capito come funzionava purtroppo il sistema in Italia e provenendo da una famiglia umile, Pietro Cottone non vede però altra scelta che legarsi a un professore rimasto colpito dalle sue capacità, «il mio maestro – come lo definisce – un vero genio verso il quale nutro sentimenti molto contrastanti: lui ci ha dato la possibilità di fare tutto quello che abbiamo fatto dopo, e quindi gli sono molto grato, però allo stesso tempo ci ha sfruttati all’inverosimile. Con un collega abbiamo costruito da zero il laboratorio e per 4 anni abbiamo fatto un po’ gli schiavetti (usati in maniera impropria anche come cuochi e tassisti)». I famosi 500 metri di fogna per raggiungere l’obiettivo: «Nella mia vita volevo fare ricerca e avevo capito come funzionava il meccanismo. Non c’erano altre possibilità, visto che non ero figlio di un “barone”, che fare lo “schiavo”, anche subendo le critiche degli amici che pensavano stessi facendo il lecchino. Ma io sapevo c’era da fare questo percorso da fare per essere poi libero. Sapevo che dovevo partire perché era questo che mi avrebbe reso libero, che questi 500 metri di fogna da attraversare erano necessari per andare negli Usa e trovare la mia identità di scienziato».

E negli Usa, infatti, è cambiato tutto: «È come se avessi scoperto la cioccolata dopo avere mangiato per tutta la vita insalata scondita». Appena arrivati in America, i due dottorandi palermitani si ritrovano quasi nel paese dei balocchi, con opportunità di ricerca infinite rispetto a quelle limitatissime in Italia: «Ci siamo buttati totalmente nel lavoro, la nostra potenzialità tenuta ristretta per tanti anni qua è esplosa, anche perché dovevamo un po’ giustificare nel nostro intimo questo grande strappo con la madrepatria. Credo che sia comune a tutti quelli che partono rimanere sempre col senso di colpa per avere abbandonato i tuoi e il tuo Paese». Da lì il grant, l’avvio della carriera universitaria, il salto a Boston e l’apertura 10 anni fa del laboratorio. Il che non elimina lo stress: «Qui non esiste il posto fisso, il nostro stipendio è sempre in bilico perché dipende dai fondi. Ma in 10 anni siamo riusciti a racimolare circa 15 milioni di dollari, abbiamo fatto una sessantina di pubblicazioni, un centinaio di presentazioni a congressi, book chapters e un libro che è una summa della nostra ricerca. Tra l’altro, i nostri articoli, riguardando argomenti come l’obesità e le dipendenze alimentari, hanno avuto anche una risonanza mediatica internazionale».

E, anche se Pietro Cottone sottolinea la validità dei propri studi in Italia, a tornare non ci pensa proprio: «Ho i piedi per terra e so benissimo che tutto questo può svanire in un giorno; non scordo da dove vengo e so che potrei tornare a essere squattrinato. Ma quando parlo oggi con gli amici, la Sicilia purtroppo riesce a toglierti anche la speranza, quella che all’epoca mi ha invece aiutato. Lì non c’è prospettiva per il futuro».

Ma Pietro Cottone non è solo uno scienziato: alla passione scientifica unisce anche quella per la musica, rigorosamente da autodidatta: suona la chitarra, un po’ di basso, di batteria e di tastiere «e poi ho la capacità che non so da dove viene di comporre». Qualche anno fa ha pubblicato un primo album, “Inferno”, prendendo spunto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri, «un album che potrei dire inascoltabile, fatto tutto di progressive rock, molto strano e cupo». Poi quest’anno ha pubblicato un secondo album, “Fight for their rights” «molto più orecchiabile, dedicato sempre a temi sociali come la politica, gli ultimi, l’immigrazione. C’è molto di autobiografico, perché non dimentico il mio passato, anzi ne vado orgoglioso». Certo, la nostalgia per la Sicilia è ineludibile: «Mi mancano la famiglia, gli amici, il cibo, ma anche un certo stile di vita molto rilassato». Di contro, a non mancare a Pietro Cottone è «la stasi: sembra che a distanza di 15 anni in Sicilia non sia cambiato nulla. La Sicilia è come una istantanea ferma nel tempo, per molti aspetti. Per molti altri, invece, retrocede».

E infine, Pietro Cottone, facendo in realtà capire benissimo cosa suggerirebbe, si rifiuta di dare consigli ai giovani «perché purtroppo i miei consigli non andrebbero seguiti: penso che in Italia per diventare parte del sistema devi conoscerlo e capire come muoverti e, così come ho fatto io, devi sacrificare molto. Io non lo approvo perché non è giusto per la persona, però molte volte devi scendere a compromessi col tuo privato. Non posso quindi dire cosa consiglierei ai giovani italiani che non sono figli di “baroni”, perché sarebbe ingiusto e non lo approvo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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