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Parigi val bene il sogno di una vita di Rea Lo Dico

Di Redazione |

La strada sotto casa, a Le Marais, tre fermate della Metro da Notre Dame, è pressoché deserta perché anche a Parigi c’è il lockdown per cercare di fermare il coronavirus.

Ma Rea Lo Dico, agrigentina, chirurgo oncologo digestivo da sedici anni nella capitale francese, è una delle poche persone che può violarlo perché deve correre all’ospedale Saint Louis-Lariboisiere, trasformato in uno dei centri covid parigini. Si occupa di tumori digestivi che richiedono molte ore di intervento e poi una chemio terapia nell’addome. Sedici anni qui sono tanti, ne aveva 28 quando, con alle spalle anche esperienze con Erasmus e in Australia, è sbarcata nella Ville Lumière, per provare a fare – riuscendoci – quello per il quale ha studiato una vita: il chirurgo. Farsi raccontare come sia finita proprio qui a Parigi è il paradigma di mille altre storie di giovani messi di fronte all’eterno dilemma della vita: lasciare la Sicilia per sfondare, o provare a restare mettendosi in gioco in una terra dove il merito conta sì ma dove non è esattamente il primo dei criteri di scelta? Rea Lo Dico però è una che, sin da ragazza, non ha mai accettato altre selezioni che potessero prescindere dal merito, dalla bravura, dal talento. «Mi sento agrigentina ma è stato facile lasciare la città, perché non mi adeguavo alle dinamiche agrigentine – ha raccontato Rea -. Come sono finita a Parigi? Ero specializzanda a Palermo e il primario nonché mio professore, Mario Adelfio Latteri, mi disse che potevo andare a lavorare se avessi voluto a Londra, Parigi o andare in America. E io ho scelto Parigi perché qui c’è una grande tradizione chirurgica. Sono arrivata per uno stage di due mesi il 2 maggio del 2006 e non sono più andata via».

Ora è facile dire: vabbè non ti è andata male. Ma, come chiunque abbia dovuto vivere per qualche tempo lontano dagli affetti, dalla famiglia e dalla Sicilia, si sa bene che la saudade non è prerogativa solo dei brasiliani.

«Anche perché Parigi non è come Londra – spiega subito Rea Lo Dico -. Oltremanica c’è davvero un brulicare di culture, Parigi invece è grigia, c’è poco verde, poco sole ed è anche molto turistica e questo le ha fatto perdere un po’ l’anima». E siccome Rea è da sempre stata cittadina del mondo (con alle spalle l’esperienza Erasmus a Barcellona e stage in Australia), ha subito capito che per restare a lungo e soffrire la nostalgia di meno, era meglio, paradossalmente, integrarsi di più con i francesi piuttosto che con i tantissimi – migliaia – italiani a Parigi. «Mi sono integrata con i francesi – racconta – perché con Erasmus a Barcellona avevo fatto un errore: frequentavo solo italiani che poi se ne sono andati e rimasi sola. Quella esperienza mi ha aiutato. Pure quando per quattro mesi sono andata in Australia, a Sydney, per fare stage in un ospedale». Rea Lo Dico va di fretta perché come tutti i medici europei è sottoposta in questo maledetto 2020 ad uno stress non indifferente: «Nel mio ospedale ci sono cinque rianimazioni (non posti, ma reparti…) e i 75 posti a disposizione sono ormai pieni al 75%. Siamo tutti allarmati».

Per quanto ormai parigina d’adozione, la Sicilia e Agrigento restano sempre presenti nei suoi pensieri. E non solo perché ha casa piena di foto che la ritraggono in Sicilia.

«D’estate a San Leone – racconta sospirando, come per sentire ancora l’aria del mare – torno perché devo fare la ricarica di sole. E poi c’è il Natale con la mia famiglia. Una volta rimasi sola e fu davvero piuttosto triste». Che poi la sua rete sociale soprattutto “parigina” rischia di sgretolarsi da quando si è legata a Domenico, pure lui agrigentino, geologo (che lavora per una grande società francese) e socio di uno dei locali della movida estiva agrigentina più frequentati. Rea ride di gusto mentre lo racconta: «In realtà ho sempre frequentato, ma davvero eh!, pochi italiani. Ma da quando c’è Domenico… quello conosce tutti». Se sei agrigentino in effetti e vai in tour per Parigi nelle vie del centro e lo incontri non puoi non riconoscerlo. E soprattutto c’è lui che non può non riconoscerti.

«Ma anche nell’ospedale dove lavoro io – torna seria Rea – ci sono tanti siciliani che lavorano con ruoli diversi».

Parigi l’altezzosa che però sta cambiando: «C’è una riscoperta della cultura italiana, soprattutto per quanto riguarda la enogastronomia. Si sono aperti un sacco di ristoranti, enoteche, la gastronomia italiana è rivalutata. E trovi le cose italiane con facilità. Una volta stavo dieci minuti davanti agli scaffali del supermercato per scegliere i biscotti…». Dopo una piccola pausa però si ricorda che in effetti qualcosa che non va ancora c’è: «Il caffè non lo sanno fare e mi sono portata tre moke da casa». Ma, ovviamente, il caffè, fatto bene o male, non è esattamente l’aspetto che ha guidato la sua scelta di lasciare la Sicilia e Agrigento: «Non penso di tornare un giorno in pianta stabile. Ci saranno le estati e le feste per riabbracciare i miei cari. Tornare a viverci, non credo. All’estero Agrigento è molto conosciuta. Chi fa tappa in Sicilia non può e non si perde la Valle dei Templi. Quando sei fuori ti manca la vita, anche la qualità della vita. Ma quando rientro in Italia, i problemi che mi hanno costretto ad andare via, sono sempre lì».

In tempi di coronavirus Rea Lo Dico ha perfettamente contezza di quanto stia accadendo in Francia. In marzo l’Italia ha preceduto i cugini di due settimane nella curva dei contagi, in autunno è stata l’Italia a inseguire i francesi in una danza macabra che miete vittime al di qua e al di là delle Alpi.

«Siamo al 70% del tasso di occupazione delle rianimazioni. C’è molta tensione. E il numero di contagi in Francia è fuori controllo. Sembra che la riapertura della scuola abbia favorito i contagi perché bambini e adolescenti essendo per lo più asintomatici hanno però fatto da vettore per tutti gli altri. Ma va anche detto che i giovani e sani si sono sempre ammalati, non è vero che il Covid lo prendevano solo gli anziani. È vero che in rianimazione ci sono soprattutto pazienti che hanno problematiche associate, cardiovascolari o tumorali, giovani o vecchi che siano. Ed è vero che oggi i pazienti sono gestiti meglio perché conosciamo meglio il virus; sappiamo che vanno somministrati anche anticoagulanti, che un antivirale ha dato risultati, poi ci sono i cortisonici. Insomma è migliorata la gestione globale del paziente. Poi certo, l’età media di diffusione si è abbassata, perché ormai il contagio è diffuso».

E sul lockdown, italiano o francese che sia, Rea Lo Dico ha idee chiarissime: «Le scelte che sono state fatte sono di necessità non di piacere, sicuramente non faranno piacere a chi ha le attività chiuse dalle ultime misure, ma in qualche modo si deve contenere la situazione. Si chiedeva solo di portare la mascherina, di rispettare il distanziamento, di lavarsi le mani: la gente non ha ascoltato, sembrava che li stessero privando di chissà quale libertà, e ora ovviamente le privazioni sono maggiori. La gente qui a Parigi applaudiva il personale sanitario, ma non me ne faccio niente dell’applauso: mettete la mascherina e state a casa».

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