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La sonda europea Solar Orbiter lanciata da Cape Canaveral, porterà un pezzettino di Catania nello spazio

Di Nino Arena |

CATANIA – Il conto alla rovescia si è azzerato il 10 febbraio all’alba, dopo dieci anni di sviluppo, costruzione, studi, test. Solar Orbiter, la sonda europea lanciata da Cape Canaveral, porterà un pezzettino di Catania nello spazio profondo. Tra le “firme” di questa nuova sfida della conoscenza c’è anche quella di Daniele Spadaro, ricercatore della sezione etnea dell’Inaf (Istituto nazionale di Astrofisica) sciclitano di origine e catanese di adozione che della missione, sviluppata dall’Ente spaziale europeo e dalla Nasa, ha curato il coordinamento scientifico. Cosa questo voglia dire è lui stesso a spiegarlo: «Per raggiungere l’orbita operativa intorno al Sole, ci vorranno poco meno di due anni. L’orbita operativa, molto ellittica, porterà a meno di 43 milioni di km di Sole, una distanza inferiore a Mercurio, il pianeta più interno.

«Durante la missione di sette anni – osserva lo scienziato – verranno utilizzati per la prima volta strumenti in situ che misureranno il plasma del vento solare, i campi elettromagnetici e le particelle energetiche in una zona abbastanza vicina al Sole dove sono ancora relativamente incontaminati e le loro proprietà non sono state modificate dai successivi processi di trasporto e propagazione. Gli strumenti di remote sensing invece, invieranno immagini spettacolari delle caratteristiche solari con una risoluzione mai raggiunta prima e forniranno nuove informazioni su ciò che determina la ciclicità delle macchie solari e l’insorgenza di improvvisi brillamenti».

Perché questo ci debba interessare da vicino, il dott. Spadaro lo dice con semplicità: «La stella che “governa” il sistema solare è una stella attiva, teatro di esplosioni con riconfigurazioni violente del campo magnetico della superifice e della bassa corona solare. In alcuni casi, sono associate emissioni di plasma coronale e di campo magnetico che investono la Terra e in questi casi le interazioni con il campo magnetico terrestre ha un filtro efficace nell’atmosfera a latitudini basse. Se, però, ci avviciniamo ai poli, dove il campo geomagnetico è più sottile, allora queste emissioni possono interferire con i voli aerei, con le trasmissioni radio, possono addirittura causare blackout elettrici per le differenze di potenziale capaci di innescare correnti difficili da sopportare per le reti elettriche».

Urgenze reali dietro una missione apparentemente così “esotica”: Catania che soccorre Malmoe o Winnipeg non è un paradosso, ma la realtà, effetto di una comunità scientifica integrata, per la quale l’intero mondo è paese.

«Quando ero piccolo e tornavo dai miei nonni e la campagna non era ancora elettrificata – racconta il dott. Spadaro – alzavo gli occhi al cielo e contemplavo la bellezza della volta celeste. Sono diventato un astrofisico e continuo a guardare il cielo con la consapevolezza di vivere in un mondo bello. Una considerazione che condivido con tanti colleghi e ci spinge a impegnarci per mantenerlo bello.

«Negli ultimi venti, trent’anni – osserva l’astrofisico – gli scienziati non hanno saputo parlare ai politici e mentre i primi sono cauti, i secondi spesso non lo sono». I vasi, però, anche se per vie misteriose restano comunicanti e allora accade che grandi avventure scientifiche come, per l’appunto Solar Orbiter, vengano a lungo incubate e finanziate, seguite con attenzione anche per le sfide tecnologiche che queste comportano. Solar Orbiter, tanto per dirne una, dovrà resistere a temperature superiori a 500 gradi centigradi nelle parti esposte al Sole mentre quelle in ombra affronteranno temperature di 180 gradi sotto lo zero.

Proteggendo i delicati macchinari che trasportano strumenti indispensabili per fare la prima “mappa” del sole e della sua corona. Tra questi c’è il coronografo, strumento centrale della missione che costituisce il principale contributo tricolore alla missione. «Lo abbiamo battezzato “Metis” – dice Spadaro – dal nome della titanessa mangiata da Zeus e che nella sua testa partorì Atena. Si tratta di un coronografo con occultatore esterno: la luce del disco solare che entra attraverso l’apertura viene respinta verso l’esterno dallo specchio M0. La luce coronale, invece, raggiunge lo specchio primario M1 e si riflette sul secondario M2. Tale specchio concentra quindi la luce sul rivelatore ultravioletto. La componente visibile della luce è invece riflessa da un filtro posizionato tra M2 e il rivelatore Uv. Un polarimetro a cristalli liquidi, posizionato tra il filtro e il rilevatore di luce visibile, seleziona la luce polarizzata, cioè la luce fotosferica dispersa dagli elettroni coronali».

Si tratta di un’evoluzione del coronografo utilizzato per la missione Soho, che ha visto impegnato l’astrofisico catanese dal centro direzionale della Nasa, a Washington, e da quello gemello a Parigi. Questa volta il dott. Spadaro, grazie alla tecnologia in formatica, ha potuto seguire “da remoto” a Catania, anche le delicate fasi del lancio, confrontandosicostantemente con i colleghi italiani di Firenze, Torino, Napoli, Padova, con quelli cechi e tedeschi (guidati da Luca Teriaca, astrofisico catanese del prestigioso Max Plank Institute di Gottingen) e statunitensi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA