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Giorgio Riccobene, dalla Sicilia caccia ai segreti di abissi siderali e marini

Di Maria Ausilia Boemi |

«L’idea – spiega il dott. Riccobene – è identificare neutrini di altissima energia prodotti in sorgenti astrofisiche potenti ed esplosive come i resti di supernova che propagano per circa mille anni shock enormi che sono potenti motori in cui possono avvenire accelerazioni di particelle che però non conservano tutte le informazioni che ci servono per comprendere meglio le sorgenti». Il Chilometro Cubo – nella short list delle infrastrutture di ricerca Ue importanti – sarà «un vero e proprio telescopio, che cercherà di utilizzare i neutrini come sonda complementare alla radiazione elettromagnetica. Noi, infatti, possiamo osservare le stelle in vari modi: attraverso la luce (storicamente è quello che si è fatto), tramite l’emissione radio (che in tempi più recenti ci ha rivelato altri fenomeni che avvengono nelle sorgenti astrofisiche). Utilizzando vari tipi di emissioni (raggi X, Gamma, onde radio) si riesce a capire meglio come quella sorgente funziona, andando più in profondità o studiando determinate interazioni. Assieme alla radiazione elettromagnetica – quindi luce, raggi X e Gamma – più di recente si è ipotizzato di utilizzare i neutrini che, in alcune sorgenti potrebbero essere prodotti copiosamente. I neutrini possono attraversare indisturbati l’intero universo e quindi portarci informazioni su sorgenti molto distanti, al contrario della luce e delle onde elettromagnetiche che vengono assorbite nell’universo per vari fenomeni».

In sostanza, i neutrini servono a studiare qualcosa di ancora più lontano rispetto a quello che permettono di fare la luce o le onde elettromagnetiche, oltre che sorgenti molto dense da dove la luce e la radiazione elettromagnetica non possono scappare, mentre i neutrini sì: «Corpi o regioni molto densi in prossimità di buchi neri, dove la luce e le onde elettromagnetiche sono assorbite, mentre i neutrini possono sfuggire e, di conseguenza, ci possono rivelare meglio i fenomeni che avvengono in quelle sorgenti». Chilometro Cubo, da un punto di vista astrofisico, permetterà quindi di costruire una nuova mappa più dettagliata e ampia dell’universo.

La struttura va posta sott’acqua «perché il neutrino è una particella molto elusiva, caratteristica che, se da una parte gli permette di attraversare l’intero universo, dall’altra lo rende molto difficile da catturare, cioè identificare un processo di interazione del neutrino stesso. Quando un neutrino incontra un corpo astrofisico denso come la terra, ha una probabilità piccola di interagire. In un chilometro cubo di acqua, la probabilità è circa una su un milione: come dire che su un milione di neutrini di alta energia, uno interagisce. Se io mettessi la struttura in aria, dove ho una densità circa mille volte inferiore a quella dell’acqua, la probabilità di interagire diventa una su un miliardo. L’idea è stata di utilizzare come bersaglio per questi neutrini un chilometro cubo di acqua».

Ma per fare ciò occorre andare tremila metri sott’acqua per realizzare un laboratorio simile a quello del Gran Sasso, con il vantaggio, nel caso siciliano, di lavorare su un volume immenso come un chilometro cubo e non all’interno di un tunnel che consente di utilizzare solo apparati molto più piccoli. Di questo Gran Sasso sottomarino sono già state realizzate le prime strutture: «Abbiamo steso un cavo elettro-ottico lungo circa 100 km, abbiamo realizzato una base di acquisizione dati all’interno del porto di Portopalo di Capo Passero e, a 3.500 metri di profondità e a cento km dalla costa a sud-est di Portopalo, abbiamo realizzato le infrastrutture e messo due delle unità di rilevazione: stringhe di lettori ottici, cioè occhi elettronici alti 750 metri». Per osservare le sorgenti astrofisiche ne dovranno essere costruite circa 200. Sono state scelte le acque profonde di Capo Passero perché particolarmente trasparenti e anche perché permettono di lavorare su fondali profondi 3.500 metri.

Ma non solo: queste apparecchiature, che non interferiscono con l’ecosistema marino («Tutti i sensori sono passivi, come decine di migliaia di piccole macchine fotografiche che scatteranno foto del mare con intervalli di un miliardesimo di secondo, cercando di osservare la scia blu lasciata dai neutrini»), serviranno anzi a studiarlo in una interdisciplinarietà che è uno dei punti di forza del progetto: «Abbiamo pubblicato di recente un articolo su Scientific Report – del gruppo Nature – sulla bioluminescenza, cioè sulla presenza di organi bioluminescenti. Abbiamo corredato il telescopio con dei sensori acustici, anch’essi passivi (quindi solo in ascolto), scoprendo il passaggio di capodogli e balene: siamo stati i primi ad avere misurato una distribuzione delle dimensioni della popolazione dei capodogli e adesso stiamo pubblicando un articolo sull’inquinamento acustico sottomarino». Insomma, dagli abissi siderali a quelli marini, per comprendere maggiormente l’universo e il nostro mondo, attraverso una struttura dalle dimensioni di un chilometro cubo nelle trasparenti acque siciliane.

Il dott. Riccobene si è laureato in Fisica nucleare a Catania, alternando brevi esperienze negli Usa e in Germania, poi ha fatto il dottorato sempre nell’ateneo etneo, ma svolto prevalentemente alla Sapienza di Roma. Tornato a Catania nel 2001 e assunto nel 2004 a tempo indeterminato ai Laboratori Nazionali del Sud, ha iniziato a lavorare sul Chilometro Cubo come attività principale. Un’opportunità e una scelta nello stesso tempo: «Ha giocato un po’ di orgoglio siciliano: la possibilità di portare avanti un progetto di big science in Sicilia, di respiro internazionale (il team ormai comprende almeno trecento ricercatori di tutta Europa) per me è stata la molla che mi ha fatto tornare a casa. La mia tesi era su questo argomento, ma ero pronto per partire per altri lidi. Il nostro è un ente prestigioso, i nostri laboratori sono una bellissima realtà e potere fare un esperimento di grandi dimensioni e respiro in Sicilia per me è stato fondamentale. Da siciliano e da catanese, credo che se non ci si muove per primi per aiutare e per essere produttivi nella nostra terra, non se ne esce: bisogna mettersi in gioco e, pur con tutte le difficoltà che ci sono, provare ad andare avanti e realizzare qualcosa in Sicilia».

Per una volta, così, la Sicilia è centro internazionale, anche perché, come rileva il dott. Riccobene, «devo dire che la formazione e le risorse che mette in capo un ente come l’Istituto nazionale di Fisica nucleare sono di altissimo livello e non sono seconde a nessuno. L’Istituto nazionale di Fisica nucleare è riconosciuto come un fiore all’occhiello nella ricerca italiana. Ovviamente, rispetto all’estero ci sono delle differenze sia in termini di paga sia in termini di quantità di fondi che lo Stato mette a disposizione per i progetti: spesso facciamo ricorso a progetti europei, mentre gli istituti all’estero hanno a disposizione sia i progetti europei che quelli nazionali».

Peccato che una realtà prestigiosa come questa, da sola non possa bloccare la fuga dei cervelli: «Secondo me, l’Italia deve investire di più e meglio in ricerca, selezionando progetti di ampio respiro; la seconda cosa fondamentale, che spesso viene dimenticata, è che anche il nostro tessuto industriale deve essere riformato. Spesso si dice che l’industria è la panacea di tutti i mali, ma il tessuto industriale italiano spesso non scommette sulla qualità e sull’alta formazione, ma sulle basse paghe. È molto difficile per noi trovare industrie in Italia che vogliano collaborare e prendere i giovani che fanno il dottorato o che si formano nelle nostre università: questo riduce il numero di studenti, l’appeal verso le discipline scientifiche, mentre invece ci vorrebbe un maggiore investimento da parte delle industrie. All’estero tantissimi ragazzi vengono dall’università e poi vanno nelle industrie, dove possono giocarsi la loro formazione di alto livello: c’è un interscambio tra università e industria che spesso da noi è invece legato solo a progetti o a fondi Ue specifici e non consente una vera sinergia tra università e industria per realizzare un sistema integrato».

Cosa consiglierebbe ai giovani? «Ai giovani consiglierei di lavorare duramente per ottenere una formazione che non sia soltanto quella didattica finalizzata all’ottenimento del volgare pezzo di carta, ma che sia finalizzata a comprendere e trarre il massimo beneficio dalla loro formazione universitaria: quando un ragazzo che ha ancora una formazione buona come quella che danno le università italiane è capace di essere messo alla prova, di capire un problema e risolverlo, le sue capacità e la sua esperienza potranno essere spendibili in tutti i campi della ricerca e dell’industria. Quindi sicuramente sacrificio, parola oggi considerata obsoleta, ma indispensabile perché poi dà frutti».

Rimpianti? «Talvolta rimpiango di non essere andato all’estero, perché lavorare in Italia spesso non è facile. Però è molto più forte ancora la voglia di realizzare qualcosa di grande in Sicilia per provare a rendere questa regione un posto più accogliente e migliore sotto tutti i punti di vista. Io appartengo alla generazione degli Anni ‘90 che ha visto le bombe in Sicilia: ci tengo che questa regione diventi un posto migliore».

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