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Le sorelle del vino che nutrono le viti “di sole e d’azzurro”

Di Maria Ausilia Boemi |

Figlie d’arte, anzi, pronipoti d’arte della bisnonna Dora che ai suoi tempi, ai primi del Novecento, in assoluta controtendenza nella Sicilia – soprattutto agricola – declinata all’epoca tutta al maschile, si innamorò di questa zona di Mazara vicina al mare. «Questi terreni – racconta Annamaria Sala – facevano parte di una proprietà di circa 1.500 ettari dei principi Saporito, proprietà che poi successivamente fu frazionata e acquistata da piccoli agricoltori. In seguito, la mia bisnonna mise assieme questi piccoli agricoltori ed acquistò questo unico appezzamento». Una donna controcorrente per quell’epoca: «Devo dire – conferma Annamaria – che era una tipa tosta e nella sua testardaggine mi rispecchio molto: lei andava tra i vigneti, controllava gli operai durante la vendemmia, si faceva sentire nonostante fosse una donna. Da lì parte tutto. I vigneti sono passati alla nonna e poi alla mamma e ora a me e mia sorella Clara». Se l’azienda agricola – che si compone di circa 130 ettari di terreno, in parte nella riserva naturale e in parte no – è di proprietà della famiglia da 4 generazioni, l’attuale cantina vera e propria nasce nel 2006 con la prima produzione a marchio Gorghi Tondi: «Sono quindi circa 11 anni che siamo in produzione con la nuova azienda. Prima c’erano solo i vigneti, da allora c’è anche la cantina. E la fortuna è quella di avere tutti i vigneti concentrati in un unico luogo, quindi l’uva appena vendemmiata in un quarto d’ora arriva in cantina».

Sin dal 2006 Annamaria entra in azienda, seguita subito dopo dalla sorella. «Io avevo appena finito i miei studi e le mie esperienze di formazione che, come per mia sorella, sono in Economia indirizzo marketing. Però in azienda io mi occupo della parte marketing e comunicazione e anche del settore commerciale nei casi più importanti, mentre mia sorella si occupa più della parte amministrativa. Il supporto agronomico è assicurato da nostro padre, che era l’amministratore delegato dell’azienda precedente ed è agronomo».

Tutta la produzione è biologica, in alcuni casi anche senza solfiti aggiunti, e non potrebbe essere altrimenti trovandosi all’interno di una riserva naturale la cui costituzione non ha però minimamente alterato la filosofia aziendale preesistente. «Noi ci definiamo un po’ l’azienda del Grillo, perché davvero questo vitigno lo produciamo in tutte le sue sfaccettature: dagli spumanti ai vini, al particolarissimo Grillo d’oro, un passito muffato, cioè caratterizzato da una muffa nobile di uve Grillo, caso unico nel panorama enologico. Sono ovviamente particolarità, unicità e quindi sono produzioni limitate di 2.000 bottiglie annue. Come dicevo prima, la produzione biologica non è soltanto una moda, ma una scelta che ci è venuta naturale, e l’essere una parte dei vigneti nella riserva del Wwf non ci ha condizionato perché le nostre pratiche colturali erano già biologiche prima della certificazione. Siamo biologici come filosofia aziendale, comportamento, rispetto per la natura e la sostenibilità: per noi è un modo di essere. Il fatto di avere già questo tipo di filosofia, ci ha permesso di coesistere tranquillamente con la riserva del Wwf senza dovere cambiare modo di produrre e coltivare il vigneto».

Vigneti tra l’altro adagiati su un panorama mozzafiato, “a sfioro” sul mare, praticamente a ridosso della spiaggia: «Questo sicuramente è un altro valore aggiunto che permette all’azienda di essere riconoscibile nei suoi propri prodotti. Quando si dice che i prodotti devono essere specchio di un territorio, non è una frase fatta, perché davvero questa vicinanza al mare ci permette di essere riconoscibili: per questa caratteristica, i nostri prodotti sono molto minerali, molto sapidi e quindi davvero la riconoscibilità è frutto del posto in cui siamo». Da questo quadro, derivano le parole chiave dell’azienda: «Rispetto della natura, azienda del Grillo, sperimentazione continua, biologico come modo di essere e non come una moda e, infine, ma non in ordine di importanza, famiglia». E poi passione, che ha contagiato, impregnato sin dalla nascita queste due sorelle vissute da sempre in questo habitat: «È un’azienda che tramandiamo e seguiamo non per dovere, ma perché ce l’abbiamo nel Dna: ed è la cosa che poi molti riconoscono, perché quando una cosa si fa solo per dovere, poi si percepisce e non riesce bene». Un’azienda presa in mano con passione e «con un approccio più moderno rispetto al passato. Quello che invece non è cambiato e ci ha tramandato nostro padre è il rapporto umano con i circa 16 dipendenti, che sono veramente il tesoro dell’azienda. L’azienda è infatti fatta di persone: noi possiamo avere gli impianti tecnologicamente più avanzati del mondo, ma se poi non abbiamo le persone che comunicano e sanno vendere il prodotto, rimane tutto fine a sé stesso. Il valore umano per noi rappresenta la prima cosa».

Ma cosa vuole dire fare oggi agricoltura in Sicilia e al femminile per di più? «Fare agricoltura in Sicilia è sempre un po’ difficile, perché purtroppo in questa Isola – che pure ha potenzialità enormi in termini qualitativi: possiamo definire la Sicilia un vero e proprio continente, con una varietà produttiva incredibile e di eccellenza – a volte non si fa sistema. Adesso forse le cose stanno un po’ migliorando, c’è più collaborazione tra i giovani. Una volta la mentalità era più individualista, ma secondo me dalla collaborazione e dal fare sistema può venire solo bene». Non piace ad Annamaria Sala, invece, l’accentuazione del femminile, tanto che, sottolinea, «non faccio parte del movimento delle donne del vino: è vero che la donna in certe cose ha una marcia in più, però noi facciamo di tutto per non essere discriminate ed essere alla pari dell’uomo. Tuttavia, quando creiamo tutte queste particolarità di genere, secondo me facciamo un passo indietro. Mettere l’accento su questo aspetto non mi piace: è importante metterci la faccia, a prescindere dal genere e, anche se sicuramente l’immagine di due sorelle può essere più accattivante e piacevole, dipende poi tutto dalle capacità imprenditoriali. Tra l’altro, io voglio tramandare l’azienda ai miei due figli, che non sono donne (mia sorella ha invece una bimba) e quindi è importante tramandare un prodotto e un’azienda senza legarla troppo a una immagine di genere».

Il vino, è noto, non è solo un prodotto, ma una cultura, una filosofia di vita: che tipo di messaggio volete tramettere col vostro vino? «Sicuramente spero che chi si avvicina al nostro vino, riconosca la sua particolarità e vi legga il racconto di un viaggio: per me il momento in cui si beve il vino deve accompagnare momenti piacevoli e mi piacerebbe che il messaggio fosse qualità, salubrità e rispetto assoluto di quello che si fa e del territorio che ci permette di fare tutto ciò. Sì, direi qualità estrema ed eccellenza. Però con un approccio che comunque deve essere accessibile, nel senso che il prodotto deve avere il giusto prezzo. Mi fa un po’ rabbia il fatto che molti facciano vino senza avere un vigneto, senza avere la passione, solo come puro business: nel vino ci sono persone, progetti, lavoro duro. Quando poi ci sono aziende che nascono dal nulla e rovinano il mercato con prezzi troppo bassi, si fa male a tutti, anche a sé stessi». E ricorda bene Annamaria Sala quanto sia stato difficile «inserirsi in un mercato già abbastanza saturo, perché oggi tutti si sono messi a fare vino pensando di fare il grande business». Difficile, forse ancora di più in Sicilia «perché, secondo me, si dovrebbe fare una politica più attenta alla valorizzazione del prodotto e alla tutela dei vitigni. Forse ultimamente qualcosa si sta muovendo, dopo la brutta esperienza del Nero d’Avola». Con la consapevolezza, espressa come rimpianto, «di non avere dato all’inizio la giusta importanza al marketing e alla comunicazione». Questo per quanto riguarda l’azienda. A livello personale, se non avesse avuto l’azienda di famiglia, probabilmente Annamaria Sala avrebbe lavorato facendo «qualcosa legato alla moda o ai gioielli, la mia altra passione». I progetti aziendali oggi sono quelli di «sviluppare il mercato estero e soprattutto l’enoturismo che, secondo me, è il migliore strumento di vendita del vino, anzi, ancora meglio, è un modo per raccontarsi in maniera efficace, diffondendo la tua cultura: quando accogli le persone a casa tua e racconti la tua storia e il tuo vino, il passaparola è il mezzo più potente di comunicazione».

Alla fine, due consigli ai giovani: «Imparare le lingue, cosa che purtroppo ho coltivato poco, ma che per chi vuole lavorare in questo settore è fondamentale. Poi c’è bisogno di persone siciliane che facciano l’export manager: sono figure veramente difficili da trovare e, avendo un’azienda siciliana, vorrei avere all’estero un venditore che comunica e trasmette sicilianità. Noto che c’è poca risorsa umana da questo punto di vista». E chi ha orecchie per intendere, intenda…

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