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Scandalo Cga, «Gennuso pagò sentenza per tornare all’Ars»

Di Mario Barresi |

Che la kafkiana ripetizione del voto puzzasse di bruciato era già evidente sin da quell’ottobre 2014, quando furono richiamati alle urne, a distanza di due anni dalle Regionali, gli elettori di nove sezioni di Pachino e Rosolini. Quanto bastava per il sorpasso di Pippo Gennuso su Pippo Gianni, costretto a lasciare l’Ars a testa bassa. Che ci fosse l’ombra della “cricca ammazza-sentenze” (e molti dei protagonisti e interpreti del sistema Siracusa) era un altro legittimo sospetto, messo nero su bianco da più di un magistrato, oltre che da carabinieri e guardia di finanza.

Ma adesso c’è una cifra, al ribasso. «Somme di denaro non inferiori a 30.000 euro», scrive il gip di Roma attestando la tesi dei pm. Soldi in contati, versati dal deputato regionale Gennuso (poi di nuovo eletto nella lista Popolari e Autonomisti nel 2017, ora destinatario di ordine di cattura internazionale, sta rientrando dalla Germania) a Raffaele De Lipsis, presidente del Cga siciliano ed estensore delle sentenze che sbloccarono magicamente il voto-replay, «con la mediazione di Piero Amara, Giuseppe Calafiore e Luigi Pietro Caruso», i primi due avvocati facilitatori “pentiti” (ma indagati per più episodi di corruzione anche nel blitz di ieri), l’ultimo, di origini catanesi, ex giudice della Corte dei conti, ritenuto destinatario materiale della mazzetta per De Lipsis.

A inchiodare Gennuso (arrestato lo scorso aprile per voto di scambio politico-mafioso, poi scarcerato dal Riesame che fece cadere l’aggravante mafiosa) sono state proprio le rivelazioni dei due avvocati siracusani. «In una prima fase – confessa Amara ai pm nell’interrogatorio del 5 ottobre scorso – avevamo dubitato della capacità di Caruso di incidere effettivamente su De Lipsis poiché la prima decisione del Cga fu disporre il riconteggio delle schede». A questo punto subentra un episodio, inizialmente misterioso: le schede elettorali sparirono. E, non potendo più avvenire il riscontro, il Cga dispose la ripetizione del voto. Per quell’episodio è a processo, a Siracusa, Cosimo Russo, operatore giudiziario del tribunale, accusato di aver trafugato e distrutto le schede che l’imputato sostiene andarono distrutte in un allagamento il 20 novembre 2013. Caruso, racconta Amara, «è ritornato alla carica». E dunque fu condivisa «l’idea di consegnare a Caruso il denaro richiesto per la corruzione di De Lipsis». Quantificato in «una somma di circa 20.000-30.000 euro» che, ricostruisce l’avvocato, fu Calafiore a consegnare all’ex giudice della Corte dei conti.

Ma il racconto del suo “socio” è più dettagliato. «La questione Gennuso l’ha curata Caruso: il Cga cambiò il verdetto del Tar», rivela Calafiore ai pm romani. E ricostruisce: «Gennuso paga in contanti 40.000 euro ed io li porto ad Amara. I soldi poi vengono dati a Caruso, che poi tornò per cercarne altri e mi disse che Amara gli aveva dato i primi, anche se solo 30.000 euro. Poi Gennuso non so se ci pagò anche una parcella e comunque altri 30/40mila euro. A Caruso li ho dati io questa volta».

In un successivo interrogatorio, il 7 luglio 2018, Calafiore è più preciso su cifre e luoghi: «Gennuso mi ha consegnato una prima volta a Roma la somma di 40.000 euro, che io diedi ad Amara e che lui diede a Caruso. Una seconda volta la somma di 40.000 euro se non erro in un’area di servizio vicino Taormina, somma che io consegnai a Caruso a Roma. Caruso mi confermò di avere ricevuto la precedente somma da parte di Amara». Quest’ultimo, incalzato dai pm sui 40mila euro ricevuti dal socio, è vago: «Non ricordo la circostanza, tuttavia non posso escludere che il ricordo di Calafiore sia più preciso del mio».

Oltre alle chiarissime confessioni delle due gole profonde, il gip Daniela Caramico D’Auria cita altri elementi. A partire a una una lunga serie di contatti e incontri di Gennuso con Amara e Calafiore, alcuni dei quali a Roma ma soprattutto in stazioni di servizio della Catania-Siracusa. E non solo. «Caruso – si legge nell’ordinanza – comunica ad Amara l’esito favorevole dei ricorsi il 4 febbraio 2014, il giorno precedente a quello del deposito della sentenza, per dimostrare di aver efficacemente svolto il ruolo di intermediario con De Lipsis. Nello stesso giorno Amara trasmette l’informazione al figlio di Gennuso durante il loro incontro a Roma» avvenuto al ristorante “Da Tullio”. Dunque Gennuso padre sa che la sentenza sarà favorevole. E alle 23.51 chiama un giornalista siracusano: «Eh, niente, domani… verso mezzogiorno facciamo la conferenza a Siracusa». E all’interlocutore che gli chieda cosa fosse successo, il politico risponde: «E niente, mi ha chiamato l’avvocato, hanno depositato la sentenza, ora domani mattina sappiamo il responso, va bene?».

Nell’ordinanza c’è un paragrafo intitolato “I viaggi di Riccardo Gennuso”. Episodi anticipati da “La Sicilia” con i contenuti di un’informativa in cui il deputato regionale parlava con i figli di «cassette di papaya» da trasportare e di «sacchetti di plastica» da riempire. Il gip è esplicito: Riccardo Gennuso «compie due viaggi da Roma e Rosolini, il 13 e 22 febbraio 2014, portando con sé un ingente quantitativo di denaro contante, verosimilmente utilizzato per la corruzione». E nell’ordinanza cita un paio di intercettazioni. In una il padre dice al figlio: «Quelle cose… domani mettile in quattro buste diverse…», precisando di «non li mettere tutte in un posto» e «li metti una davanti, una dietro, una nella borsa», poi «mettile in 4-5 cose, bu…, sacchetti diversi», ovvero «vabbe’ mettile in 4-5 posti diversi, uno lo metti sotto la sedia, l’altro in quel posto… scippa il sedile e prendi un po’ glieli butti sotto il sedile di dietro».

Nelle carte c’è la tesi che i pagamenti effettuati dalla “Bingo Ritz Somalia Srl” dei Gennuso alla “P&G Corporate” (riconducibile ad Amara e Calafiore) siano riconducibile a una «provvista» per pagare le sentenze pilotate. In tutto 118mila euro, in sette bonifici, fra il 13 novembre 2013 e il 28 ottobre 2014. «Singolari coincidenze» segnalate dai pm: «Gennuso si recava a Roma ed incontrava Amara in concomitanza con alcuni pagamenti e con le udienze». Per il gip il pagamento di 118mila euro «solo formalmente può essere giustificato dal “disciplinare di incarico di consulenza ed assistenza aziendale”, mentre in realtà maschera una somma utilizzata per corrompere il giudice De Lipsis, che si aggiunge all’importo versato in contanti». Lo stesso Calafiore ai pm, ribadendo «la realtà delle operazioni», dice: «Non escludo la possibilità che attraverso quelle fatturazioni possa essere stata realizzata una quota di provvista».

Infine, le indagini finanziarie su De Lipsis e Caruso. La Gdf di Palermo riscontra «significative anomalie». Fra il 1º gennaio 2013 e il 15 settembre 2014, «De Lipsis e il suo nucleo familiare eseguivano numerosi versamenti di denaro contante, ammontanti complessivamente a 82mila euro». Alla fine del periodo c’è una «disponibilità finanziaria» di oltre 5,8 milioni a fronte di redditi di 2.140.109 euro dichiarati, al netto delle imposte, da De Lipsis e familiari fra il 2004 e il 2014. E Caruso, dall’inizio del 2011 al secondo bimestre 2017, «ha eseguito versamenti in contanti per complessivi 239.052,78 euro e versamenti in assegni per complessivi 258.400,00 euro». Una montagna di soldi.

Twitter: @MarioBarresi

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