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Scout, arriva da Sciacca la capo guida d’Italia

Di Redazione |

CATANIA – «Quando ti trovi perso fra le montagne, fatti coraggio e cerca un’altra strada». E il coraggio sicuramente non difetta a Daniela Ferrara eletta capo guida nazionale nel momento forse più complicato della storia del movimento scout per la prima volta bloccato dal covid. Una situazione che costringe a ripensare tutta l’organizzazione dell’Agesci alle prese con una sfida senza precedenti.

Cinquantasei anni, negli scout da quando ne aveva sette, Ferrara è una pedagogista, responsabile dell’Ufficio di educazione e promozione alla salute del distretto di Sciacca in seno all’Asp di Agrigento. Dell’elezione dice che è «bella cosa in termini di gioia e rappresentatività, ma anche una bella responsabilità, un bell’impegno».

Lo scoutismo la neoguida nazionale ce l’ha nel dna di famiglia se è vero che a dare l’impriting fu il nonno primo capogruppo nel 1924 a Sciacca. «La mia famiglia ha tradizioni scout ed io ho iniziato negli anni Settanta, allora a Sciacca c’era un gruppo molto numeroso di grande tradizione che rappresentava una realtà molto significativa rispetto al panorama nazionale». Daniela Ferrara ha attraversato diverse tappe prima di arrivare alla guida nazionale degli scout (una carica o meglio un “servizio” come viene definito nello slang dell’Agesci) che condivide con Fabrizio Caccetti «perché – spiega – ogni incarico è in diarchia (un “potere” diviso con pari autorità fra uomo e donna ndr), una cosa che per noi ha un grande valore valore».

Le “ossa” Daniela Ferrara se l’è fatte a Palermo, negli anni Ottanta, dove ha continuato il suo percorso come prima ragazza all’interno del gruppi Palermo 15 e Palermo 16 nei quali ha cominciato a muovere i primi passi come educatrice risalendo uno dopo l’altro i gradini dei vari “quadri”. È stata responsabile regionale Agesci dal ‘93 al ‘96 , passaggi – precisa – non automatici nella gerarchia scout ma che l’hanno fatta crescere tanto da diventare “formatrice” nei campi scuola dove l’associazione crea gli educatori. «Per me lo scoutismo è stato una palestra di vita. Sono cresciuta tanto come donna e come cattolica. Credo che mi abbia insegnato ad acquisire quella sicurezza e quella resilienza che io mi porto dietro in tutti gli aspetti della mia vita. Io ho imparato ad avere il coraggio per affrontare le cose ma anche che l’amore e la solidarietà sono le uniche carte che abbiamo nella vita. Oggi più che mai stiamo sperimentando con il covid che nessuno si salva da solo. Ci aspettano ancora altri due anni di pandemia, abbiamo bisogno l’uno dell’altro e dobbiamo scoprire ancora di più il valore della solidarietà. Credo che la pandemia ci stia facendo questo regalo, farci sperimentare quanto sia necessaria e vitale».

Che cosa faccia un capo guida nazionale è presto detto. «Garantisce l’unità dell’associazione e ne promuove l’attuazione dei principi. Da noi ci sono capiscout e presidenti; i presidenti hanno il governo dell’associazione, noi rappresentiamo e garantiamo l’unità dell’associazione, abbiamo un ruolo rappresentativo e convochiamo il consiglio generale che è una sorta di parlamento dell’associazione, chiamato a fare le scelte più importanti».

Oggi in Italia gli scout sono 183.9155, di cui 17.699 in Sicilia. Calato nella società di oggi in cui la relazione interpersonale è sempre più mediata dai social sembrerebbe un modello a rischio crisi, soprattutto in tempi di pandemia. Ma quello che conta è il valore dell’esperienza per gli scout un vero e proprio metodo di educativo. «L’esperienza della comunità – elenca Ferrara – del vivere all’aria aperta, del gioco, della natura. Portiamo i ragazzi all’aria aperta perché crediamo che già nella natura ci sia un grande valore educativo, non si tratta solo di guardare e conoscere, nella natura facciamo esperienza di autonomia, di responsabilità, di comunità, in sostanza facciamo esperienze di valore. Io sono un’educatrice per professione e per vocazione e dunque sono assolutamente convinta del valore e della forza rivoluzionaria dell’educazione, unica realtà che può produrre cambiamenti. Mettere oggi al centro l’educazione è una necessità che va sostenuta e rilanciata. E la società italiana, soprattutto in questo momento difficile, deve poter contare sul prezioso contributo dell’Agesci».

Certo, è un dato di fatto che le modalità con le quali ci si relazionava prima (del covid) sono cambiate, anche per gli scout. «Dobbiamo proseguire la strada – incoraggia la capo guida nazionale – inventandocene una nuova senza scoraggiarci. Del resto lo scoutismo ci ha fatto sperimentare sempre questo, quando sei nel bosco e non conosci più la strada, ecco che ti si presenta il momento di affrontare una nuova sfida con coraggio. Io dico reinventiamoci le modalità di stare insieme con l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno, soprattutto i più fragili, chi ha paura, chi è in difficoltà, chi è stato colpito dal covid e magari non vuole più venire…».

«Sicuramente – ammette – il lockdown ci ha bloccato le attività che facciamo di solito, ma lo scoutismo non è solo attività è anche relazione per cui abbiamo cercato di mantenere i rapporti con i ragazzi, con le telefonate, le videoconferenze. Dopo, in sicurezza, abbiamo cominciato a fare cose a piccoli gruppi mantenendo le distanze, sono state fatte delle uscite, in estate abbiamo ripreso a fare i primi passi. Ora siamo di fronte al nuovo anno e con coraggio e creatività dobbiamo ri-iniziare. Non potremmo avere gli stessi tempi e le stesse caratteristiche con le quali eravamo abituati a fare le cose, però sicuramente dobbiamo sostenere i gruppi e i ragazzi. Hanno bisogno di ri-iniziare, di incontrarsi, di aver tutelata la socialità, le loro relazioni e di sperimentare l’importanza della solidarietà e delle opportunità educative nella natura. Non è detto che potremo rivederci allo stesso modo, però magari eviteremo di vederci in sede per utilizzare luoghi all’aperto, che poi è un nostro cavallo di battaglia. Per i “servizi” sarà un po’ più complicato anche in questo caso bisognerà reinventarsi, oggi i territori hanno tanto bisogno di noi. Forse non potremmo andare dentro le case a portare la spesa come abbiamo fatto, oppure non potremo andare dagli anziani e dalle altre persone fragili, però ci sono nuovi bisogni, nuove esigenze da fronteggiare. L’Agesci, in questo, può essere d’aiuto, può rileggere quali siano i nuovi bisogni del territorio e ripensarli di volta in volta. Non dobbiamo fermarci e aspettare, la nostra resilienza deve venire fuori. Il nostro compito di educatori è incoraggiare i ragazzi, stimolarli a non avere paura, a non fermarsi, a reinventarsi le attività».

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